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sabato, Aprile 27, 2024

Riforma della scuola, ma quale rivoluzione copernicana del Governo…

AttualitàRiforma della scuola, ma quale rivoluzione copernicana del Governo...

Pubblichiamo di seguito il documento, critico,  di un gruppo di insegnanti sulla riforma della scuola.

Quando agli inizi di marzo 2014, appena essere stato eletto Presidente del Consiglio, Renzi scrisse a tutti i sindaci e presidenti di provincia d’Italia affermando che  “si esce dalla crisi con una scommessa sul valore dell’ educazione” e che “investire sull’educazione necessita di u

Quando agli inizi di marzo 2014, appena essere stato eletto Presidente del Consiglio, Renzi scrisse a tutti i sindaci e presidenti di provincia d’Italia affermando che  “si esce dalla crisi con una scommessa sul valore dell’ educazione” e che “investire sull’educazione necessita di un progetto ad ampio raggio, che parta dal recupero della dignità sociale degli insegnanti, da definire nei prossimi mesi e che oggi la priorità è l’edilizia scolastica per rendere sicure le strutture e le aule in cui i nostri figli passano tante ore della nostra giornata” abbiamo avuto un sussulto di gioia, pensando di essere in presenza di una svolta epocale per il Paese: raramente è stata usata tanta enfasi in tema di scuola.

Il sogno è continuato fino all’annuncio della presentazione del documento definito “La buona scuola”. La lettura e l’approfondimento del documento e la successiva presentazione del DDL hanno provocato negli insegnanti, ed in tutti coloro che vivono ed hanno speso una vita per la scuola, dapprima delusione poi gradualmente amarezza e rabbia,  per essere stati traditi e ingannati da forze che pure predicano una società più equa, più giusta e più solidale.

Per questo Governo e per il PD, contrariamente ai proclami ed alle enunciazioni di principio, le responsabilità  dei problemi della scuola non sono riconducibili al progressivo disinteresse e disimpegno dello Stato, uno Stato che ha ridotto in modo indecente gli investimenti, che ha mortificato la figura ed il ruolo sociale degli insegnanti, proprio di quegli insegnanti che, remando controcorrente e a mani nude, si sono fatti carico non solo delle inadempienze dello Stato  ma anche di quelle delle famiglie che, anche a causa delle sempre più precarie condizioni sociali ed economiche, hanno delegato sempre più alla scuola  l’educazione e la formazione dei ragazzi e dei giovani.

Premettendo che non siamo certo soddisfatti  per come vanno le cose nella scuola, rivendichiamo tuttavia il merito di avere permesso ai nostri giovani, in uno scenario in cui  lo Stato è latitante, di misurarsi con altre realtà europee e mondiali nelle quali, nonostante tutto, riescono ad emergere e ad  affermarsi. Rivendichiamo il merito di aver mantenuto un presidio fondamentale in un Paese che ha la pretesa di definirsi civile.

Siamo, invece, oggetto di attacchi anche da parte di componenti dello stesso Governo che ci definiscono di volta in volta impreparati, fannulloni, lavativi  che godono di oltre tre mesi di vacanze all’anno. Siamo arrivati al punto che a difenderci non rimane che il Papa.

La verità è che il nostro contratto  è bloccato da anni, gli stessi scatti per l’avanzamento della carriera sono bloccati. E’ questa la rivoluzione copernicana del Governo?

Siamo perfettamente consapevoli della crisi e delle difficoltà finanziarie in cui versa il Paese ma, senza retorica e senza demagogia, perché non si comincia ad affrontare il problema dei nostri governanti, i meglio remunerati  d’Europa e del Mondo, insieme a quello degli insegnanti che in tema di salario, invece, sono ultimi in tutte le classifiche ?

Alla luce delle scelte che questo Governo compie, gli stessi investimenti per la cosiddetta “scuola sicura”  si caratterizzano più come il tentativo di rimettere in circolazione risorse finanziarie che devono far ripartire i consumi che la volontà di rimettere al centro delle politiche la scuola.

Non a caso mai nel documento “La buona scuola” e poi nel DDL  si fa riferimento alla funzione che la Costituzione assegna alla scuola, ossia quella di “rimuovere gli ostacoli” per promuovere l’istruzione di tutti e di ciascuno. Al contrario, siamo arrivati al punto che le famiglie devono pagare una sorta di ticket per consentire ai ragazzi di usufruire di servizi scolastici essenziali, che dovrebbero essere gratuiti.

La stessa immissione in ruolo dei precari, che ovviamente noi tutti auspichiamo, viene fatta non per scelta o convinzione ma per non subire la procedura d’infrazione per la non corretta applicazione della direttiva 1990/70/CE relativa al lavoro a tempo determinato.

Nel DDL  presentato dal Governo si ignorano, inoltre, la complessità e lo spessore problematico di ogni intervento didattico efficace fondato su una professionalità che affronti simultaneamente le dimensioni relazionale, disciplinare, collegiale, sperimentale, organizzativa e progettuale, da coniugare con le specificità dei contesti.

Manca nel DDL un’idea di scuola articolata e organica che rappresenti la stella polare per le politiche didattiche. La scuola che viene prospettata è schiacciata sul presente, nelle sue forme dominanti della produzione economica e della tecnologia, dove il presente è punto di arrivo definitivo e la conoscenza sembra orientata alla sua conferma e al suo mantenimento. In definitiva manca un’idea di cultura e di apprendimento che deve calarsi nella quotidianità del fare scuola e da cui tutto deve discendere.

Sarebbe ovviamente errato non porsi la questione del nesso scuola/economia e, tuttavia, ridurre a ciò il compito formativo è gravemente unilaterale, e denuncia una netta subalternità all’economicismo oggi dominante.

Nel campo del lavoro, infatti, si può cogliere un nesso tra il movimento delle forme d’astrazione oggettiva del lavoro e i processi d’astrazione cognitiva sempre più richiesti al lavoratore, nonché tra le continue e imprevedibili trasformazioni dei modi di produzione e la flessibilità mentale richiesta dall’apprendimento continuo. Mentre, ai fini della partecipazione democratica, la complessità dei problemi sociali esige un’intelligenza sistemica, capace di cogliere le questioni nella loro totalità. Per coltivare una simile forma d’intelligenza la scuola va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la coltivazione dell’abito della ricerca e la capacità di pensiero critico. La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa, e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica.

Del resto le relazioni fra il sistema formativo e il mondo del lavoro stanno rapidamente cambiando. Ogni persona si trova ricorrentemente nella necessità di riorganizzare e reinventare i propri saperi, le proprie competenze e persino il proprio stesso lavoro. Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochi anni. Per questo l’obiettivo della scuola non può essere quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto, è quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri.

Dal ministro Gelmini in poi, si è rinunciato a qualsiasi elaborazione pedagogica, sostituita da una controriforma tesa a smantellare le conquiste della scuola democratica e a imporre gli idoli del neoliberismo: competizione ed efficientismo.

Riteniamo indispensabile tornare a riflettere criticamente sull’idea di scuola che è per noi cruciale, per superare questa subalternità culturale e reimpostare le politiche per l’istruzione.

La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi, in questa prospettiva, per il successo scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità o di svantaggio.

E’ netta la nostra opposizione ad una scuola “pubblica” che mette nelle mani del Dirigente scolastico  il potere di decidere l’attribuzione della premialità individuale dei docenti e addirittura quello di assumere discrezionalmente insegnanti più adatti ai suoi progetti e agli insegnamenti che intende offrire, creando così le premesse per abolire la libertà di insegnamento e legalizzare quella piaga tutta italiana del clientelismo.

E’ chiaro che la nostra idea di scuola è in antitesi con quella della scuola azienda che si propone. Una scuola sempre meno finanziata dallo Stato e sempre più dipendente  dai finanziamenti dei privati che non hanno alcun interesse, se non il profitto, a  formare cittadini autonomi, consapevoli.

n progetto ad ampio raggio, che parta dal recupero della dignità sociale degli insegnanti, da definire nei prossimi mesi e che oggi la priorità è l’edilizia scolastica per rendere sicure le strutture e le aule in cui i nostri figli passano tante ore della nostra giornata” abbiamo avuto un sussulto di gioia, pensando di essere in presenza di una svolta epocale per il Paese: raramente è stata usata tanta enfasi in tema di scuola.

Il sogno è continuato fino all’annuncio della presentazione del documento definito “La buona scuola”. La lettura e l’approfondimento del documento e la successiva presentazione del DDL hanno provocato negli insegnanti, ed in tutti coloro che vivono ed hanno speso una vita per la scuola, dapprima delusione poi gradualmente amarezza e rabbia,  per essere stati traditi e ingannati da forze che pure predicano una società più equa, più giusta e più solidale.

Per questo Governo e per il PD, contrariamente ai proclami ed alle enunciazioni di principio, le responsabilità  dei problemi della scuola non sono riconducibili al progressivo disinteresse e disimpegno dello Stato, uno Stato che ha ridotto in modo indecente gli investimenti, che ha mortificato la figura ed il ruolo sociale degli insegnanti, proprio di quegli insegnanti che, remando controcorrente e a mani nude, si sono fatti carico non solo delle inadempienze dello Stato  ma anche di quelle delle famiglie che, anche a causa delle sempre più precarie condizioni sociali ed economiche, hanno delegato sempre più alla scuola  l’educazione e la formazione dei ragazzi e dei giovani.

Premettendo che non siamo certo soddisfatti  per come vanno le cose nella scuola, rivendichiamo tuttavia il merito di avere permesso ai nostri giovani, in uno scenario in cui  lo Stato è latitante, di misurarsi con altre realtà europee e mondiali nelle quali, nonostante tutto, riescono ad emergere e ad  affermarsi. Rivendichiamo il merito di aver mantenuto un presidio fondamentale in un Paese che ha la pretesa di definirsi civile.

Siamo, invece, oggetto di attacchi anche da parte di componenti dello stesso Governo che ci definiscono di volta in volta impreparati, fannulloni, lavativi  che godono di oltre tre mesi di vacanze all’anno. Siamo arrivati al punto che a difenderci non rimane che il Papa.

La verità è che il nostro contratto  è bloccato da anni, gli stessi scatti per l’avanzamento della carriera sono bloccati. E’ questa la rivoluzione copernicana del Governo?

Siamo perfettamente consapevoli della crisi e delle difficoltà finanziarie in cui versa il Paese ma, senza retorica e senza demagogia, perché non si comincia ad affrontare il problema dei nostri governanti, i meglio remunerati  d’Europa e del Mondo, insieme a quello degli insegnanti che in tema di salario, invece, sono ultimi in tutte le classifiche ?

Alla luce delle scelte che questo Governo compie, gli stessi investimenti per la cosiddetta “scuola sicura”  si caratterizzano più come il tentativo di rimettere in circolazione risorse finanziarie che devono far ripartire i consumi che la volontà di rimettere al centro delle politiche la scuola.

Non a caso mai nel documento “La buona scuola” e poi nel DDL  si fa riferimento alla funzione che la Costituzione assegna alla scuola, ossia quella di “rimuovere gli ostacoli” per promuovere l’istruzione di tutti e di ciascuno. Al contrario, siamo arrivati al punto che le famiglie devono pagare una sorta di ticket per consentire ai ragazzi di usufruire di servizi scolastici essenziali, che dovrebbero essere gratuiti.

La stessa immissione in ruolo dei precari, che ovviamente noi tutti auspichiamo, viene fatta non per scelta o convinzione ma per non subire la procedura d’infrazione per la non corretta applicazione della direttiva 1990/70/CE relativa al lavoro a tempo determinato.

Nel DDL  presentato dal Governo si ignorano, inoltre, la complessità e lo spessore problematico di ogni intervento didattico efficace fondato su una professionalità che affronti simultaneamente le dimensioni relazionale, disciplinare, collegiale, sperimentale, organizzativa e progettuale, da coniugare con le specificità dei contesti.

Manca nel DDL un’idea di scuola articolata e organica che rappresenti la stella polare per le politiche didattiche. La scuola che viene prospettata è schiacciata sul presente, nelle sue forme dominanti della produzione economica e della tecnologia, dove il presente è punto di arrivo definitivo e la conoscenza sembra orientata alla sua conferma e al suo mantenimento. In definitiva manca un’idea di cultura e di apprendimento che deve calarsi nella quotidianità del fare scuola e da cui tutto deve discendere.

Sarebbe ovviamente errato non porsi la questione del nesso scuola/economia e, tuttavia, ridurre a ciò il compito formativo è gravemente unilaterale, e denuncia una netta subalternità all’economicismo oggi dominante.

Nel campo del lavoro, infatti, si può cogliere un nesso tra il movimento delle forme d’astrazione oggettiva del lavoro e i processi d’astrazione cognitiva sempre più richiesti al lavoratore, nonché tra le continue e imprevedibili trasformazioni dei modi di produzione e la flessibilità mentale richiesta dall’apprendimento continuo. Mentre, ai fini della partecipazione democratica, la complessità dei problemi sociali esige un’intelligenza sistemica, capace di cogliere le questioni nella loro totalità. Per coltivare una simile forma d’intelligenza la scuola va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la coltivazione dell’abito della ricerca e la capacità di pensiero critico. La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa, e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica.

Del resto le relazioni fra il sistema formativo e il mondo del lavoro stanno rapidamente cambiando. Ogni persona si trova ricorrentemente nella necessità di riorganizzare e reinventare i propri saperi, le proprie competenze e persino il proprio stesso lavoro. Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochi anni. Per questo l’obiettivo della scuola non può essere quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto, è quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri.

Dal ministro Gelmini in poi, si è rinunciato a qualsiasi elaborazione pedagogica, sostituita da una controriforma tesa a smantellare le conquiste della scuola democratica e a imporre gli idoli del neoliberismo: competizione ed efficientismo.

Riteniamo indispensabile tornare a riflettere criticamente sull’idea di scuola che è per noi cruciale, per superare questa subalternità culturale e reimpostare le politiche per l’istruzione.

La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi, in questa prospettiva, per il successo scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità o di svantaggio.

E’ netta la nostra opposizione ad una scuola “pubblica” che mette nelle mani del Dirigente scolastico  il potere di decidere l’attribuzione della premialità individuale dei docenti e addirittura quello di assumere discrezionalmente insegnanti più adatti ai suoi progetti e agli insegnamenti che intende offrire, creando così le premesse per abolire la libertà di insegnamento e legalizzare quella piaga tutta italiana del clientelismo.

E’ chiaro che la nostra idea di scuola è in antitesi con quella della scuola azienda che si propone. Una scuola sempre meno finanziata dallo Stato e sempre più dipendente  dai finanziamenti dei privati che non hanno alcun interesse, se non il profitto, a  formare cittadini autonomi, consapevoli.

 

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