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venerdì, Aprile 26, 2024

L’archeologia del sentimento dei molisani

EditorialiL'archeologia del sentimento dei molisani

di Claudio de Luca

Tra il 23 e il 27 marzo, l’Istituto superiore di Larino accoglie, nella Sala conferenze di Palazzo ducale, delegazioni di Bulgaria, Polonia e Turchia, partners nel progetto “Erasmusplus KA2” che, trattando di un argomento sospeso tra tradizioni e futuro, offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni di piena attualità sul mondo regionale. Quello nostro è un mondo provinciale senza circoli filosofici. Sporadici “vernissages” di paese, croccanti assaggini di pane locale intinto nell’olio nuovo, qualche delibazione di cavatelli qua e là compongono il rosario di un rito annuale che, talvolta, s’impreziosisce di una corsa nel sacco, come usava quando era possibile trovare comunisti alle “Feste dell’Unità”. In questa crosta di vita che non fa rumore le giornate trascorrono calme. Al massimo in Molise si ascoltano le invettive di chi vive delle memorie di Latini, di Romani di Pentri e di Sanniti, magari senza rendersi conto che questi nostri progenitori si atteggiarono permeando l’ambiente di sé e lasciando traccia ancora oggi. Perciò, la memoria che ci àncora al passato dovrebbe farsi produttiva trasmutandosi in principio vitale e modificando il ricordo nella continuità per affiancarlo a progetti che predispongano all’avvenire. Pensare al passato può essere bello, ed eleva lo spirito, ma rimane esercizio autoreferenziale quando non consenta di affacciarsi alla feritoia spaziale da cui aprire gli occhi sulle prospettive a venire. Purtroppo qui si tocca con mano la vanità di personaggi pronti solo a decantare la bellezza dei tempi andati. Un argomento tira l’altro, e si finisce pure col parlare dell’avvenuta manomissione della natura, delle stagioni che non sono più quelle di una volta e della manipolazione dei cibi e delle bevande.
Un tempo il mondo contadino molisano era incorrotto, regolato su tempi lunghi, su di una peculiare economia, sui riti, sulla medicina e su credenze ancestrali. Ma donne ed uomini avevano vita corta, nonostante l’aria ed i cibi genuini. Si invecchiava presto, la fatica era pesante, l’alimentazione monotona e la povertà viaggiava ai limiti della sussistenza; i cugini sposavano le cugine e si viveva (e si dormiva) in promiscuità. Nella sostanza, quell’Eden contadino era un inferno in terra. Perciò vogliamo ritornare al degrado materiale e psicologico di un tempo oppure, divenuti artefici del nostro destino, avvertire che è l’ora di evolvere per modificare questa società a vantaggio di tutti? L’opzione rimane improponibile per chi continui a baloccarsi di feste, di sagre, di ruderi, senza riuscire ad accorgersi che questa nostra società sta andando a rotoli.
Un imprenditore non è invogliato ad atterrare in un’area dove far viaggiare le merci prodotte significa usare ancora la tradotta; e dove l’assenza di un indotto è tale da costringerlo ad approvvigionarsi altrove dei beni utili alla sua intrapresa. Se non si riesce ad attirare capitali, si continuerà a convivere con una realtà triste, fatta di indici di dinamicità economica tali da porre Campobasso ed Isernia sui gradini più arretrati dell’Italia che lavora. Perciò, fidando unicamente nelle nostre forze, si smetta di campare di memorie! E’ più produttivo vivere la bellezza dei ricordi antichi senza ridurli ad una mera archeologia del sentimento. In definitiva, essi dovrebbero servire solo a filare la tela che porta a praticare le vie del futuro. Il richiamo alle rovine, ai tempi andati, non ci ha visti risorgere; perciò il ricordo del passato dovrebbe riconfermarci nella saldezza dei principi, affermando una ricostruzione futura con l’ausilio delle forze disponibili, senza più distinguere tra le appartenenze che oggi, politicamente, rappresentano pura apparenza. Ove ciò non si verificasse, non vi sarebbe più rimedio. Finiremmo con il rifugiarci nel privato, alla ricerca di affetti sicuri, quando al sociale non giova mai celarsi in un bozzolo per apprestarvi il nido

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