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venerdì, Maggio 3, 2024

Da “Striscia la notizia” alla notizia che striscia. La crociata della stampa libera e bella

AperturaDa "Striscia la notizia" alla notizia che striscia. La crociata della stampa libera e bella

camerieredi MANUELA PETESCIA

Abilmente imbeccata da manine prevedibili, l’informazione al tempo di Frattura asseconda i desiderata del sovrano regnante. La notizia striscia, nel senso tecnico del termine, prostrandosi dinanzi al trono del potere. Fatti, circostanze, ricostruzioni manipolate ad arte che avvelenano sul piano dell’informazione una regione già avvelenata da una classe politica incapace e menzognera. 

Certa stampa ne ha fatto una ragione di vita (o, più concretamente, di sopravvivenza): mettere sotto accusa Telemolise e il suo direttore.
Una stampa indipendente, disinteressata, imparziale e libera: libera soprattutto di muoversi all’unisono con Frattura, il questore Pozzo o chiunque accusi Telemolise di qualcosa.
Si tratti di Campobasso o di Bari, di ripetitori o di cene, sempre dalla stessa parte. Sempre dalla parte del nuovo regime. Sempre sulla rotta delle “dritte” fornite sottobanco dai sussurri interessati del potere in sella.
E sempre a dispetto della verità che emerge dai fascicoli, dai documenti, dai fatti. Emerge, per esempio, che l’indagine sui ripetitori è stata archiviata due volte, dopo che sono stati passati al setaccio, sin dal lontano 2008 e con una meticolosità mai vista, migliaia di documenti.
Ma alla stampa libera&bella non interessa.
E a ogni articolo si ricomincia con lo stesso rosario a prescindere.
«Primonumero», 19 ottobre: “I ponti radio di Telemolise affittati dalla Regione: secondo la Procura la Regione avrebbe potuto spendere meno della metà se si fosse rivolta ad altri Enti o emittenti”.
Esiste un provvedimento di archiviazione che afferma esattamente il contrario, e cioè: «si può escludere che il prezzo finale sia anomalo». Si tratta di «un valore assolutamente accettabile ed in linea, anzi inferiore, a quello presente sul mercato locale».
Ma questo alla stampa libera&bella non interessa.
“Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”.
Così anche per il mio coinvolgimento nell’inchiesta sul “Sistema Iorio”.
Nel marasma di accuse, tra concorsi e lampeggianti, invenzioni e intercettazioni abusive, manipolazioni e falsi – tutti regolarmente denunciati – il bersaglio sono io, su di me si concentrano tutte le attenzioni.
A prescindere.
Ma cosa facevo di così orrendamente criminale?
Lo spiega il Gip Rinaldi, rigettando (più volte) la richiesta di intercettarmi come indagata (lo ricordo: io risulto intercettata solo come parte offesa): «Manuela Petescia è direttore di una emittente locale molto vicina a Michele Iorio… è molto preoccupata per le sorti della emittente poiché non vi sono risorse neppure per pagare gli stipendi mensili dei dipendenti… Nel corso dell’indagine è già stata richiesta l’intercettazione dell’utenza della Manuela Petescia, anch’essa rigettata. Le conversazioni sono chiarissime e i mandati sono stati emessi (la difficoltà è nella fase esecutiva del pagamento). In questo scenario l’intercettazione dell’utenza di una persona che chiede continuamente soldi a Michele Iorio senza alcun mistero non appare interessante sotto il profilo investigativo».
Ma alla stampa libera&bella, sempre appollaiata sul pulpito dell’accusa, sempre dalla stessa parte, sempre dalla parte del nuovo regime, non interessa.
“Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”, e calunniando calunniando, si arriva al falso, pur di sostenere la traballante architettura della “cena del ricatto”.
Si arriva alle farneticazioni.
Le farneticazioni della stampa libera&bella che vanno a sostenere, al millimetro, le farneticazioni degli accusatori, Frattura e Di Pardo, quando – smentiti dalle perizie tecniche – si vedono mancare la terra sotto i piedi.
Allora bisogna falsificare la verità, costruirne un’altra, confondere le acque e vendere lo spartito drogato e male orchestrato come lavoro di inchiesta.
Scrive la stampa libera&bella: «Pasquale Drago sceglie di credere a Frattura e Di Pardo. Non ritiene necessario procedere all’acquisizione dei tabulati telefonici del mese di ottobre 2013 e verificare sulle 5 utenze in questione (Papa ne ha due) chi ha chiamato chi, e quando».
Falso.
Banalmente falso alla luce degli atti.
Drago procede eccome all’acquisizione dei tabulati telefonici.
Verifica tutte le utenze e chiede di accertare “chi ha chiamato chi, e quando”.
Cerca di sapere se i quattro invitati alla “cena del ricatto” siano mai stati insieme una sera dell’ottobre del 2013, in un certo posto, in un certo orario.
E la risposta non lascia dubbi: quell’incontro – dicono i risultati tecnici – non c’è mai stato.
Allora bisogna falsificare gli esiti, costruirne altri, confondere le acque e spacciare lo spartito accusatorio per verità.
Bisogna dire che quella verifica non c’è mai stata.
Oppure che c’è stata e non ha prodotto risultati.
Scrive la stampa libera&bella: “I tecnici incaricati dalla Procura di Bari spiegano che «non è possibile ricavare la posizione degli apparecchi telefonici in uso ai quattro presunti commensali attraverso i dati di localizzazione Gps dei cellulari, primo perché è trascorso troppo tempo e il dato è stato sovrascritto, cancellato o alterato. Secondo perché non sempre il gps installato nei telefonini è attivo, e inoltre non tutti i terminali telefonici consentono di estrapolare il dato. Terzo perché i cellulari non sono stati custoditi dall’autorità giudiziaria, e viene meno quindi la garanzia che il dato sia stato manipolato»”.
Falso.
Clamorosamente falso. Se infatti è fallita la prova dei Gps (svolta su istanza della difesa), non è certamente fallita la verifica sulla presenza simultanea dei cellulari, e i risultati si sono visti: i quattro non sono mai stati insieme, contemporaneamente, nello stesso posto. Né a ottobre, né a novembre e nemmeno a settembre, come propone Frattura all’ultimo secondo, cambiando versione, contraddicendosi per la millesima volta (ai carabinieri, nel gennaio 2015, aveva dichiarato: «Sono certo che si trattò di una sera dell’ottobre 2013»).
Di più. Sentito nel giugno 2015, a proposito delle verifiche da effettuare sulle celle, Frattura aveva messo a verbale: “siccome in quell’occasione [la cena] ricevetti più di qualche chiamata, le direi che potremmo tranquillamente verificare la presenza». Il PM gli chiede: «Quindi lei ha impegnato la cella?». Frattura: «assolutamente sì». Bene, il resoconto tecnico sulle celle parla da solo, rispondendo anche alla elettrizzata compagna del Governatore che, appena ‘incassata’ la richiesta di rinvio a giudizio, annunciava la divulgazione pubblica di fantomatiche “celle telefoniche che si «agganciano»”: si agganciano ai teoremi malamente imbastiti dagli accusatori, evidentemente, di certo non ai fatti e meno che mai ai risultati delle perizie tecniche agli atti.
Anche l’esame dei tabulati (chi ha chiamato o scritto sms a chi) non conduce a niente: gli ultimi contatti risalgono al mese di settembre e, a dispetto di quanto dichiara Frattura nella sua denuncia (“non avevo nessun rapporto con la spregiudicata giornalista, era lei a chiamarmi di continuo”), molte telefonate sono in entrata verso la mia utenza: cioè anche Frattura chiamava la sottoscritta e con cadenza regolare.
Allora quale prova rimane?
La parola di Frattura?
La parola di Di Pardo?
La descrizione della strada?
La descrizione della casa di Fabio Papa?
Descrizione precisa, senz’altro, ricca di particolari , come la solita stampa non manca – suggestivamente – di sottolineare.
Frattura e Di Pardo, scrive «Primonumero», “forniscono le stesse descrizioni, abbastanza dettagliate, sull’interno, la cucina, gli arredi, compresi oggetti insoliti che normalmente non si trovano nei salotti di casa”.
Sanno tutto, insomma.
Sanno la strada, sanno la casa, sanno la disposizione dei mobili, delle pentole, delle tende, sanno cioè ciò-che-sanno in tanti a Cb.
Ma Frattura non sa chi ne è proprietario (di quella casa) – ma guarda un po’ – né sa dire quanti commensali ci siano, se non che fossero «TUTTI stupefatti».
E quando va a presentare la denuncia, 14 mesi dopo la fantomatica cena, si sbaglia e scrive: «l’abitazione della Petescia».
Poi, interrogato dai carabinieri (gennaio 2015), si corregge sul proprietario e si ricorda che a cena c’erano solo lui e il suo avvocato-amico Di Pardo.
Ergo i «tutti stupefatti» erano solo loro due.
Poi, interrogato dal pm Drago (giugno 2015), ammette seraficamente: «spiegò il Dottor Papa che quello per lui era un alloggio di appoggio in quanto aveva acquistato o stava costruendo un’altra casa».
Dunque Frattura mostra di sapere benissimo di chi era l’appartamento, ma nella denuncia (dicembre 2014) aveva scritto testualmente: «la Petescia si spingeva addirittura ad organizzare una cena presso la propria abitazione».
E i Carabinieri, quando interrogano Frattura e parlano di «cena organizzata dalla giornalista presso la sua abitazione (della PETESCIA)», sicuramente non se lo inventano da soli.
Imprecisioni, omissioni, contraddizioni, lacune, mai ritenute degne di un controllo, di una verifica o di un dubbio dalla stampa libera&bella, ripiegata supinamente sempre e solo sulle versioni di Frattura, quali che siano, a prescindere.
Come ogni stampa di regime, che però si riempie la bocca di indipendenza e libertà.

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