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venerdì, Aprile 26, 2024

Ferrovie, in Molise aumentano i disagi. A Campobasso la biglietteria apre “a cucù”

AperturaFerrovie, in Molise aumentano i disagi. A Campobasso la biglietteria apre “a cucù”

di PASQUALE DI BELLO

Alle tante disfunzioni del sistema ferroviario molisano, se n’è aggiunta da qualche tempo una ulteriore: la chiusura saltuaria della biglietteria di Campobasso. Problemi di organico che si stanno trasformano in un ulteriore danno ai viaggiatori, specie a quelli diretti verso la Capitale.

Una delle tante ragioni che ci inducono a pensare che questa gloriosa regione, il Molise, sia destinata a scomparire nello spazio siderale, ce la offre quotidianamente il servizio ferroviario che collega il capoluogo con il resto della regione e, in special modo, con la Capitale. A chi non abbia mai avuto un’esperienza lisergica, consigliamo vivamente di fare un viaggio tra Campobasso e Roma, andata e ritorno e, possibilmente, in un solo giorno. Vi assumeranno, all’arrivo, come cavie presso i laboratori della Sandoz, la casa farmaceutica a cui si deve la scoperta dell’LSD. Al termine della giornata, è certificato, porterete negli occhi un mondo del quale non avreste mai sospettato l’esistenza. E’ un mondo capovolto nel quale le regole diventano eccezioni, specie se si parla di treni e di ferrovie molisani. Di queste regole che si trasformano in eccezioni, alle tante che lo erano già diventate, se n’è aggiunta di recente un’altra: l’apertura “a cucù” della biglietteria ferroviaria. Ormai recarsi alla stazione di Campobasso e trovare la biglietteria aperta tutto il giorno, è diventato una sorta di scommessa. Quando meno te lo aspetti, ad accoglierti c’è un cartello che annuncia la chiusura per ragioni rigorosamente ignote. “Ci scusiamo per il disagio”, questo il laconico messaggio affisso sulla sepolcrale vetrata della biglietteria, chiusa da arcigne veneziane tipiche di certi conventi di stretta clausura.

Questa della biglietteria con chiusura a sorpresa, è solo l’ultima delle novità del sistema ferroviario regionale. Essa si aggiunge alle tante altre di cui i frequentatori molisani della strada ferrata possono fregiarsi: ritardi cronici, aria condizionata che si alterna tra l’afa tropicale e il gelo artico, porte che non si aprono, porte che non si chiudono, pioggia nei vagoni, vagoni coevi di Cavour e Garibaldi e via dicendo, di traversa in traversa, di binario in binario.

Ma non è tutto. Chi, tra una lite e l’altra con le biglietterie automatiche, volesse farsi un’idea di arrivi e partenze dando un’occhiata al tabellone elettronico, resterebbe mortalmente deluso. Spento, kaputt, morto. Premio di consolazione, un piccolo monitor che contribuisce alla generale mestizia che coglie lo smarrito viaggiatore. Unico rimedio alla depressione, rifugiarsi presso il bar della stazione (sostituto delle Ferrovie nella vendita dei biglietti), l’unico luogo accogliente in un quadro d’insieme che pare uscito dalla penna di Boris Pasternak. Qualora infatti incontrassimo qualche altro sventurato passeggere, non ci sorprenderemmo se, facendo le presentazioni, costui ci salutasse con un: “piacere, Zivago”.

Insomma, il Molise è quello che è: cioè non è. E noi, di questo passo, volendo prendere un treno, non solo saremo costretti ad acquistare il titolo di viaggio nell’unica apertura annuale della biglietteria ma, qualora volessimo saperne di più sugli arrivi e sulle partenze, ci troveremo obbligati ad appoggiare l’orecchio ai binari come gli Apache, facendo attenzione a non farci mozzare la testa. Quanto al salire a bordo, sarà necessario passare ogni volta in sartoria e farsi applicare un gancio ai pantaloni o alla giubba, al modo dei sacchi postali nel vecchio west. I treni a Campobasso non fermeranno più e ai macchinisti verrà fornito un gancio – proprio come nei film di John Wayne – per agganciare i passeggeri fermi lungo il binario. Proprio come sacchi della posta.

Poscritto. Al netto dell’ironia, e sollevando da ogni responsabilità gli incolpevoli dipendenti delle ferrovie di Campobasso (evidentemente sotto organico), assessore Nagni: che vogliamo fare?

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