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sabato, Maggio 4, 2024

Renato Chiocchio e la pietra scartata…

EditorialiRenato Chiocchio e la pietra scartata…

di Giovanni Mascia*

La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo. L’adagio biblico è stato il fulcro dell’omelia in onore di Renato Chiocchio scalpellino e scultore di Oratino, la cui morte prematura e inaspettata ha lasciato nello sconforto non solo i familiari ma una intera comunità, stretta nel lutto cittadino decretato dall’amministrazione comunale. A tenere l’omelia e a presiedere le esequie, celebrate il 15 gennaio 2023 nella parrocchiale di Oratino assiepata di parenti, amici e compaesani, il parroco di Casalciprano, don Antonio Di Franco.

Ricordate le doti di uomo buono e cittadino esemplare, don Antonio ha tessuto le lodi dell’artista che scolpiva per ottenere il bello già presente nella pietra, da liberare dalle scorie e alleggerire dal superfluo. Una definizione di scultura che secondo il sacerdote può essere applicata anche alla morale dei fedeli, i quali devono liberarsi delle scorie e del superfluo per aspirare a essere buoni cristiani.

Ma attenzione – ha continuato don Antonio con il suo tono pacato, quasi sussurrato – nessuno deve commettere l’errore di giudicare o giudicarsi insignificante e indegno perché le sacre scritture ammoniscono che “La pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo”, cioè proprio la pietra più importante su cui fondare e costruire l’edificio.

E qui più di un brivido è corso tra i presenti e la cerimonia ha toccato il momento di massima intensità perché, conscio o meno don Antonio, la sua omelia ha finito per evocare non pietre informi scartate, ma le splendide formelle della Via Crucis che Renato Chiocchio scolpì a inizio degli Anni Novanta del secolo scorso, su commissione di tre rispettabili concittadini, per essere donate e sistemate sulle pareti e sulle colonne della chiesa di Santa Maria Assunta, a quel tempo appena restaurata, e quindi consacrate dall’Arcivescovo di Campobasso, mons. Ettore Di Filippo, stante l’autorizzazione della Soprintendenza del Molise e il plauso della popolazione.

Purtroppo, dopo circa un ventennio, nel novembre del 2011, quelle formelle furono rimosse dalla chiesa parrocchiale per fare posto ad anonimi pannelli a stampo in gesso, databili agli anni Cinquanta del secolo scorso. Senza neppure una parola di spiegazione, né allora né in seguito proferita dai “costruttori” a beneficio della popolazione e di quanti promossero petizioni e iniziative varie per avere chiarimenti e protestare contro la rimozione delle quattordici stazioni della Via Crucis, “scartate” come pietre informi e indegne.

L’omelia di don Antonio Di Franco, conscio o meno l’oratore, ha finito così per evocare il dolore e l’umiliazione più grandi sofferti in vita dall’artista di Oratino, che ora a 13 anni di distanza, possono idealmente essere placati con un gesto di riparazione che torni a dare visibilità e onore alla sua opera. E pazienza se post mortem. Tanto più che nel caso di Renato Chiocchio non ci si può nemmeno appellare all’evangelico Nemo propheta in patria, in considerazione della stima e del cordoglio unanime, sancito dal lutto cittadino.

Speriamo che Qui habet aures audiendi, audiat. E non c’è bisogno di tradurre nemmeno quest’altro detto evangelico perché chi ha orecchie per intendere, il latino dovrebbe conoscerlo benissimo.

*Scrittore e storico

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