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venerdì, Aprile 26, 2024

Moby Prince, Di Giacomo: indagini insufficienti e piene di contraddizioni

AttualitàMoby Prince, Di Giacomo: indagini insufficienti e piene di contraddizioni

di GIOVANNI DI TOTA

Quella petroliera in quel punto non ci poteva stare, era in divieto di ancoraggio e la posizione non fu riportata in modo corretto nel corso delle indagini.

La collisione tra l’Agip Abruzzo e il traghetto Moby Prince avvenne la sera del 10 aprile del 1991, provocando il più grave disastro navale della storia della Marina italiana dal dopoguerra. A distanza di quasi 27 anni, i depistaggi e le omertà, piuttosto evidenti fin dai primi momenti, sono stati messi in evidenza dalla commissione parlamentare d”inchiesta del Senato che nei giorni scorsi ha depositato la relazione finale.

Un atto d’accusa netto, quello della commissione, che ha gettato un fascio di luce su uno dei misteri più bui della repubblica.

Quella notte a largo di Livorno – ha commentato Ulisse Di Giacomo vicepresidente della commissione – non c’era nessuna nebbia e le audizioni e gli approfondimenti svolti in Senato ci hanno confermato che l’indagine della procura livornese è stata carente e condizionata da diversi fattori esterni”.

Depistaggi, omissioni, coperture hanno impedito di portare a galla la verità, ma la sostanziale assenza di intervento di soccorso – ha evidenziato la commissione parlamentare – ha impedito il salvataggio di diverse vite umane.

Dopo l’impatto tra il traghetto partito da Livorno e la petroliera ferma in mare, il battello carico di passeggeri prese fuoco e le fiamme continuarono a bruciare per tutta la notte, provocando la morte di 140 delle 141 persone a bordo. Unico sopravvissuto il giovane mozzo napoletano.

In due anni di lavoro, e oltre un centinaio di riunioni, i parlamentari ritengono di aver fissato alcuni punti fermi: “L’Agip Abruzzo – ha confermato il senatore Di Giacomo – quella sera era in divieto di ancoraggio e si è scoperto che non proveniva dall’Egitto, come si era detto all’inizio e non c’è certezza su cosa trasportava”. Ed è per questo che il comportamento dell’Eni è stato definito nella relazione connotato da forte opacità. Gli armatori della Moby prince e dell’Agip Abruzzo, peraltro, si accordarono dopo solo due mesi mettendo una pietra tombale su qualsiasi ipotesi di conflitto tra le società proprietarie delle due navi. La petroliera fu demolita dopo 7 mesi, la Moby affondò nel porto di Livorno, poi fu ripescata e trasportata in Turchia per essere anch’essa demolita.

Nel mirino della commissione è finita anche la procura di Livorno che, secondo la relazione ha utilizzato parte delle indagini sommarie della Capitaneria di porto per arrivare a conclusioni incoerenti e illogiche.

La cosa che più ci ha fatto male – ha ricordato il senatore Di Giacomo – è capire che molte persone potevano essere salvate e che non è vera la tesi secondo la quale tutti morirono in una trentina di minuti. Alcuni ambienti della Moby prince – ha concluso Di Giacomo – non erano stati lambiti dal fuoco e le persone che vi si erano rifugiate potevano essere salvate”.

La relazione della commissione parlamentare è stata trasmessa alla procura di Livorno e a quella di Roma, i familiari sperano in una revisione del processo che si è concluso con l’assoluzione dei principali imputati. La sola nebbia che avvolgeva il Moby prince, hanno accertato i commissari, era quella sollevata da chi ha coperto e nascosto la verità.

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