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giovedì, Marzo 28, 2024

Caso Bari, gli alibi sono finiti

AperturaCaso Bari, gli alibi sono finiti

di ELEONORA OLIMPIA PARIBELLI

L’interesse collettivo vincolato alla vicenda che ha avuto come teatro il Tribunale di Bari, è da manuale: più chiara e indiscutibile non potrebbe risultare la dimensione pubblica che si impone al di là dei confini giudiziari, pur allarmanti, del caso.
– PUBBLICO per eccellenza è il ruolo dei protagonisti, due dei quali – Frattura e Papa – titolari di alte funzioni istituzionali senza le quali i reati in questione non avrebbero neanche potuto essere ipotizzati, come ha ribadito a più riprese lo stesso Frattura, sulla scorta del pm barese, dichiarando di essere stato vittima delle pretese degli accusati “ORCHESTRATE E ATTUATE NELL’ESERCIZIO DELLE RISPETTIVE FUNZIONI”. Gli attori, dunque: un Presidente di Regione, un Pubblico Ministero in servizio presso la Procura della Repubblica di Campobasso e il Direttore della principale tv locale. Non due singoli cittadini (Papa e Petescia) che si sarebbero macchiati di condotte illecite ai danni dell’imprenditore privato Frattura.
– PUBBLICO è incontestabilmente l’oggetto del ricatto denunciato: denaro dei contribuenti da una parte, una legge (favorevole) per l’editoria dall’altra, che nessuno avrebbe il potere di elargire/varare senza un ruolo istituzionale investito di tali prerogative.
– PUBBLICA è la sede (la Giunta regionale) scelta due anni fa dal Presidente Frattura per annunciare, tramite apposita conferenza stampa, l’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio degli accusati: perché? Perché pubblico, per antonomasia, è l’Ente locale da lui rappresentato pro tempore – la Regione Molise – che si è costituito “parte civile” nel processo a carico dei due imputati.
– PUBBLICO è indubitabilmente l’interesse leso, se a costituirsi “parte civile” è un Ente territoriale e non una persona singola: questo significa che l’intera collettività molisana, rappresentata dalla Regione, è stata ritenuta “parte offesa” dai presunti reati in questione e, in quanto tale, destinataria di un danno suscettibile di “risarcimento”.
– PUBBLICO è, infine, il denaro che ha consentito al Presidente di recarsi a tutte le numerose udienze presso il Tribunale di Bari con macchina e autista della Regione nonché di essere rappresentato, in quella sede, da un avvocato che ne ha perorato le ragioni sul presupposto che fossero le ragioni dell’intera popolazione molisana.
Esiste un solo argomento sostenibile per cui quella collettività che si supponeva “offesa” dai presunti reati di un PM e di una giornalista, oggi – dopo la sentenza di un giudice terzo che ha accertato la piena insussistenza dei fatti denunciati e la conseguente indagine per calunnia a carico del denunciante (e del suo unico testimone) – non debba sentirsi tanto più “offesa”, umiliata e strumentalizzata dalla condotta istituzionale del Presidente della Regione? Non esiste.
C’è al mondo una qualche giustificazione plausibile per la quale la classe politica regionale, alla luce di tali incontestabili presupposti, possa sentirsi autorizzata a tacere come l’ultimo dei vigliacchi, o peggio, a rilasciare commenti degni di un analfabeta civile/politico/istituzionale, riducendo questo scandalo a ‘mera’ vicenda “giudiziaria” o a “vicenda personale”/”intrigo di palazzo”, come hanno fatto i consiglieri regionali del M5stelle e relativi dipendenti dei gruppi consiliari? Non c’è.
C’è invece una verità, decisamente ignobile e ripugnante, che spiega drammaticamente il silenzio ipocrita degli uni e le esternazioni degne di un mentecatto degli altri: la giustizia non ha presentato il conto alle vittime – come si attendevano speranzosi gli uni e gli altri con stomachevole cinismo – ma al carnefice, su cui gli uni e gli altri avevano fatto totale affidamento per poter finalmente assistere compiaciuti alla lapidazione pubblica dei ‘capri espiatori’ offerti da Frattura a copertura di una fallimentare stagione amministrativa segnata da un avventurismo senza precedenti.
Solo per la cronaca, sia gli uni che gli altri non hanno perso occasione, in questi anni, per dichiararsi solennemente devoti al più austero “garantismo”: la voce “vergogna” devono averla saltata a piè pari.

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