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giovedì, Marzo 28, 2024

I sapori “ignoranti” del Molise scansati dagli snob

AttualitàI sapori "ignoranti" del Molise scansati dagli snob

snobdi Giovanni Di Tota

La digestione è stata lunga, e per qualcuno piuttosto faticosa. Ma è lo stesso programma a mettere in guardia che gli ‘intrugli’ preparati, serviti e mangiati, sono delle bombe caloriche. Roba da ‘cantina’ e piatti per chi ha lo stomaco capiente o non deve fare i conti con trigliceridi e colesterolo.
Chi si siede alla tavola di Unti e bisunti, il format dello chef Rubio passato dal Molise, sa che per smaltire ciò che ha idealmente mangiato dovrà giocare per ore a tennis, piuttosto che nuotare in piscina.
Peccato, però, che questa sia la vera tradizione culinaria della nostra regione. Piatti contadini, ma sapori autentici. Magari un po’ forti, come quel ‘cacchio’ di salsiccia grondante sugna che Gabriele Rubini tira fuori dal barattolo e addenta con un gusto e una voglia tali da volerglielo strappare di mano. Forse estremi, come le interiora di agnello servite a ‘insalata’ nella trattoria di Corsillo, a Campobasso. Oppure esagerati, come i Funnateglie cucinati a Jelsi da uno sconosciuto meccanico.
Se ne facciano una ragione quelli che preferiscono le cene di gala nei salotti chic, dove si parla a vanvera di turismo in Molise davanti a un prelibato ‘budino di Parmigiano Reggiano e crudità di stagione’, si prosegue con ‘ravioli di pomodoro candito e melanzane con fonduta fredda di pecorino romano’ e ci si lecca i baffi assaporando ‘pesce spada alla messinese’ (17 luglio 2015, menù Regione Molise: Expo, Milano).
Ora, tralasciando la facile ironia su ciò che è accaduto a Milano, va detto per onestà che la roba servita e mangiata da Rubio a Jelsi, a Riccia, a Bojano e a Campobasso non è di certo quella che ogni molisano trova sulla tavola quando torna a pranzo. Ma chi storto il naso davanti ai peperoni, alla frittatona di venti uova e cicoli, ai fagioli con le cotiche, lo ha fatto dimenticandosi (o fingendo di dimenticarsi) che sono quelli i piatti preparati dalle nostre nonne, poi dalle mamme e nella stragrande maggioranze dei casi, oggi dalle figlie.
La grande distribuzione e gli ipermercati delle città, hanno mandato in archivio una bella fetta della tradizione culinaria del Molise, ancora mantenuta (ma per fortuna) solo grazie all’impegno di coraggiosi cuochi ‘dilettanti’ disseminati nella costellazione dei nostri piccoli paesi. Se fosse per le generazioni del precotto, del surgelato e del pronto in padella, il gusto dominante sarebbe tristemente in virata verso la plastica. La fortuna della nostra terra la fanno ancora il caciocavallo, il tartufo, la pampanella, gli insaccati e il maiale, del quale qui davvero non resta nemmeno un unghia. L’elenco dei sapori ‘ignoranti’ sarebbe lunghissimo. Ma varrebbe la pena che tutti lo tenessero ben stampato nella mente. Senza vergognarsene più di tanto, almeno fino a quando non arriverà il prossimo chef ad aprirci gli occhi: «Ammazza! Ma nun poi capì come ho magnato bene in Molise».
(Chef Rubio: Unti e bisunti; Dmax, 22 settembre 2015).

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