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sabato, Aprile 20, 2024

Ciò che la politica non concede

EditorialiCiò che la politica non concede

politica1-450x314di CLAUDIO DELUCA

V’è chi ha trascorso una vita sui libri, senza mai scriverne uno, e chi preferisce diffondere i propri pensieri a mezzo-stampa, aggregandosi ad una testata locale. Per quanto concerne il vostro cronista, giunto ben oltre il “mezzo del cammino di sua vita”, ha creduto che non fosse opportuno mantenersi isolato, ritenendo più giovevole comunicare ciò che pensa. E così, spintomi sino a varcare la grotta dei miei pensieri, ho voluto mettermi a disposizione di chi vorrà conoscerli, confidando di potere entrare in una proficua comunione di sentimenti per lo meno con qualcuno. Faccio questo per l’amore che porto ad una regione in cui ho vissuto per gran parte della vita, godendo di un territorio che – bene spesso – parrebbe essere poco noto persino ai suoi figli migliori; figurarsi a quelli “peggiori”. Il Molise è una Patria più piccola; e, poiché ritengo che questa parola debba camminarci sul cuore, oso pronunciarla non importandomi se altri, di gran lunga più provveduti di me, avessero ad irridermi. Ma la piccola Patria non può essere solo questo. Essa “convoca” ma dovrebbe pure “dare” per il tràmite di chi la rappresenti, facendosi riconoscere ben oltre i benefici di commozione che offre ed i sentimenti indubbi che suscita; ed il conforto del racconto delle sue memorie non può essere sufficiente a coprire ciò che non viene concesso dalla Politica politicante. Alludiamo alla carenza di “benefits” sociali (e di servizi in genere) ed al non corretto rispetto del “bene comune”. I dati economici e sociali delineano un’economia stagnante, per lo più tenuta a galla dalla spesa pubblica, con una bassa partecipazione alla forza-lavoro (in cui le donne hanno solo un ruolo secondario). Quella “pro-capite” delle Amministrazioni statali e locali, al netto degli interessi, è aumentata di 1/4 dal 2003-‘05 in poi, con conseguente triplicazione del debito tra il 2002 ed il 2011. La natura clientelare di questa massa di danaro pubblico viene posta in evidenza dalla concentrazione della spesa nel settore sanitario e dalla scarsità degli investimenti. Il grosso dell’occupazione è operativo nei servizi, come sarebbe normale in un’economia avanzata; ma qui la quota di impiego pubblico è abnorme. Le poche imprese private hanno una redditività prossima allo “0” nelle annate “buone”; ma, solitamente, distruggono valore, mostrando livelli di indebitamento in crescita pressoché costante che – negli ultimi anni – hanno determinato sofferenze sempre maggiori, pure perché il settore bancario pratica tassi sproporzionatamente alti rispetto al costo delle provviste richieste. La base produttiva si è erosa nei settori industriali, con una cassa integrazione aggiuntasi in modo esplosivo alle altre forme di assistenza. Gli imprenditori, per tutto il decennio (dunque bene prima della crisi), hanno patito, aspettando il peggio; e la contingenza, com’è ovvio, non ha stimolato gli investimenti. Perciò gli articoli che si dovrebbero scrivere sarebbero da dedicare proprio a questi argomenti, andando ben oltre la cronaca spicciola. A questo punto, ritengo doveroso rendere al paziente lettore un’altra pubblica confessione. Tutto ciò che ci delizia del passato (musica, poesia, pittura, scultura) venne concepito nel freddo. I contemporanei dei “Grandi” ci hanno tramandato: che Francesco Petrarca si svegliava nel gelo della sua cameretta, magari solo per correggere un verso delle sue rime; che, morendo, lasciò all’amico Boccaccio una veste di lana in cui involtolarsi durante le sue veglie. Pure Giovambattista Vico ha studiato in una casa del Cilento innevata per molti mesi ogni anno. Giuseppe Parini ha scritto le sue “Odi” in una fredda soffitta; Bach, Scarlatti, Mozart e Vivaldi componevano con le estremità poggiate su di uno scaldino; calzavano i mezzi guanti alle mani e tenevano una coperta a protezione delle spalle. In definitiva, tutto quanto ci è pervenuto di buono e di grande dal passato ha potuto vedere la luce grazie ai patimenti inferti dal freddo nel corso della crudezza dei lunghi inverni di una volta. Ebbene, per quanto mi concerne, vivendo in tempi più moderni, non ho potuto fruire degli “aiutini” somministrati dal freddo. Perciò, a fronte dei “Grandi” che ho nominato, permettetemi almeno di scusarmi: ove, a lettura esaurita, ciò che scrivo dovesse non esservi piaciuto, incolpatemi solo per il 50%. La rimanente aliquota di insuccesso va necessariamente addebitata all’intervento del riscaldamento centrale di cui ho potuto fruire durante i miei odierni esercizi di scrittura.

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