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sabato, Aprile 20, 2024

Quando le vittime sono anche i carnefici. Appunti su “Piccole immagini di raso bianco”

AttualitàQuando le vittime sono anche i carnefici. Appunti su “Piccole immagini di raso bianco”

di Norma Malacrida*

Il romanzo di Manuela Petescia mi aveva molto incuriosita per il suo titolo intrigante, ma tenero, sin da quando avevo letto che era in uscita. E appena appresa la notizia della sua pubblicazione, mi sono recata in libreria per l’acquisto, ma ho dovuto ordinarlo perché non era ancora arrivato. Quando l’ho avuto, ho lasciato ogni altra cosa da fare e ho cominciato a leggere.

Già la copertina mi aveva messo addosso una certa emozione per le tonalità del rosso, che delineano strane figure, e per l’immagine della donna in piedi: senza testa, con le braccia legate e il vestito scomposto che evidenzia un atto di violenza evocato o già in atto, in una forma di profanazione che umilia e sottomette, anche ricorrendo a forme di ricatto bestiale.

Via via che leggo e entro nella dinamica della trattazione, pur ammirando lo stile di scrittura, sicuro nell’uso della parola, come verbo che stigmatizza nella significazione, anche attraverso l’uso della forma dialogata che ne alleggerisce la durezza, l’emozione si fa disagio.

Via via che conosco i personaggi (lo psicanalista, la paziente, la moglie dello psicanalista, il suo amico, lo zio, la mamma) un senso di dolore mi stringe la gola, misto alla rabbia per la miseria umana e professionale di alcuni personaggi così attinenti alla realtà dei nostri giorni insensati e senza fede nella vita. Leggere Piccole immagini di raso bianco è stata per me una grande sofferenza, specialmente se si tiene nel conto che tollero a fatica la psicologia scientifica e non ho nessuna fiducia nella psicanalisi dal tempo della comparsa di Freud con tutte le sue strambe deduzioni comportamentali umane che Manuela Petescia ha così perfettamente rappresentato nel suo libro.

Un romanzo da avvicinare a un “giallo” mai scritto così: con un intreccio che non si attua con assassinii soliti, ma è lo stesso intreccio di violenze tanto più gravi e sanguinanti perché a commetterle è la follia professionale, in una gestione amorale che fa pensare e “sanguinare” il cuore di chi fruisce per l’attendibilità delle situazioni, rappresentate con una grande intensità di scrittura. Situazioni non vere, ma agevolmente verosimili nei rapporti tra medici e pazienti.

La storia è narrata con vero tocco di scrittrice, esperta della materia scabrosa su cui si è mossa con stile di donna che si guarda intorno, scandaglia la realtà e ne riporta in superficie un senso di pessimismo amaro nella constatazione che tutte le battaglie per l’emancipazione e il rispetto della donna sono servite a poco.

È una conquista che noi donne non otterremo mai per un difetto primigenio dell’uomo, combattuto da millenni e mai sconfitto perché la diversità è prima di tutto biologica: l’atto stesso sessuale, malgrado una certa modernità di vedute, è velata violenza e senso di un personale egoistico appagamento. Credo che Manuela Petescia lo abbia dimostrato nello scolpire i protagonisti, nei loro drammi, allo stesso tempo come vittime e carnefici.

*scrittrice e poetessa

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