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giovedì, Marzo 28, 2024

La scuola che verrà: è tempo di cambiare ed è tempo di crescere

EvidenzaLa scuola che verrà: è tempo di cambiare ed è tempo di crescere

di ANNUNZIATA D’ALESSIO

Da gennaio sono aperte le iscrizioni in tutte le scuole. Open day, uscite e incontri sono già da tempo partiti per promuovere il passaggio alla fase di formazione successiva. “E’ tempo di migrare” direbbe il poeta-vate. E’ tempo di orientamento, diciamo noi in un contesto diverso. E’ tempo di cambiare. Ed è tempo di crescere. Sono chiamati presto in piedi i nostri ragazzi a rispondere al primo appello importante della loro vita! Ma sono davvero pronti, consapevoli della loro natura, delle loro inclinazioni per poter scegliere in modo corretto la nuova scuola e con essa l’avvio alla formazione che ne verrà? Non sempre. E non tutti. Questo è il momento del percorso scolastico che vivo con più intensità, perché quando guardo i miei alunni della terza media, che per quell’anno mi sono stati affidati, non posso non rivedere me stessa fra i banchi e rifarmi piccola come loro che, mentre se ne stanno educati, composti, spesso stretti nelle spalle, in silenzio, cercano… Alcuni cercano con gli occhi grandi fermi su di te, altri con un’alzata di mano incerta a cui segue una domanda che ha lo stesso sapore di una preghiera: “Prof, voi che scuola avete scelto?”. Sono spesso smarriti e a volte ancora più confusi dopo aver parlato con compagni e docenti “affiliati” alle scuole più disparate. Ed è allora facile che si perdano! Ma questo non accade se vengono ricondotti a se stessi, alla loro unicità, a entrare in contatto con quella parte dell’essere che solo loro possono conoscere e ascoltare. E’ questo ciò che rende la loro scelta “personale”! O come dico loro: “intima “! Magari, in questa fase consegnarli per pochi minuti a Platone, alla sua poetica filosofia del mito di Ananke, raccontargli che prima della nascita la nostra anima si è fermata davanti al trono di Necessità e che questa ci ha consegnato un destino, il nostro destino, può aiutarli ad ancorarli a qualcosa, la cosa che più serve: la propria voce interiore! In greco si chiama daimon e c’è chi lo fa coincidere molto semplicemente con la coscienza, chi con il talento, chi con l’angelo custode a cui veniamo affidati alla nascita e che ci accompagna lungo tutto il percorso della nostra vita. Si agita dentro di noi sin dall’infanzia, ad alcuni si rivela subito con chiarezza, per altri meno, e continua ad agitarsi fin tanto che crescendo non gli diamo spazio. Può essere la nostra fortuna, ma se non lo riconosciamo, anche la nostra dannazione… In realtà, questo affascinante mito vale sempre la pena recuperarlo non solo per la destinazione che ci prospetta ma ancor più per l’humus che l’ha prodotto: la cultura classica. Non me ne vogliano le altre scuole, ma è, infatti, proprio il suo depositario “ufficiale”: il Liceo Classico, la scuola che consiglio indiscriminatamente quando quella mano si alza e la voce flebile fra i banchi fa la sua domanda. C’è, però, una sola condizione che pongo prima di fare il mio invito nel “simposio” delle scuole: si deve amare lo studio tout court, più di tutto il resto. Bisogna sapere quanto tempo si è disposti a sacrificare di gomito e di sedere. Quanto si è pronti a fare delle rinunce per dedicarsi a qualcosa di cui non si comprende ancora bene il senso ma che richiede abnegazione e fiducia. Solo così, nel silenzio e nel buio delle camerette, alla luce soffusa dell’ abasciur si avvierà un muto scambio di parole e pensieri che diventerà (se Dio vorrà!) modus vivendi. Sì! Perché è solo qui che si studia il greco: il greco antico, dove “antico” non sta, come direbbe un caro collega, per “superato” ma per “eterno”… E il segreto della vita, delle cose del mondo, de “l’amor che move il sole e l’altre stelle” e anche dell’ “amore che muove Omero e il mare” ce l’hanno solo loro: i Greci. Dei Greci mi sono innamorata subito, prima da bambina attraverso mio padre che mi portava sull’Olimpo con Esiodo a conoscere la Teogonia e a combattere la Titanomachia raccontata nei suoi libri sgualciti e ingialliti dal tempo e poi da adolescente al liceo, quando la conoscenza dello spigoloso aoristo mi faceva disperare ma mi consegnava lentamente, mio malgrado, a quella forza e tenacia che tanto mi sarebbero servite nella vita. L’incontro con il greco, infatti, può essere traumatico. Chi ne ha avuto esperienza, sa cosa intendo! Anzi l’aver condiviso quello stato di puro panico di fronte alla triste sorte di una versione in classe dal greco in italiano ci ha reso tutti “ fratelli” e “sorelle”, parte dello stesso destino o comunque membri elettivi di un singolare “circolo scipionico”. Eppure oggi so che comprendere e tradurre il greco non è affatto sterile meccanicismo, non ha a che fare solo con la nostra memoria per paradigmi e declinazioni, ma è militanza vera e propria verso la costruzione di noi stessi. Una palestra per lo spirito! Il greco ti si cuce addosso, diventa come un marchio a vita e ti rimane impresso come una seconda pelle, perché esso solo sa compiere quella straordinaria magia di trasformarti in qualche modo simile a lui, dandoti un’impronta unica di diversità assoluta rispetto agli altri. Avevo quattordici anni e come tutte le grandi passioni è stato un rapporto intenso, conflittuale ma con la promessa di fede del “per sempre…”. La ragione di tanto amore a me piace trovarla nella consapevolezza, acquisita proprio attraverso lo studio negli anni, che c’è stato un tempo in cui il lirismo dell’uomo era tanto e tale da coinvolgere tutto il creato, traducendolo in mito, versi, filosofia, tragedia, commedia, marmo, dall’alfa all’omega. La Grecia è il luogo dove tutte le “poesie” necessarie e non necessarie alla vita e al mondo hanno avuto inizio. Volente o nolente è inevitabile ancora oggi l’incontro con la cultura greca: dentro o fuori la scuola tutto ci riconduce ad essa! L’etimologia stessa delle parole ci demanda al greco. Del resto quale altra lingua ha la stessa precisione, pertinenza e calibro del greco antico?! Nella lingua greca non esiste solo il singolare o il plurale, c è anche il duale, frequente per indicare parti doppie del corpo: due gambe, due mani, due occhi, ma al contempo utile per riferirsi a coppie di oggetti o di persone, come gli amanti. Si arricchisce di un modo verbale a sé, l’ottativo, per esprimere il fremito del desiderio, ci sono accenti acuti e circonflessi, spiriti dolci e spiriti aspri, inoltre una parola, come ad esempio logos, può avere una doppia accezione e portarci a sottili differenze di senso. Studiare la lingua e la letteratura greca apre la mente, conferisce compostezza all’animo, educa alla ricerca, fornisce un metodo di lavoro, tempra, dà gli strumenti giusti per decodificare la realtà e goderne. Ed è solo al liceo classico che questo miracolo può essere ancora veramente possibile! In una società dove la cultura è sempre più svenduta, messa alla mercé di tutti, dove fioccano licei per tutte le “genialità” in potenza, l’unica e inimitabile finestra sulla bellezza del mondo rimane la “scuola di Socrate”. Si perde nella notte dei tempi la voce che annuncia il latino e il greco come lingue “morte” intese come inutili, pensando che la stima per i classici sia sopravvalutata e la fiducia nella scienza e nella tecnologia sia l’unica strada possibile per affrontare il futuro. In un tempo storico che sembra essere una sorta di contro-Rinascimento, queste rivelazioni appaiono più che mai scontate soprattutto se si considera la strada che abbiamo imboccato…! Una strada che vuole essere per i nostri figli sempre più comoda e agevole. Il problema, infatti, non credo sia quanto la lingua e le materie classiche possano essere attuali, ma quanto i nostri ragazzi ancora oggi siano in grado di “maneggiarle”. E’ una questione di disciplina! La verità è che come la cultura si è “allargata” così il suo livello si va abbassando e questo per dare a tutti l’illusione di un “sapere” che alla fine è solo parziale o settoriale. Tradurre un testo di più di duemila anni è letteralmente un’impresa che richiede tempo, devozione
(non solo alla pagina scritta!), concentrazione, destrezza, capacità di coordinare la memoria della lingua con i possibili significati del contenuto, affinamento del proprio intuito e finezza nella resa stilistica del testo. Non sono da meno una serie di altre qualità come la capacità di astrazione, l’assemblamento delle idee, l’organizzazione degli appunti, la capacità sublime della sintesi fino a farne un dono. Stare ore su un testo antico di Livio o Tucidide, capire cosa voglia dirci, ti mette alla prova, sbatterci la testa ti costringe a misurarti… Ed è proprio questo il punto! Se vogliamo che la scuola faccia ancora la sua parte, e la faccia bene, dobbiamo pretendere di più dai nostri ragazzi e tirare su l’asticella… La difficoltà e la frustrazione sono chance che fanno parte del percorso di crescita. La risposta nel tempo si materializzerà nella costanza, nell’impegno, nella perseveranza, nella gioia della soddisfazione, nell’orgoglio di essere arrivati fino in fondo alla sfida e il premio sarà quello più ambito: l’attitudine alla vita.

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