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venerdì, Aprile 19, 2024

Sanità, Gam, Zuccherificio, fulmine di Vitagliano sui dilettanti al governo della Regione: “Si alzi la voce a Roma!”

AperturaSanità, Gam, Zuccherificio, fulmine di Vitagliano sui dilettanti al governo della Regione: "Si alzi la voce a Roma!"
Con un intervento durissimo, l’ex assessore regionale alla Programmazione, Gianfranco Vitagliano, rientra da protagonista nel dibattito politico e mette sotto accusa la classe politica al governo della Regione. Sanità, Gam e Zuccherificio: questi i temi sui quali Vitagliano mette a nudo errori e orrori. Sullo sfondo, la quinta lugubre di una Regione governata in larga parte da figure improvvisate. A partire dal presidente Frattura.
di GIANFRANCO VITAGLIANO
Da diverso tempo registro con amarezza, su alcune questioni socio economiche fondamentali per la società regionale, un dibattito che – tolte alcune voci isolate – appare irragionevole e fuorviante. S’insiste, tra l’altro e stucchevolmente, sulle colpe di chi c’era tempo fa, fingendo di dimenticare che in politica la stagione delle responsabilità è sempre il presente.
Il confronto che ne viene fuori alla fine, povero com’è di sano e libero ossigeno, è spesso lontano dal merito delle questioni anche a causa di parole istituzionali e di una comunicazione pubblica, difensive e proclamatorie, non coerenti con le stesse responsabilità del ruolo. Avendo avuto responsabilità e credendo in quelle, dico la mia.
Nei corridoi ospedalieri e negli uffici dell’amministrazione sanitaria abbondano operatori che, tenuti in pubblico a difendere l’indifendibile, descrivono situazioni di servizio drammatiche che, a detta di alcuni, sarebbero vicine al pericolo per chi ha bisogno di cure.
I cittadini subiscono le conseguenze di un meccanismo che determina non solo la riduzione dei centri di erogazione ospedalieri ma – al di là e al disopra dell’ossessione della riduzione dei costi – quella dei servizi e delle prestazioni all’utenza mentre permane il miraggio di una buona e diffusa medicina territoriale. Questo meccanismo, tra l’altro, alimentato da ordini e contrordini spesso contraddittori, appare casualmente orientato e privo di strategia evidente. Qualsiasi obiettivo che non veda questa cruda realtà e la sua pericolosa evoluzione è infedele, manipolativo della situazione e, quindi, causa della compromissione della percezione del peggioramento della qualità della vita civile in regione.
L’illusione del risparmio, poi, cesserà presto di fronte alla certezze che i cittadini rinunciano alle cure, con peggioramento di morbilità e mortalità, oppure vanno fuori regione con ribaltamento dei costi sul fondo sanitario regionale, annullando il risparmio atteso.
Tutti sappiamo che questa nostra terra ha, per costituzione, costi più elevati nella erogazione di qualsiasi servizio e una difficile raggiungibilità delle economie di scala, motivo per cui la politica è tenuta a garantire la erogazione dei servizi anche in situazioni di mancata economicità e l’organizzazione degli stessi più in funzione dell’accessibilità che dell’economicità. La ricetta, con un disavanzo che rimane nonostante chiusure di presidi e riduzione diffusa di servizi, non può essere che una: ridurre sì gli sprechi ma chiedere anche più risorse allo Stato, garantendo prestazioni accessibili, sicure e di qualità, a tutti. Non farlo significa aggravare il divario con le aree contermini, con il resto del Paese e , paradossalmente, all’interno stesso della realtà regionale, minando definitivamente il futuro dei molisani. Non si perda più tempo, perciò, si metta mano seriamente ai Piani congegnati da e per ragionieri – ottima categoria professionale, per carità – e non da e per i malati e si alzi la voce a Roma, sulla base delle nostre oggettive ragioni.
Considerazioni molto simili merita la partecipazione pubblica in attività imprenditoriali.
Certo che la regione non deve fare zucchero e polli! Ma perché una pubblica istituzione si è trovata o è stata costretta a fare l’imprenditore? E’ avvenuto sempre perché chi doveva fare attività imprenditoriale nel mercato, non ha fatto o non ha potuto fare quello che doveva con rischi più o meno gravi sul piano economico- occupazionale e, quindi, della tenuta sociale.
A quel punto l’intervento economico, dovunque nel mondo, è doveroso e comporta l’impiego più o meno ingente di risorse pubbliche per salvaguardare gli interessi pubblici e il capitale sociale costituito dai posti di lavoro, dalle capacità e professionalità individuali, dall’economia di contesto legata all’azienda. E il problema, da sempre, non è nell’erogazione delle risorse ma nelle capacità dell’azienda aiutata a saperle utilizzare al meglio.
Cosi ha fatto e continua a fare lo Stato, così hanno fatto e continuano a fare tante Regioni. Così è stato fatto per lo Zuccherificio, così per la GAM, nonostante fossero venuti meno quelli che avevano assunto pubblicamente impegni (governo nazionale, diverse organizzazioni sindacali ed associazioni di categoria, altri soggetti pubblici partecipanti).
Quando lo si è fatto, ciò è avvenuto per evitare le gravi conseguenze della cessazione dell’attività sul tessuto economico e sociale del territorio, assai più costose dell’intervento di sostegno.
Un esempio. Quando si decise di proseguire l’attività saccarifera, accettando (tutti d’accordo) di pagare la tassa di ristrutturazione, una primaria società di revisione valutò in oltre 126 milioni di euro il danno complessivo conseguente alla chiusura dello stabilimento.
Oggi quelli che fanno le somme non considerano che, oltre alla scomparsa dell’unica azienda saccarifera al di sotto del Rubicone, sosterremo i costi per la demolizione della fabbrica, lo smaltimento dei materiali, la perdita patrimoniale, la bonifica ambientale, il saldo dei debiti, gli ammortizzatori sociali “lunghi”, la perdita delle quote, la scomparsa dell’indotto.
Questo succederà! Per lo Zuccherificio le esequie sono agli sgoccioli. Per la Gam e la filiera avicola molte delle precedenti ragioni valgono pienamente. Con un’aggravante, per il sostegno e il rilancio: la particolarità della produzione legata a tempi definiti e brevi sia per l’allevamento che per la lavorazione e la successiva distribuzione.
Vorrei credere alla società di Amadori, ancorché piccola e sottocapitalizzata. Ma l’esperienza fatta, in tre anni, con AIA e Amadori, non mi lascia tranquillo. Chiunque capisce subito che per loro è e sarà più conveniente che qui si lavori per conto, senza avere i problemi delle maestranze, degli immobili e delle macchine. Sono i padroni del mercato e il loro interesse è difficilmente conciliabile con gli interessi sociali e produttivi di una piccola regione, se non attraverso l’erogazione di ingenti risorse pubbliche(!!!!).
Si è fatto un grave errore nel lasciare che le due filiere esaurissero la loro consistenza per consunzione. Quando si faranno bene i conti si capirà che lasciare accesa l’ultima candela, sarebbe costato meno che farla spegnere. Forse si è ancora in tempo, però!
La politica si assuma la responsabilità di riaccendere il lume a Termoli e a Boiano, immaginando e perseguendo, con ruolo attivo e principale, obiettivi e soluzioni.
Alla fine, con la luce accesa e dritti sulla schiena, è più facile che qualcuno che ha veramente interesse porti la corrente e le lampadine.

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