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giovedì, Marzo 28, 2024

Aumentano le malattie croniche anche in Molise: come gestirle e prevenirle

AttualitàAumentano le malattie croniche anche in Molise: come gestirle e prevenirle

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di MINO DENTIZZI

Le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte quasi in tutto il mondo. Si tratta di un ampio gruppo di malattie, che comprende le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche. Ci sono poi anche le malattie mentali, i disturbi muscolo-scheletrici e dell’apparato gastrointestinale, i difetti della vista e dell’udito, le malattie genetiche. Secondo il rapporto Oms “Prevenire le malattie croniche: un investimento vitale”, circa 17 milioni di persone muoiono prematuramente ogni anno proprio a causa di un’epidemia globale di malattie croniche.

La tendenza all’invecchiamento della popolazione (evidenziata dagli studi epidemiologici e demografici), porta con sé un aumento notevole della rilevanza delle patologie croniche anche in Molise e di conseguenza la modifica della domanda di assistenza.

In Molise nel 2013, su cento persone intervistate dall’Istat, 38 hanno risposto di soffrire di una malattia cronica, 21 hanno invece detto di averne almeno due. Tra le patologie con le percentuali più alte, l’artrosi (19,6) e l’ipertensione (17,4). Dall’indagine emergono altri dati sulla salute dei molisani: l’8,7% ha riferito di essere affetto da osteoporosi, il 5,9% da diabete o bronchite.

Queste malattie non si prestano a essere curate dal modello classico della “medicina d’attesa”, disegnato sulle malattie acute, secondo il quale il medico attende che il paziente giunga da lui sottoponendogli un disturbo o una malattia che il più delle volte potrà essere risolta, anche ricorrendo a tecnologie raffinate, in un periodo breve.

La gestione di una malattia cronica deve prevedere che tutti i settori del sistema sanitario e in certi casi di quello socio-assistenziale s’integrino e si coordino in maniera predefinita e condivisa, disegnando dei percorsi diagnostico-terapeutici, affinché i pazienti possano essere seguiti, al livello più appropriato, lungo tutto il decorso della malattia, a secondo del tipo di necessità.

Bisogna disegnare e attuare un diverso modello assistenziale di gestione delle malattie croniche che non aspetta il cittadino in ospedale, ma gli “va incontro” prima che le patologie insorgano o si aggravino, garantendo quindi al paziente interventi adeguati e differenziati in rapporto al livello di rischio, puntando anche sulla prevenzione e sull’educazione.

Una buona gestione delle malattie croniche deve prevedere allora che il medico si prenda cura in maniera attiva delle persone, invitandole a sottoporsi ai controlli e offrendo loro un insieme d’interventi personalizzati che, iniziando prima dell’insorgere della malattia, o prima che essa si manifesti o si aggravi, possano curarla nel corso degli anni e rallentarne l’evoluzione.

Dalla sanità di attesa (i pronti soccorsi intasati e le lunghe liste di attesa per le visite specialistiche che aspettano che arrivi il paziente) bisogna passare a quella che è stata definita la sanità d’iniziativa che si basa sull’interazione proficua tra il paziente (reso più informato con opportuni interventi di formazione e addestramento) e i medici, infermieri e operatori sociosanitari.

La sanità d’iniziativa mira, dunque, sia alla prevenzione sia al miglioramento della gestione delle malattie croniche in ogni loro stadio e riguarda dunque tutti i livelli del sistema sanitario, con effetti positivi attesi sia per la salute dei cittadini che per la sostenibilità stessa del sistema.

La messa in pratica di un tale modello é molto impegnativa e pone diversi problemi. Innanzitutto richiede l’uso di risorse pubbliche e l’investimento di molte energie, anche economiche e parte dal presupposto che rappresenti un vantaggio per la salute dei cittadini ma anche per la sostenibilità del sistema sanitario (riduzione degli interventi e dei costi legati a eventi gravi o invalidanti).

Ma forse è più semplice per tutti (assessori, direttori Asl. medici, infermieri, e forse anche pazienti) che si discuta solo sui posti letto ospedalieri. Forse perché un sanità d’iniziativa può essere solo pubblica?

 

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