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giovedì, Aprile 25, 2024

La fabbrica (di mattoni) dei Petrucciani e l’isola che non c’è

CulturaLa fabbrica (di mattoni) dei Petrucciani e l’isola che non c’è

di MARINA BUCCI

L’ex fabbrica di mattoni Petrucciani, tra Campobasso e Ripalimosani, oggi è un’isola di macerie, una visione spettrale che ritrae un rudere annientato dalla natura e dall’incuria. Inattiva e dismessa definitivamente nel 1986 rappresentò un’impresa all’avanguardia per i tempi, sia dal punto di vista architettonico che imprenditoriale.  La sua costruzione iniziò nel 1899, quando la famiglia che si occupava dapprima della vendita di materiali da costruzione lavorando marmi e lavagne, decise di intraprendere l’attività di produzione di laterizi. In realtà questa non era solo una fornace, ma anche gessificio, saponificio e laboratorio di ceramiche decorative. Il suo passato è strettamente legato alla disponibilità di ampie cave soprattutto di solfato di calcio presente in natura, in prossimità della stazione ferroviaria, basti pensare poi che i gessi di Ripalimosani venivano esportati in ogni parte dell’Italia meridionale, su centinaia di asinelli prima e con trasporti più moderni in un secondo tempo. Dopo la costruzione della fornace si realizzarono due teleferiche che servivano per il trasporto dell’argilla, una di queste oggi è ancora visibile e proprietà del colorificio Giampaolo anch’esso oggi dismesso e situato proprio in prossimità dell’isola.  Nel 1913 sotto la gestione del signor Giuseppe, figlio di Lorenzo Petrucciani, che aveva dato inizio alla società, lo stabilimento subisce notevoli trasformazioni dando inizio alla costruzione degli altri edifici intorno alla fornace: gli essiccatoi, la sala macchine, l’officina artistica sede del laboratorio dove si realizzavano elementi decorativi e di vasellame, il gessificio e il saponificio accanto agli uffici, la falegnameria, il palazzo residenziale e le case operaie. La costruzione di queste ultime è dovuta alle ragioni strettamente legate allo sviluppo del complesso industriale e questo ci fa comprendere come questi piccoli imprenditori possedessero una situazione economica privilegiata. Certamente questo non era un “villaggio operaio” vero e proprio, era costituito da semplici ed umili alloggi per gli operai e per le proprie famiglie. All’interno dello stabilimento lavoravano centoventi operai, anche se il numero poteva variare a seconda del fabbisogno, tra questi sappiamo con sicurezza che erano presenti anche le donne e persino i bambini. Ognuno di questi operai aveva un compito ben preciso, il loro lavoro cominciava ai primi chiarori dell’alba e terminava alla sera, con la preparazione dell’argilla per il mattino seguente. L’officina era molto rinomata, aveva una produzione di circa 3 milioni di pezzi che venivano esportati anche fuori regione. La sua storia centenaria è ricca di costruzioni, progressi e trasformazioni innovative, ma anche travagliata. Nel 1943 infatti, semidistrutto dalla truppe tedesche in ritirata, lo stabilimento subisce ingenti danni diventando poi un ospedale da campo per soldati canadesi. La ricostruzione nel dopoguerra fu faticosa, ma grazie a finanziamenti per l’industrializzazione del Mezzogiorno due anni più tardi fu riattivata, con modifiche all’impostazione originaria, con la ricostruzione della canna fumaria, ormai completamente distrutta. Ma nel corso degli anni fu colpita da diverse sventure, quella più grave nel 1984 quando a causa di un incendio divampato per la mancata chiusura di una valvola di alimentazione venne distrutta l’intera copertura del forno. L’anno successivo, non a caso l’impresa Petrucciani chiuse i battenti, seppellendo per sempre anche un capitolo di storia molisana. Negli anni successivi il complesso venne depauperato, furono rubati mattoni, laterizi e capitelli che decoravano i diversi edifici. Qualche anno fa si è molto discusso sullo stato di degrado in cui versava e sulle possibilità di un recupero e persino sul suo abbattimento, nessuno però ha mai realmente tenuto conto del suo valore storico e industriale. Ormai a ricordare la sua esistenza è solo la canna fumaria che svetta sul paesaggio, non né rimane che un rudere in un’area agricola. Insomma un isola che non c’è.

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