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giovedì, Marzo 28, 2024

Cinquant’anni della Regione, mezzo secolo da studiare e del quale fare tesoro per il futuro

AttualitĂ Cinquant'anni della Regione, mezzo secolo da studiare e del quale fare tesoro per il futuro

di STEFANO FIORETTI

La legge costituzionale del 27 dicembre 1963, n. 3, approdata alla Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 1964, modificò l’articolo 131 della Carta decretando la nascita della nostra Regione. Il 27 dicembre 2013, dunque, il Molise ha compiuti i suoi “primi 50 anni”: mezzo secolo da studiare e del quale fare tesoro per il futuro.

Ciao ciao Abruzzo, dunque, e via all’avventura in proprio. Al di lĂ  di quella data ufficiale, la storia del Molise affonda le radici in un passato ben piĂą lontano. L’Alto Medioevo, la cultura Greco / Bizantina, il Regno di Napoli, la Capitanata e i Borboni, passando per il brigantaggio e fino all’approdo all’autonomia: solo cenni di alcuni dei passaggi epocali del nostro fazzoletto di terra che ha molta piĂą strada alle spalle che non il mezzo secolo appena compiuto.

Studiare il passato e la Storia può essere utile, bello, appassionante o obbligatorio, a seconda delle specifiche situazioni. Gli ultimi e primi 50 anni del Molise vanno invece esaminati a fondo con il preciso obiettivo di prepararsi al meglio ai prossimi decenni, dei quali saranno determinanti gli anni immediatamente a venire. Le parole pronunciate dal Governatore Frattura per la ricorrenza sono condivisibili in termini puramente formali e non poteva essere diversamente. Vi sono però tante cose su cui rifletter, vari  errori da non ripetere e uno sviluppo da ripensare, con un occhio sempre attento alle disposizioni normative nazionali che si affastellano in modo ancor piĂą sdegnoso dopo il disastroso impianto di quel “Federalismo a metĂ ” che proprio in questi mesi sta producendo i guasti piĂą clamorosi, come in tanti avevano in fondo preconizzato, in particolare in quanto a fiscalitĂ  e rapporti tra i vari livelli istituzionali. La ricerca delle criticitĂ  ci mette di fronte all’imbarazzo della scelta e per questo è opportuno indivuiduare quelle che potrebbero pregiudicare la sopravvivenza del Molise, che in molti mettono in dubbio ma che va assolutamente perseguita.

Frattura si è concentrato soprattutto sui giovani ma ha anche ricollegato le varie generazioni, con il giusto intento di “spingere” il concetto di una continuitĂ  per una gestione che sappia da un lato conservare tradizioni e Storia e dall’altro rinnovarsi proiettandosi verso un futuro di autonomia vera. Ha affermato poi il Presidente che l’evento dei 50 anni va dedicato “al lavoro, il solo motore della crescita e dello sviluppo sociale”. Concetto sacrosanto, salvo aggiungere che il lavoro ha bisogno di imprese solide e, se possibile, di successo.

Tessuto economico, quindi imprese e lavoro, e costi della politica: può giovare una breve riflessione su questi punti, ricordando che tante altre problematiche giacciono comodamente sul tavolo, sperando che non vi restino per sempre.

Con riguardo al primo dei due temi giova ribadire che questa regione ha immediato bisogno di riportare al centro della propria stessa vita innanzitutto agricoltura, pesca e turismo, poi servizi ed infrastrutture, da sviluppare puntando sulle nuove tecnologie e sul posizionamento geografico strategico e privilegiato, infine ambiente, perchĂ© il Molise possa cessare di essere una… frana. Gli insediamenti industriali devono essere oggetto di un’attenta revisione in grado di salvaguardare le iniziative che garantiscono sviluppo, diretto ed indotto, e dismettere progressivamente le strutture che invece sono state create o per intercettare finanziamenti ed agevolazioni legati al territorio o per “sbarazzarsi” di fasi, per così dire, scomode del processo produttivo, che sia di beni o servizi poco importa. C’è bisogno di imprese dimensioni piccole e medie, diremmo a “base familiare allargata”, agili, capaci di crescere progressivamente e in grado poi di rapportarsi con l’economia globale, meglio ancora ovviamente se costruite su capitali e lavoro locali. Serve però una classe dirigente in grado di togliersi i paraocchi, di guardare meno ai risultati (elettorali?) nell’immediato e piĂą a medio termine e capace di sedersi attorno al fatidico tavolo dei progetti, ipotecando quanto meno alcune decine di anni.

Parlare dei costi della politica in Molise ci fa mettere i piedi nel classico campo minato. Dalla discussione da bar fino alla piĂą raffinata delle analisi ce n’è davvero per tutti in quanto a polemiche, liti, contrapposizioni e strumentalizzazioni. PoichĂ© però i numeri sono tutto è doveroso tirare in ballo alcuni dati significativi. Così, ad esempio, dalle nostre parti il costo del Consiglio regionale supera i 14 milioni di Euro per anno a fronte di poco piĂą di 313 mila abitanti. Nelle Marche per una popolazione di oltre 1 milione e mezzo di unitĂ  la spesa complessiva è di poco piĂą di 22 milioni di Euro. Il confronto è impietoso e si commenta da sĂ©. Passando al costo in Euro per abitante: sono 45 in Molise, 14,3 nelle Marche e 7,7 in Emilia Romagna, tanto per restare sull’Adriatico. Anche a voler considerare il “collo di bottiglia” costituito dalle ridotte dimensioni del territorio, con le questioni puramente matematiche che questo comporta, il dato resta esagerato. Il guasto da rimuovere prima possibile sta però nella lentezza che impantana crescita, progettualitĂ  e decisioni. La burocrazia in Italia è macchinosa ma da noi lo è ancor piĂą. Oltre ciò, popolazione e politica non riescono ancora ad interpretare la continuitĂ  dell’azione di governo: la classe dirigente regionale non riesce a fare un salto di qualitĂ  tale da renderla capace di recepire e portare avanti le cose buone, ammesso ve ne siano, messe in campo dai predecessori, limitandosi a revocare o correggere quanto non funzionale allo sviluppo dei territori in prospettiva futura.

Ho letto da qualche parte che <<L’ordinamento regionale deve considerarsi il punto di approdo di un lungo e tortuoso cammino poggiato sul convincimento che il decentramento fosse la soluzione piĂą opportuna in quanto esso, senza minare l’unitĂ , avrebbe consentito di tenere in considerazione le diversitĂ  geografiche e storiche del Paese, creando così le condizioni di uno sviluppo “piĂą ordinato ed armonico” delle stesse>>. Bene, anzi male: in questo senso siamo in ritardo. Bisogna lavorare molto e subito per giocare d’anticipo e ridurre l’impatto del disordine e dell’approssimazione con le quali in ambito nazionale si sta riducendo la macchina pubblica a un colabrodo. Bisogna impegnarsi per avviare un percorso di crescita tale da renderci in grado, nei prossimi anni, di giocare un ruolo importante nell’ambito di un riassetto del Paese che prima o poi dovrĂ  pur uscire dai sogni e divenire realtĂ .

 

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