Tra pochi giorni sarà Natale e dai frati cappuccini di Campobasso si leva un appello accorato e drammatico. C’è un esplosione di povertà – dice padre Luigi, guardiano del convento del Sacro Cuore – e manca tutto: cibo, coperte, indumenti. I frati chiedo aiuto e solidarietà. A disposizione il convento, la Caritas e un numero a cui chiamare: 3319966944.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. E’ forse questa l’espressione più bella di quella meravigliosa e semplice preghiera che recitano ogni giorno milioni di persone, il Padrenostro. Il pane quotidiano, esattamente ciò che manca ad un numero infinito e crescente di uomini e donne, persone che spesso immaginiamo disperse in continenti lontani e che, invece, abitano esattamente a pochi metri da noi. Non li vediamo, spesso fingiamo di non vederli, come fossero trasparenti, ma ci sono e sono tra di noi e noi tra loro. Nella casa adiacente alla nostra, lungo la strada, seduti sul medesimo autobus, immobili dentro la stessa coda. Fermi al semaforo, sul marciapiedi, accanto alla nostra auto che ci guardano, quasi sempre non guardati, con occhi coperti di velo. Schiacciati da quella immensa cataratta di piombo che è l’indifferenza, la nostra indifferenza, non quella delle istituzioni, della politica, o di tutti gli altri infiniti alibi che utilizziamo per giraci comodamente e colpevolmente dall’altra parte. Quei poveri, va detto a chiare lettere, sono la nostra cattiva coscienza. E’ per questo che giriamo lo sguardo, per ignorare loro e ignorando loro per non guardare noi stessi allo specchio.
“E’ Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese”. Queste parole, di Charles Bukowsky, che santo non era come non lo siamo noi, le voglio usare per raccontare una storia, una storia semplice, di persone che restano accese sempre, tutto l’anno, luci che non si spengono mai. Sono le fiaccole di una fraternità, quella frati Cappuccini del convento del Sacro Cuore di Gesù, in piazza San Francesco a Campobasso. “I poveri sono i nostri padroni. Sono loro che ci aprono le porte del Paradiso”, dice padre Luigi, il parroco e guardiano del convento; parla col sorriso di chi l’Altromondo lo ha già visto da questo. Un sorriso che presto vira in tenerezza e malinconia alla pronuncia di quella parola, “poveri”, uomini e donne che bussano tutti i giorni e a tutte le ore alle porte del convento. Chiedono di tutto a questi frati che però, poveri anche loro sulle orme di Francesco, hanno sempre meno da dare. “Non servono soldi”, dice padre Luigi quasi a sottolineare la drammaticità di una condizione che è infinitamente più lacerante di quanto si possa immaginare. “Servono beni di prima necessità. Pasta, scatole di tonno, latte, olio, pomodori in barattolo, legumi, zucchero. Coperte, scarpe, indumenti”. L’elenco potrebbe continuare, ma non voglio aggiungere nulla alle parole di fra Luigi. Non serve, non ce n’è bisogno. Ciascuno la lista può compilarla e completarla a modo proprio.
Quello che resta da dire è semplice. E’ Natale e i poveri, abbagliati dalle lucette, storditi dai botti, sono ancora più poveri e trasparenti degli altri giorni. Facciamo una spesa per loro, portiamo una coperta, un paio di scarpe, qualche indumento nuovo e se non è nuovo che sia lavato, pulito, stirato e profumato. Bussiamo al convento, i frati sono sempre lì, aspettano un gesto di generosità. Chi volesse può chiamare direttamente padre Luigi al numero 3319966944, oppure un suo stretto collaboratore (Gennaro) al 3283385896. Inoltre, gli uffici della Caritas adiacenti al convento sono aperti tutti i giorni, salvo il giovedì, dalle 16,30 alle 18.
Il mio pezzo finisce qui. Per una volta non ho scritto in terza persona, come faccio da anni, perché questo non è l’articolo di un giornalista che ha la presunzione di esprimere un punto di vista condiviso da altri. Questo è l’appello di una persona che ha la fortuna di esercitare una professione, quella giornalistica, che gli permette di parlare a molte altre persone. I giornalisti non parlano alle allodole, quello lo fanno i santi come Francesco, ma hanno il privilegio di parlare a tanta gente. Fortuna a cui nel mio caso se ne aggiunge un’altra: quella di lavorare nel gruppo editoriale più grande di questa regione, Telemolise, che ha fatto delle cause sociali una delle sue tante ragioni di vita. Date una mano ai frati cappuccini (o a chi volete), saremo tutti meno poveri. Entrando nella chiesa dei frati, quella recentemente riconsacrata alla Vergine Maria come “Regina della Pace”, c’è una sfilza di santi che fa tremare: Antonio, Pio, Francesco. Tutti frati minori, tutti cappuccini, vorrà dire pure qualcosa, vero?