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venerdì, Aprile 26, 2024

Le Miroir (Lo specchio) – 3^ episodio: sogno o realtà?

CulturaLe Miroir (Lo specchio) - 3^ episodio: sogno o realtà?

di Marco Bertelli dal blog Kunta Kinte

Catapultarsi da Milano a Parigi è un po’ come assistere a una partita a dadi tra il sogno e la realtà. Scendendo da un treno notturno questa sensazione sembra più reale che mai. Ti addormenti con impressi nella tua mente i ritmi e le immagini di una città che, in fondo, ti è familiare; quando ti svegli, invece, ciò che vedi è qualcosa di insolito. La lingua diversa non è l’unico segno distintivo di un posto “straniero”. L’architettura delle case, la gestualità delle persone, sono tutte cose che ti spiegano che lo scenario che ti circonda è cambiato. Persino l’aria che respiri sembra abbia un altro peso, un altro aroma. Non è così scontato pensare che oggi, come ogni altro giorno, ti sei svegliato. Non è follia credere che ciò che vedi intorno a te sia un sogno iniziato dentro un vagone-letto, e non ancora svanito. Il dilemma sogno/realtà non accenna a risolversi, mentre comincio ad avventurarmi nella grande “Ville Lumière”, salendo e scendendo dalla sua superficie e dai convogli della ragnatela del Métro. Esistono almeno due città diverse dentro Parigi: quella di superficie, dove vengono scattate le foto che rappresentano la sua immagine elegante, da mostrare al mondo intero, il quale, dopo averle attentamente esaminate, le rimanderà la sua ammirazione sotto forma di incessanti flotte di turisti che si impossesseranno di quella mirabile superficie. Poi esiste la città sotto la superficie, dove vengono a contatto i suddetti turisti con gli abitanti veri di Parigi, che raramente sono reperibili in superficie se non in veste di commesse di negozio, di impiegato di agenzia viaggi, di museo o altra attività che comporti un rapporto con le flotte turistiche. I parigini vivono con un certo distacco la loro “pariginità”, sembrano alieni alle attrattive ed alle bellezze del patrimonio culturale che sfreccia sopra le loro teste, i loro occhi sembrano trattare i turisti come suppellettili che non danno sufficiente risalto ad un salotto di vecchio stile, ma comunque ancora alla moda. Non sembrano tristi, né rassegnati a convivere con potenziali invasori che, per numero e peso economico, potrebbero fregiarsi al loro pari del titolo di “parigini”, ma fanno chiaramente trasparire dai loro atteggiamenti distaccati, a tratti affascinanti e a volte un po’ altezzosi, che la Parigi di cui sono in cerca i turisti, nulla ha a che fare con la Parigi di cui loro si sentono interpreti. Nei labirintici meandri del sottosuolo, solcato da convogli senza tempo, la realtà della Parigi “autentica” si confronta col sogno della Parigi “turistica”, e contemporaneamente il sogno dei parigini “autentici” sfida la realtà monumentale della Parigi “turistica”. Un naufrago, quale io sono, non appartiene né al sogno né alla realtà che turisti e parigini si contendono; ma io devo scegliere la mia realtà per trovare la rotta che forse ho solo sognato in quel bar di provincia, che ora mi sembra più lontano che mai. Anche la realtà davanti ai miei occhi sembra sempre più lontana, inafferrabile, indecifrabile. Questa commistione di sogno e realtà offusca in me il senso del tempo e delle cose. O forse è questo mezzo di trasporto sotterraneo che ha trascinato sotto il livello della superficie, assieme a me, anche il mio animo. Disorientato tra sogno e realtà, stento a trovare l’istinto che avevo seguito all’inizio del mio viaggio. Devo assolutamente risalire in superficie. Perso tra questi pensieri di sconforto, non mi sono accorto che il vagone del métro è stato abbandonato dai turisti, e si sta dirigendo in una zona periferica. Una signora, seduta di fronte a me, deve aver notato le vicissitudini pensatorie del naufrago suo occasionale dirimpettaio. Mi guarda con un mezzo sorriso, tra il divertito e il compassionevole. Forse pensa che, assopito nei miei pensieri, abbia dimenticato di scendere qualche fermata prima. Però è insolito che qualcuno noti le mie evoluzioni cervellotiche, specie in un posto dove ognuno tende a non occuparsi troppo degli atteggiamenti altrui, preferendo badare ai fatti propri. La signora indossa un tailleur grigio chiaro di stoffa leggera, molto elegante. Corporatura snella, viso leggermente affilato. Capelli castani lisci, raccolti sulla nuca, trucco leggero attorno agli occhi dello stesso colore del crine, che risaltano, grandi, sopra zigomi appena un po’ sporgenti. Naso lievemente appuntito, ideale vertice di un triangolo la cui base è formata dall’onda delle carnose labbra, sulle quali il poco rossetto carminio non deve affaticarsi troppo per far brillare quel mezzo sorriso, che invoglia chi lo guarda ad immaginarne anche l’altra metà. Un’artistica fossetta scava il mento stretto, donando un tocco di fascino parigino al tutto,  lasciando anacronistico ogni eventuale interrogativo sull’età.
Le abbozzo, di rimando, un mio mezzo sorriso, nel tentativo di confermarle quel che suppongo abbia pensato, evitando di rivelare il naufragio che è in corso in me. Rapidamente il suo sguardo devia verso l’esterno del vagone: è la sua fermata. Mentre ricompone il suo mezzo sorriso, la signora si prepara a scendere, non tralasciando di riporre nei miei occhi un suo ultimo sguardo, stavolta più diretto e serio, quasi a segnalarmi che quella fermata potrebbe essere anche la mia.
In effetti, riflettendoci e naufragandoci su, a questo punto quale potrebbe non essere la mia fermata?
La scritta dice Belleville, località di Parigi decentrata rispetto alla zona turistica, ammeso che a Parigi vi siano zone non turistiche. La signora si avvia con passo elegante e sicuro verso la porta scorrevole dell’uscita e i passeggeri rimasti sul vagone, quasi avessero udito un richiamo, si alzano all’unisono accodandosi a lei, quasi meccanicamente, come per seguire l’hostess che li conduce all’imbarco sull’aereo. Incuriosito da questa inaspettata scena mi accodo anch’io, ultimo della fila. L’hostess scende dal convoglio e si dirige svelta verso la scalinata che porta alla superficie facendo da capofila anche ai passeggeri scesi dagli altri vagoni, unendoli in una specie di serpentone umano che sale all’aria aperta, mentre il serpentone sotterraneo sbuffa chiudendo le porte, e striscia velocemente sferragliando verso le successive stazioni del suo antico tragitto. In coda al rettile umano salgo gli ultimi scalini, e mentre i tiepidi raggi del sole primaverile sciolgono le squame di quel serpentone, disperdendolo, scorgo da lontano la sinuosa sagoma dell’hostess entrare dentro la porta di una vetrina di un’agenzia viaggi: “adieu, ma belle dame!” penso rassegnato.
A Belleville oggi è giorno di mercato, e sotto i palazzi immortali di una Parigi stile “belle époque” scorre impetuoso un fiume di bancarelle e di gente multicolore, in stile “nouvelle époque”.
L’aria di un aprile generoso di raggi solari si unisce al tutto, diffondendo caldi effluvi speziati dalle origini più disparate: africana, orientale, caraibica, con qualche profumo tipicamente mediterraneo a fare da sottofondo ad una sinfonia di aromi che risuona festosa, senza bisogno di direttore d’orchestra. La stagione primaverile non esita neppure a far risaltare i colori, sgargianti e festosi nelle etniche vesti di corpulente donne africane che si aggirano tra i banchi della frutta e della verdura, scegliendo con antica perizia i pezzi più intonati ai colori dei tessuti che indossano, eredità della loro terra lontana. Persino il grigio delle gonne delle signore indigene sembra splendere al riflesso verde smeraldo delle foglie di lattuga esposte dagli ortolani. Le voci si propagano libere nell’aria tiepida, parlano tutte le lingue e nessuna, raccontano in arabo storie di maghrebini ormai francesi, parlano in francese di europei di pelle scura importati da un Senegal per loro ormai dimenticato. Suonano come tanti mantra che si intrecciano a formare un rumore solo, un rumore indecifrabile, ma che ha in se’ qualcosa di magico. Una magia che mi avvolge, mentre lentamente cammino tra bancarelle e folla, e confonde sempre di più realtà e sogno. Finchè giungo a non distinguerli più del tutto, nel preciso momento in cui, tra una bancarella di frutta tropicale e una di stoffe ivoriane, improvvisa come un temporale ma piacevole come una carezza, mi si para davanti lei: l’hostess che avevo incontrato in métro, nonché capofila del serpentone umano. Tiene tra le mani un plico di lucidi volantini pubblicitari plastificati e sul viso uno sguardo luminoso e caldo come il sole di primavera, il suo sorriso non lo so descrivere ma mi lascia piacevolmente frastornato. Mentre ricevo senza accorgermene il suo messaggio pubblicitario, senza riuscire a ricambiare con un mio messaggio qualsiasi la vedo passarmi oltre, con la sinuosa falcata che la contraddistingue, mentre un altro serpentone umano vedo formarsi dietro i suoi passi, facendola di nuovo sparire dalla mia vista. Senza accorgermi faccio scivolare dalle dita il volantino che si perde a terra. Alcuni istanti senza pensieri mi scombinano la mente; ormai non so più se davvero ho assistito a quella scena o se l’ho solo immaginata. Il mio dubbio viene subito risolto: si alza un improvviso vortice di vento, impetuoso quanto impertinente; si sollevano polvere e cartacce da terra e si mettono a svolazzare, e mentre mi rimetto a camminare una di queste cartacce mi si spiaccica in piena faccia. Lo riconosco, è il volantino che la serpentessa-hostess mi aveva consegnato e che mi era sfuggito di mano. Il vento, evidentemente, vuole che lo legga. C’è la foto di un enorme specchio in una cornice in stile seicentesco. E’ scritto in francese, ma insolitamente c’è anche la traduzione in italiano: “Le Miroir – Il locale più impensabile del mondo. Nulla di quel che vedrai l’avresti mai pensato. Vedrai ciò che hai sempre pensato ma che non avresti mai immaginato. Le Miroir ti porta sulla rotta giusta. Vienici a trovare: 19, boulevard Cristophe Colombo (dietro il molo 26 dov’è attraccata la scialuppa) Boulogne sur Mer”. A parte il misterioso riferimento sulla scialuppa attraccata al molo 26, che non vedo come possa orientare meglio il potenziale avventore, credo che ci siano cose interessanti che mi aspettano a Boulogne sur Mer.

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