“Adesso voglio vedere chi avrà ancora il coraggio di dire che non ci mettiamo la faccia…”. Il giorno dopo il varo del decreto legge che dispone la riapertura dell’Ilva, e impone all’azienda l’avvio immediato degli investimenti per la bonifica ambientale dell’area e l’introduzione delle “migliori tecnologie produttive”, Corrado Passera non ha dubbi: “Abbiamo fatto la cosa giusta, e l’abbiamo fatta in tempi record”.
Sei ore di Consiglio dei ministri. E un provvedimento assai poco “ortodosso”, per un governo di tecnocrati liberali. Il decreto scavalca i sequestri disposti dalla magistratura, e ordina la riapertura immediata degli impianti. In caso di inottemperanza da parte degli azionisti del colosso siderurgico di Taranto, arriva a ipotizzare persino l’esproprio. Basterà a salvare il più grande polo dell’acciaio europeo?
Il responsabile dello Sviluppo economico ne è convinto: “Siamo partiti da un presupposto fondamentale. Non ci deve mai essere contrapposizione tra salute e lavoro. Siamo sempre stati convinti che anche all’Ilva i due diritti si debbano bilanciare. Il modo migliore per farlo, come dispone il decreto, è recepire le indicazioni dell’Aia, e procedere contestualmente alla riapertura degli impianti e ai lavori di risanamento e di ammodernamento. Vogliamo un’Ilva sostenibile, e vogliamo tutelare, al tempo stesso la salute pubblica e il lavoro di migliaia e migliaia di persone. Questo provvedimento lo rende finalmente possibile”. Ma perché non ci siano ulteriori intralci, il ministro si rivolge ai due interlocutori-chiave di questa crisi: l’azienda, che in questi anni si è macchiata di colpe gravissime. E poi la magistratura, che ha accolto con forti critiche l’intervento del governo.