In gioco non c’era solo la revoca del carcere duro: nella drammatica stagione delle bombe del ’92-’93 i capi di Cosa nostra puntavano a un “nuovo patto di convivenza Stato-mafia per traghettare dalla prima alla seconda Repubblica”, cercavano soprattutto “nuovi referenti politici”. E nel ’94 li avrebbero trovati, ne è convinto il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia: “Il lungo iter di una travagliata trattativa trovò finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell’Utri-Berlusconi, come emerge dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori Spatuzza, Brusca e Giuffrè”. Così viene riassunto nella memoria inviata dalla Procura di Palermo al gip Piergiorgio Morosini, che nelle prossime settimane dovrà decidere sul rinvio a giudizio di dodici imputati, fra boss e uomini delle istituzioni. In 27 pagine c’è la storia di un’inchiesta durata quattro anni, che oggi chiama in causa anche l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un ex capo della polizia e un ex vice direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, tutti non più in vita. Così scrivono i pm Di Matteo, Sava, Del Bene e Tartaglia: “Vincenzo Parisi e Francesco Di Maggio, agendo entrambi in stretto rapporto con il presidente Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del carcere duro”.