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martedì, Aprile 23, 2024

Monte Mutria. La montagna sotto il cielo

AttualitàMonte Mutria. La montagna sotto il cielo

di Annunziata D’Alessio

Monte Mutria. La montagna sotto il cielo Il 18 agosto alle ore 7:00 i sentieri della montagna si aprono per noi come per Petrarca verso l’alta vetta

Esiste un posto abitato da rondini e coccinelle, dove l’aria è sopraffina e sembra che Dio stia respirando per te, per animarti… Sono così accarezzate da un fiato divino tutte le vette dei monti, ma di sicuro è grande e speciale, più di una carezza, l’afflato che mi avvolge abbracciandomi ogni estate su Mutria. Non lontano dal luogo dove“dimoro”, c’è una giornata consacrata a questo abbraccio, scelta non dal calendario della grande Chiesa, ma dalla sola volontà dell’uomo semplice. Comunemente la chiamano ”evento”(…per fare notizia!), tuttavia credo che davvero in pochi sappiano quanto quell’incontro in cima sia privilegiato. Una spedizione di anime, provenienti dai d’intorni d’ogni dove, parte nel primo mattino da Bocca della Selva (1.393m s.l.m.: quota del bar-rifugio montano) e con circa un’ora di cammino avvia la sua ascesa al Monte Mutria (1.823m s.l.m.), la terza cima più alta del Matese. Incoronato da sette groppe intervallate da prati, radure e lussureggianti faggete man mano che si scende di quota, accanto al Monte Gallinola (1.923m) e al Monte Miletto (2.050m), Mutria fa da sentinella e segna il confine fra Campania e Molise. L’aspetto straordinario dell’evento, che da quando ne ho conoscenza mi affascina e incuriosisce, è la sua “elaborazione” in un risvolto dalla dimensione spirituale. Svettata la vetta, infatti, a ritemprare i prodi scalatori in questa eccezionale occasione non troviamo solo panini e fiaschetto (… che seppur deliziandoci, vengono comunque dopo!!!) ma una sorta di adunanza che si compie intorno alla statua di Sant’Antonio, lassù posta dal 1993 e diventata meta di pellegrinaggio. Hic et nunc il momento di devozione viene sugellato dalla celebrazione della santa messa in un clima di celeste raccoglimento. Ed è miracolo! Scalo Monte Mutria con mio padre (…da uno dei suoi percorsi più ardui!) da quando avevo diciotto anni e ogni estate, durante la mia tradizionale salita al Monte, porto dentro di me le pagine della lettera più famosa all’interno dell’epistolario petrarchesco, in cui l’eccelso poeta descrive l’ascesa al Monte Ventoso. Petrarca sale arrancando e mentre il fratello Gherardo, che lo accompagna, avanza sereno e spedito, lui pare procedere (come nella vita!!!) tortuosamente, incontro a continui affanni. L’epistola, rivolta a Dionigi di Borgo San Sepolcro ⎼ frate agostiniano che pare avesse fatto dono al Petrarca di una copia delle “ Confessioni “ di Sant’Agostino, opera guida per le sue tribolazioni interiori ⎼ si risolve in un gigantesco climax strutturale del tutto funzionale ad un’allegoria densa di emozioni, dove concorrono a farsi breccia nel cuore del poeta diversi stati d’animo disposti a tracciare il solco per la sua morale. Il nostro Petrarca fu uomo difficile, profondamente segnato da un’eterna inquietudine, dalla centralità di un “io” sempre a metà fra gloria e vanità, salvezza e perdizione, logorato da un perenne dissidio tra il mondano e il divino, alla ricerca anelante di un riscatto rallentato sia dall’accidia della sua personale natura sia da una fragile visione della vita dell’Uomo, in cui vedeva ascritto il destino di noi tutti. La debolezza del Petrarca è facile coglierla, perché riguarda la nostra parte più umana: la paura e il desiderio, l’aspirazione e il vuoto, che si agitano nel cuore vulnerabile di ognuno. Soprattutto oggi, dove gli isterismi collettivi sono tanti, tutti diversi e meno riconoscibile di un tempo dentro i mille volti di falsi idoli dannatamente persuasivi. E allora quella scalata su Mutria, così come viene proposta nella sua insolita veste religiosa, può trasformarsi in una possibilità, evolversi in qualcosa di più rispetto alla comune, edonistica escursione fatta solo di sé. Può caricarsi di significato e assumere lo stesso valore che ebbe l’esperienza vissuta dal Petrarca sul Ventoso, dove l’ascesa al Monte diventa il simbolo di un faticoso cammino esistenziale verso l’autentico, una presa di coscienza individuale delle proprie fragilità, specchio di noi stessi, mezzo ideale per toccare le corde più intime, viaggio affascinante verso le più alte vette della…fede! Qui di seguito per voi riporto dalle Familiares una traduzione del testo in latino snellita con opportuni tagli: “Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Da molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall’infanzia e questo monte, che a bell’agio si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre negli occhi. […] Partimmo da casa il giorno stabilito e a sera eravamo giunti a Malaucena, alle falde del monte, verso settentrione. Qui ci fermammo un giorno ed oggi, finalmente, con un servo ciascuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento. La mole del monte, infatti, tutta sassi, è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben disse il poeta che «l’ostinata fatica vince ogni cosa». […] Mentre ammiravo questo spettacolo in ogni suo aspetto ed ora pensavo a cose terrene ed ora, invece, come avevo fatto con il corpo, levavo più in alto l’anima, credetti giusto dare uno sguardo alle “ Confessioni “ di Agostino, dono del tuo affetto, libro che in memoria dell’autore e di chi me l’ha donato io porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d’infinita dolcezza. Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina poteva capitarmi che non fosse pia e devota? Era il decimo libro. Mio fratello, che attendeva per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo. Lo chiamo con Dio e testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: «E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi». Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello, che desiderava udire altro, di non disturbarmi, chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande. Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi della mente in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentavano il mio silenzio. Non potevo certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri”. Ed è così che Uomo, Dio, Natura e Letteratura naufragano dolcemente insieme in questo mare di pensieri, dove la mente si libera, il cuore non si spaura… ma si fa grande e noi diventiamo “nuovi”.

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