L’Italia ancora bocciata in Europa. Dopo i record negativi sulla corruzione, sulle quote latte e sull’indice di digitalizzazione (per citare solo gli ultimi dati), ora tocca al mare o, meglio, al mercato degli stabilimenti balneari.
Secondo la Corte di giustizia europea, infatti, risulterebbero delle irregolarità nella gestione di questo servizio a causa di una legge che ha prorogato fino al 2020 la concessione delle spiagge ai balneatori italiani.
Una scelta, quella del governo Renzi, lontana dalla direttiva europea Bolkestein che liberalizza il mercato balneare tutelando la concorrenza con procedura pubblica e trasparente.
In soldoni: le spiagge vanno all’asta e la concessione del demanio marittimo andrà al migliore offerente, sia esso italiano o appartenente a qualsiasi altro paese europeo. Il rinnovo automatico delle concessioni è stato, fino ad oggi, l’unico sistema adottato nel Bel Paese, un privilegio che consente a pochi di gestire le spiagge, a famiglie che si tramandano l’attività da generazioni. Il tutto con costi poco popolari e negando, spesso, il libero accesso alle spiagge che – per legge – dovrebbe essere garantito. I gestori, infatti, in alcuni casi fanno addirittura pagare un biglietto d’ingresso per scendere in spiaggia.
Dunque in Italia il mare costa, e costa caro: secondo le ricerche di Federconsumatori, il prezzo medio di un abbonamento giornaliero nello scorso anno è pari a 25,70 euro per il noleggio di un ombrellone, una sdraio e un lettino. Non proprio spiccioli se si considera che gli altri servizi messi a disposizione dagli stabilimenti sono spesso carenti e inadeguati. Insomma negli anni ognuno ha fatto un po’ come voleva, ignorando le leggi e le regole del mercato. La sentenza della Corte europea – in programma per aprile/maggio – appare quindi inevitabile e con essa tutte le ripercussioni economiche che ci saranno.
silvia valente