L’arrivo del Natale è l’occasione per una riflessione tra passato e presente, tra le memorie di un mondo lontano e incantato, fatto di gesti, oggetti e relazioni a dimensione umana, e un mondo presente strangolato dal consumismo e dalla tecnologia.
Un tempo, quando c’era il boom economico, agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso, nei supermercati delle grandi città, nei negozi delle cittadine di provincia e negli empori di paese, quello che c’era, quando c’era, erano due solo due tipi di panettone: entrambi di Milano. Erano di due marche diverse ma, a parte il nome, erano identici in tutto. Forse anche nel numero di canditi e dell’uvetta. Torrone, cioccolato, panforte e ricciarelli, erano poi l’accompagnamento che si potevano concedere i più ricchi. Il di più, insomma, insieme a un bicchiere di spumante o, in alternativa, a un bicchierino di vermouth. L’albero si faceva, sopra c’era la Stella cometa e sotto c’erano i pacchetti ordinati e lineari nelle loro confezioni geometriche. Dentro, spesso, c’era un trenino o una macchinina. All’epoca i bambini erano bambini, le mamme e i papà erano papà e mamme. E così era per i nonni, che facevano i nonni. Paolo VI, il primo Papa che ci ricordiamo, la benedizione la dava all’urbe e all’orbe dal balcone di San Pietro e parlava in molte lingue, ma non tantissime. E poi c’era il Presepe, che era un rito farlo e un piacere vederlo. Questo era il Natale, quando gli auguri partivano settimane prima, scritti su cartoncini, dentro le lettere, vergati su una cartolina. Partivano con la posta e quando arrivavano era una mano, quella del postino, a consegnarli: due mani sigillavano una busta, due la recapitavano e due mani l’aprivano. Era questo il Natale.
Adesso che il boom è finito da tempo, il Natale è un’altra cosa. Ora che il boom è solo il rumore della crisi che è esplosa, oggi che la crisi morde, l’ingresso in un supermercato è paradossalmente un’incidente frontale con una muraglia di panettoni e pandori di mille marche locali, nazionali e internazionali; un frontale con una falange di tronchetti, marie, duemarie, tremarie, avemarie, padrenostri, gloria e zuccotti farciti. E dopo il frontale, se si è sopravvissuti, il decesso è assicurato da una slavina di cioccolati e cioccolatini, torroni e torroncini di tutte le misure, da montagne e frane di bottiglie ripiene di bollicine isteriche che si abbattono ad ogni angolo su famiglie lobotomizzate. Mamme che non fanno le mamme e fanno le amiche e babbi che non fanno i babbi e fanno i fratelli, insieme a nonni che non fanno i nonni ma fanno i babbi e le mamme di complemento e spingono carrelli stracolmi di ogni diavoleria e tutti insieme, babbi e mamme, nonne e nonni, tornati a casa, compongono alberi con lucette impazzite peggio di chi le ha comprate. I pacchetti assomigliano a ziggurat infiocchettate di coccarde che dentro nascondono mostri di plastica tossica, facce urticanti uscite dal televisore e dai cinema ed è tutto un suono di stazioni elettroniche e wi e wa e wu e pac man che ti mordono le chiappe. E i bambini, che fanno i bambini? Abbattono tutto, pacchetti e alberi di Natale, e atterrano pure i nonni e i babbi e le mamme. Toccano, scartano e sfasciano tutto prima del tempo. E pure il Papa, pure lui non è più quello di una volta: Ratzinger parla in tremila lingue sconosciute, come se fosse vittima di una strana possessione, proprio lui che i demoni multilingue dovrebbe metterli in fuga. E il Presepe? Il Presepe è solo un ricordo. Al telegiornale ce lo fanno vedere in un altro modo, che non è proprio quello del Natale in casa Cupiello ma quello composto con i bimbi scannati dalle bombe in Siria e Palestina, uccisi proprio dalle parti che hanno messo al mondo il Creatore. E gli auguri … gli auguri sono l’apoteosi di questo assurdo tempo cambiato: sono auguri seriali, tutti uguali, e partono da telefonini, computer e tablet. Impersonali e freddi ma la cosa che fa più paura è l’assenza di mani che scrivono, che imbustano e impostano, che consegnano, aprono e stringono al petto o accostano alle labbra un biglietto dell’amico, la lettera dell’amata, la cartolina di un parente lontano. Mancano le mani, mancano le persone, manca l’umanità.
Il Natale, ridotto così com’è ridotto, a rito consumistico, è arrivato anche quest’anno e, fortunatamente, anche quest’anno sta per finire tra riti triti, contraddizioni e memorie di un mondo incantato che non esiste più e che sempre più ci manca.