
Senza tregua. Non si placano le polemiche sul web (e non solo) per l’espulsione dai Cinque Stelle di Federica Salsi e Giovanni Favia. Sul caso prende posizione Federico Pizzarotti e scoppia anche la querelle sull’uso del logo. Il giorno dopo la decisione di Beppe Grillo, è ancora il consigliere comunale bolognese – intervistata da Sky Tg24 – ad attaccare: «Il M5S è gestito da una azienda che fa marketing pubblicitario che sta utilizzando una modalità comunicativa a senso unico: Grillo dà le sue opinioni a persone che seguono il prodotto; se il prodotto non piace vengono cacciate fuori». «Ora che il Movimento si sta approntando a livello nazionale, sembra che stiano gestendo tutto Grillo e Casaleggio nel loro ufficio – dichiara Federica Salsi -. Casaleggio è la parte che organizza e Grillo è il frontman che ci mette la faccia».
Se una delle espulse parla, l’altro tace. Dopo la prova di forza a Modena, ieri Favia è tornato a confrontarsi con la base a Ravenna. Intanto, si profila all’orizzonte – come anticipato dal Corriere – una battaglia sul logo, che il consigliere regionale intende utilizzare in sede istituzionale, dopo aver chiesto un parere legale all’avvocato Riccardo Novaga. «Il Non-statuto del 2009 prevede che il marchio Movimento 5 stelle sia registrato a nome di Beppe Grillo, che è quindi l’unico titolare dei diritti d’uso sul marchio stesso e che, come determinato dall’articolo 7, sia lui a dare il consenso per iscritto all’utilizzo del logo a ciascun candidato in occasione di ogni consultazione elettorale», spiega Anna Pellizzari dello studio Barzanò&Zanardo, specializzato in proprietà intellettuale. «Bisogna comprendere se, qualora il candidato venga eletto, sia implicito che tale facoltà di utilizzo del marchio sia esteso a tutta la durata del mandato – argomenta -. In questo caso, fatto salvo che non siano venuti meno i requisiti per far parte del movimento, Favia potrebbe utilizzare il marchio». Secondo Pellizzari: «In sostanza bisogna capire se l’eventuale contestazione di Grillo sia legittima, se il consigliere regionale non abbia i requisiti previsti dal Non-statuto».