Da anni vive sotto protezione, in un luogo tenuto segreto. Vincenzo Calcara non è un pentito di mafia qualunque. Le sue rivelazioni permisero di fare luce sulla strage di via D’Amelio, a Palermo, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Tra l’altro proprio a Calcara, un anno prima, Cosa Nostra chiese di uccidere quel magistrato che insieme a Falcone stava mettendo alle corde la mafia. Lui si rifiutò, poco dopo fu arrestato e dal quel momento cominciò a confidarsi con Borsellino, parlando di intrecci tra Stato, mafia, massoneria e servizi deviati. Nel suo lungo girovagare Calcara ha avuto a che fare anche con la provincia di Isernia. Proprio qualche giorno fa, difeso dall’avvocato venafrano Gianluca Giammatteo, ha vinto una causa davanti al giudice di pace del capoluogo, incentrata su presunte minacce di morte subite nei mesi trascorsi in un paese alle porte di Isernia. È stato lui stesso a spiegare il suo legame con il Molise, parlandone su Facebook. La causa lo ha visto contrapposto a un imprenditore residente tra Isernia e Caserta, tra l’altro coinvolto in un’operazione della Direzione antimafia di Firenze che ha colpito il clan camorristico dei Bardellino. La storia risale al 2011, quando Calcara, per non pesare sulle spalle della famiglia Borsellino, che lo aveva sempre sostenuto economicamente, trovò un’offerta di lavoro per fare il giardiniere e il custode in un casale alle porte del capoluogo. I rapporti divennero tesi quando l’imprenditore si rifiutò di regolarizzare la posizione lavorativa del pentito di mafia. La situazione degenerò, fino alle minacce di morte. Ora la sentenza. Il giudice di pace di Isernia ha condannato l’ex datore di lavoro a risarcire i danni morali e materiali a Calcara e alle sue figlie.