L’ultima vicenda in corso, quella legata alla imminente chiusura della Biblioteca Albino di Campobasso, è l’ennesimo sintomo di una malattia dalle radici antiche. La mancanza di “senso della Cultura” pervade le istituzioni ad ogni livello e rischia di minare definitivamente una risorsa di immenso valore.
Per restare all’attualità, potremmo dire che c’è solo una cosa peggiore della Nazionale di calcio italiana (che notoriamente, restando a quella ultima, fa schifo), ed è lo stato della Cultura in Molise. Non quella in senso stretto, perché di bellezza e cultura in Molise grazie a Dio ce n’è disseminata sull’intero territorio, ma quella in senso istituzionale, ovvero di governo della Cultura, inteso quest’ultimo come sistema di relazioni e strutture istituzionali destinate a promuovere, accrescere, coltivare e sostenere il patrimonio culturale molisano. Dopo la vicenda del Teatro Savoia, la cui stagione passata, uccisa nella culla, dovrebbe provocare qualche rossore sulle facce di lorsignori, sino alla probabile e prossima chiusura della Biblioteca Albino di Campobasso, fiore all’occhiello di un capoluogo che per il resto potrebbe far concorrenza a un camposanto, vi è in Molise una stitichezza istituzionale sul tema che se non fa il paio con il sabotaggio lo fa di certo con il ridicolo.
Ridicola, ad esempio, è la nomina da parte del presidente Frattura del consigliere regionale Domenico Ioffredi, detto Nico, a delegato alla Cultura. Frattura ha rinunciato alla nomina di un assessore ad hoc, preferendo una specie di capomastro della cui esistenza politica, se non fosse per l’uso della nocca al posto della cravatta, nessuno si sarebbe reso conto. Ioffedi lo vediamo, quando lo vediamo, trotterellare muto nell’aula consiliare ma con una leggerezza ed una leggiadria tali che non ci stupiremmo se un giorno, oltre al papillon sul collo, ci apparisse con una feluca irta di pennacchi posta sul capo. Ma quello del capomastro, è un vizio che non si ferma solo alla Cultura ma va oltre: abbiamo ad esempio il capomastro consigliere Di Nunzio al Turismo, il capomastro Ciocca alla Protezione civile, il capomastro Parpiglia allo Sport e, infine, il capomastro Cotugno alla Programmazione. Appare chiaro come la “cultura” del capomastro sia una, se non la principale, chiave di lettura della condizione in cui versa la Cultura in Molise. Al capomastro, secondo gli attuali officianti del potere in Regione, spetta più o meno il ruolo di certi personaggi di paese a cui, non potendosi delegare niente, si affidano piccoli ruoli quali sparare mortaretti e castagnole davanti alla banda il giorno della processione del Santo partono. Loro, i capimastro sparatori, pensano di essere al centro della generale considerazione e, invece, si trovano solo nel bel mezzo del generale risolino che scatenano tra i presenti.
Certo, la febbre terzana che attraversa la Cultura molisana ha radici antiche, di cui gli attuali governanti sono soltanto gli eredi, ma a tornare indietro nel tempo rischieremmo di assolvere tutti e di non liberarci mai di questa lebbra che è la mancanza di senso della Cultura, della capacità di saper riconoscere il bello e il valore e di farlo durare, di quel senso della Cultura che rappresenta la base di partenza per una politica culturale capace di mettere a frutto il patrimonio di una regione talmente piccola da poter essere un’oasi di bellezza ma che finisce, sistematicamente, per diventare un guardaroba di stracci.
Qualcuno dirà che per il Savoia una soluzione la si è trovata, col passaggio della struttura dalla Provincia alla Regione, e che altrettanto si farà nel caso della Biblioteca Albino. Come se il nodo culturale fosse un nodo civile, legato alla proprietà delle strutture, e come se tutto si limitasse ad assicurare la permanenza in carica dei lavoratori occupati nelle medesime. Fateci caso, sulla vicenda Albino chi si è mosso è l’assessore al Lavoro della Regione Molise, Michele Petraroia, che non c’entra nulla ma ha l’aggettivazione enfatica e l’eloquio barocco e che finirà per trasformare la vicenda da culturale a sindacale. Esattamente com’è avvenuto per il Savoia dove, salvati i posti di lavoro (apparentemente), si è creduto di salvare il Teatro, senza rendersi conto che senza una stagione teatrale quei posti saranno presto bruciati. Ora, lorsignori, faranno lo stesso con la Biblioteca Albino. Invece di lavorare ad una seria e rigorosa politica culturale, adeguatamente finanziata, cercheranno soluzioni tampone, unguenti provvisori che leniranno provvisoriamente il dolore senza curare la malattia. Quello che c’è da decidere, una volta per tutte, è se la Cultura sia un fattore di crescita e sviluppo del Molise, cosa che noi crediamo, o se restare alla logica del capomastro, dei mortaretti e delle castagnole. Nel primo caso, si nomini immediatamente un assessore ad hoc e lo si metta nelle condizioni di operare, gli si conferiscano risorse, sottraendole a mille minchionerie, e lo si sostenga in ogni sede nazionale e internazionale. Nel secondo caso, qualora ci si voglia ostinare a premiare i capimastro, si abbia almeno il coraggio di non chiamare più il Molise regione ma, semplicemente, bazar. Un bazar da terzo mondo.




