Esattamente venti anni fa, il 4 dicembre 1993, moriva Frank Zappa, genio della musica.
Venti anni fa, esattamente il 4 dicembre del 1993, chiudeva la sua giornata terrena Frank Zappa. Dove sia ora, dove si trovi, nessuno lo sa. Nemmeno lui, Zappa stesso, che l’Altromondo lo aveva già visto qui, da queste parti sul pianeta Terra. Un Altromonodo musicale, perché questa è stata la sua musica, lo scherzo di una specie rara di Padreterno con la chitarra, fatto di suoni, note e di bizzarrie. E’ impossibile etichettare o commentare la musica di Frank Zappa, di lui si può solo dire quello che di pochi altri è possibile scrivere: non era certo il migliore in ciò che faceva ma, più semplicemente, era l’unico a farlo.
Di Zappa posso narrare un personale ricordo, che aiuta a comprendere in qualche modo la figura e il figuro che fu. In una delle mie, ormai tante altre vite, mi capitò di lavorare in quel di Firenze alla Wild Bird Records, un’etichetta musicale indipendente specializzata in bootleg che io e altri pazzi c’eravamo inventati. Bootleg, una sorta di parolaccia che sta per “disco illegale” e che nasce da un termine usato in America al tempo del proibizionismo. I bootleg (nome che nasce dall’unione delle parole “boot”, stivale, e “leg”, gamba) erano degli stivaloni che coprivano per intero le gambe dei contrabbandieri e che, all’interno, servivano a nascondere preziosissime e illegalissime bottiglie di whiskey.
Ecco, in una delle mie altre vite, seppur legalmente (poiché in Italia, sino alla metà degli anni ’90, feci il “contrabbandiere”: la legge sul diritto d’autore consentiva la pubblicazione di esecuzioni “live” – concerti, in pratica – previo pagamento dei diritti alla Siae). Sono stato un bootlegger, come ci chiamava Bruce Springsteen. Dentro ai dischi ho “imbottigliato” molta buona musica. Tra questa, anche quella di Frank Zappa, che non era solo un musicista ma anche una formidabile burlone e rompicoglioni. Alcuni dei bootleg pubblicati nel corso degli anni, apparvero ai suoi occhi talmente ben fatti e carichi di buona musica da meritare una pubblicazione ufficiale. Insomma, sapete cosa fece? Pubblicò una serie di tre cofanetti, “Beat the boot” (che più o meno significa “distruggi i bootleg), includendo al loro interno quelli che per lui, tra le migliaia e migliaia di bootleg pubblicati in tutto il mondo, erano considerati i migliori.
Bene, tra i fortunati quindici dischi pubblicati tra il 1991 e il 1992, due vennero pescati tra quelli prodotti dal sottoscritto alla Wild Bird Records. Si tratta di “Disconnected Synapses” (Parigi, 15 dicembre 1970) e “Tengo Na Minchia Tanta” (New York, 13 novembre 1970). Zappa li pubblicò integralmente, copiandone anche la grafica e le copertine. Il secondo dei dischi porta un titolo in italiano che non ha bisogno di traduzione (ed è realmente una canzone di Zappa); il primo, invece, tradotto suona così: sinapsi sconnesse. Ecco, Frank Zappa era uno con le sinapsi sconnesse, un folle pieno di genialità. A chi mai, se non ad un folle genio, poteva venire in mente di fare bootleg di bootleg?
Zappa non riuscì nel proprio intento di “distruggere” i bootleg (in alcuni casi vere e proprie opere d’arte), cosa che invece riuscì nel 1995 alla Comunità europea con una propria direttiva. A Strasburgo e Bruxelles, tra le tante minchiate fatte, fecero pure questa. Oggi, quindi, oltre a Zappa ascolteremo un messa in suffragio anche del buon , vecchio caro bootleg. Amen.