
Riceviamo e pubblichiamo l’articolo di Giuseppe Mammarella, direttore Archivio Storico Diocesano di Termoli- Larino
“Si tratta dell’epilogo di una serie di vicende tragiche realmente accadute a Larino nella seconda metà del Seicento.
Il 24 dicembre del 1680, forse proprio durante la celebrazione dei sacri riti della Natività, il sessantaquattrenne Bernardino Cornacchielli, il figlio ventiquattrenne (chierico abate) Gaetano, ed il cognato del primo, il cinquantaseienne Raimondo di Raimondo, vennero catturati all’interno della cattedrale di Larino e, i primi due, “violentemente estratti dalla stessa dal caporale Domenico Monteleone e dagli uomini della sua comitiva e nella pubblica piazza, con più colpi di archibugio, di morte violenta resero l’anima a Dio”; l’altro, invece, per aver resistito con forza all’arresto, “fu ucciso in detta chiesa da tre colpi di archibugio, ovvero schioppetto, e rese [così anch’egli] l’anima a Dio di morte violenta”. I loro corpi, per “ordine dello stesso caporale e del capitano Michele di Crescenzo”, rimasero temporaneamente insepolti. Solo “dopo molti giorni [e] su disposizione del Preside della provincia di Lucera” le loro salme furono inumate nella stessa cattedrale frentana.
La sanguinosa irruzione, che i militi della Corte criminale di Lucera decisero di compiere in quella particolare circostanza, si rileva dal registro dei defunti legato al 1680, appartenente all’anagrafe ecclesiastica della parrocchia di San Pardo, annessa alla cattedrale di Larino.
I tre, insieme ad altre cento persone circa, nel maggio dell’anno precedente, si erano rifugiati nella torre dell’episcopio, la più alta della città, che insieme all’intero edificio ed ovviamente alla cattedrale, godevano del diritto di asilo. Tale asserragliamento si rese necessario in seguito alla congiura realizzata a danno del barone Francesco Maria Carafa della Stadera, figlio di Diomede e Cornelia Muscettola, Signore di Larino, a causa dell’atteggiamento ostile che egli mostrava nei confronti di alcune famiglie del posto.
Il trentacinquenne barone Carafa, come recita una parte dell’apposito atto impresso sullo stesso libro dei morti, il primo maggio del 1679 “circa l’ora 23esima, nel luogo presso il Convento dei Cappuccini, raggiunto da due colpi di archibugio colpito nel petto e nel femore […], nello stesso luogo rese l’anima a Dio […]; il corpo, con gran pompa di funerali […], fu sepolto nella Chiesa di San Francesco, il terzo giorno, all’interno del coro presso la parete dietro l’altare maggiore”. Il barone, come indica un manoscritto redatto da uno dei testimoni oculari dell’intera vicenda, Antonio Palma, “fu ammazzato dall’abate Gaetano Cornacchielli e Raimondo di Raimondo, per gran trapazzi ricevuti”; i due, come già detto, insieme al padre del primo, Bernardino, furono giustiziati nella vigilia di Natale dell’anno seguente.
Lo stesso Antonio Palma, sempre attraverso la sua rapida esposizione, c’informa che, dopo l’uccisione del barone, “per paura della Corte di Lucera”, anche la sua famiglia fu costretta a mettersi al sicuro nel palazzo vescovile. Fu proprio in quella dimora forzata che, quattro mesi e mezzo dopo (il 15 settembre 1679), come si nota nell’atto di morte incluso nel registro più volte citato, Isabella Sorella, moglie del Palma, “di età sua di anni venticinque circa, rese l’anima a Dio […] poiché mentre stava nella finestra del palazzo vescovile dove si dice ‘la Gregoriana’, [fu] raggiunta al volto da un colpo di un archibugio da uno degli armigeri del Padrone che assediavano l’episcopio”. Il marito, medico di professione, sempre nel suo manoscritto, aggiunge: “…Isabella […] era gravida di nove mesi con un figliuolo mosco che io d’oppo morte li togliei la ventre e la creatura era vivo e così l’ho battizzai con l’acqua chiara, e campò tre hore nelle mie braccia…”.
Il Palma fu tra quelli che riuscirono a fuggire. Varcò i confini del Regno di Napoli e raggiunse Modena dove si risposò con Anna Antonia Maggio di Sarconi, in Basilicata. Dalla sua accurata descrizione fatta in occasione del decesso della madre, sappiamo che Antonio, nel 1698 era nuovamente a Larino dove morì il 2 febbraio del 1711.
Delle vicende di sangue brevemente accennate, escluse quelle legate al Natale del 1680, s’appropriò il celebre drammaturgo francese Alexandre Dumas (père) nel suo famoso romanzo “Luisa Sanfelice”. Questi, trasponendo i fatti nella seconda metà del secolo successivo, individuò nel bimbo nato in quella tragica circostanza e vissuto nella realtà soltanto tre ore, uno dei maggiori protagonisti della sua opera ambientata nel contesto della Repubblica Napoletana del 1799. Matteo, il primo figlio che Antonio Palma ebbe dalla seconda consorte Anna Antonia Maggio, dal 1758 al 1760 ricoprì nella città frentana la carica di Mastrogiurato, e il larinese Carlo Magliano, che incontrò più volte il Dumas, lo confuse con il bimbo nato drammaticamente da Isabella Sorella.
Forse proprio da questo equivoco, sorge la fantasiosa ricostruzione del noto scrittore francese che identifica in quel neonato “Il figlio della morta”, l’amante di Luisa Sanfelice ed il vendicatore della madre del romanzo.
Per saperne di più si può consultare il mio Saggio “La congiura del 1679”, Cerit Molise Editore, Larino 2005.
Giuseppe Mammarella
Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Termoli-Larino



