17.6 C
Campobasso
sabato, Novembre 15, 2025

Le estati della Serie A a Campobasso, Città Giardino e clima ideale

AttualitàLe estati della Serie A a Campobasso, Città Giardino e clima ideale

Dalla sansa dello Zaccheria alla carbonella del Romagnoli
passando per il prato dell’Olimpico:
la memoria di un tempo in cui il grande calcio sceglieva il Molise

di Giovanni Mascia*

Al primo impatto, il nome della città potrebbe far pensare a un luogo adagiato in basso, lontano dalle alture e dai benefici climatici che esse comportano. In realtà, la storia urbanistica, il paesaggio e persino alcune scelte sportive del Novecento mostrano un quadro diverso. Campobasso è stata, per lungo tempo, riconosciuta come una vera e propria stazione climatica. E questa fama, lungi dall’essere un’etichetta occasionale, poggiava su elementi concreti.

La città ha sempre goduto di un clima invidiabile, grazie soprattutto alla sua posizione oltre i settecento metri sul livello del mare. L’altitudine garantiva estati fresche e asciutte e inverni rigidi ma limpidi, caratteristiche particolarmente apprezzate in epoche in cui il benessere estivo dipendeva esclusivamente dalle condizioni naturali. Anche l’impianto urbano contribuiva a valorizzare questa qualità: il centro storico si inerpica sulla collina dei Monti, un polmone verde che ancora oggi conferisce alla città un profilo inconfondibile, mentre la disposizione degli edifici favorisce una buona circolazione dell’aria. Era la Campobasso, che Nina Guerrizio ha ritratto in un bel sonetto:

A tutte le frastiere fa mpressione
nisciune ze l’aspetta st’aria fina
o ssa truuate de la pusezione
e la bellezza de la cettadina!
Le vi’ so tutte larghe, ncatramate,
squadrate che te pare ‘e sta a Turine!
Camine… e, s’a la piazza sci ‘rrevate,
ma che Napule cchiù! ma che Turine!…
… Piazza du Municipie è paradise

La città, paragonata a un ventaglio:

È Campuasce cumme nu ventaglie
ch’au poste de le piume tè ciardine
pe stecche cacche vija che resaglie
a le Munte, scaline pe scaline…

La rappresentazione di Campobasso come “città Giardino” non nacque per caso. All’inizio dell’Ottocento l’architetto Bernardino Musenga elaborò un progetto di espansione edilizia oltre le mura storiche, durante il regno di Gioacchino Murat. Improntato a criteri di razionalità, luminosità e ariosità, il piano diede origine al cosiddetto Borgo murattiano. Il termine “borgo”, in questo caso, mantiene il suo significato originario: un agglomerato nuovo e distinto, sviluppato lungo le antiche vie d’accesso alla città. La correttezza della definizione, spesso smarrita nell’abuso contemporaneo del termine, indica la cura con cui fu concepita l’espansione urbana. La qualità dell’abitato, unita alla presenza di ampiezze verdi e spazi ordinati, contribuì a consolidare la reputazione della città come luogo salubre. Il centro storico completava il quadro. Il castello, dimora del conte Cola di Monforte, il condottiero quattrocentesco che giunse perfino a battere moneta a Campobasso, domina ancora oggi la città. Attorno a esso si snodano monumenti, chiese e percorsi che testimoniano una stratificazione storica significativa, capace di convivere con il paesaggio naturale della collina.

Una conferma particolarmente significativa del ruolo della città come stazione climatica arriva dagli anni Sessanta del Novecento, quando Campobasso fu scelta come sede di preparazione estiva da importanti squadre calcistiche. E giocatori di fama calcarono il vecchio stadio “Romagnoli”, ubicato in pieno centro e allora caratterizzato dal terreno di gioco in carbonella, ossia carbone triturato, una soluzione che appartiene ormai al passato e rimanda a un’altra epoca sportiva.


Oronzo Pugliese, detto il mago di Turi. Il popolarissimo allenatore del Foggia e della Roma

La prima squadra di rilievo a salire a Campobasso fu il Foggia allenato da Oronzo Pugliese, nei primi anni Sessanta.
In quel periodo la squadra attraversò una crescita rapida e sorprendente, passando dalla Serie C alla Serie A, trascinata dalla personalità vulcanica del suo allenatore che vincerà il Seminatore d’Oro come miglior tecnico della stagione 1963-64. Pugliese era un personaggio unico, celebre per i suoi rituali scaramantici, le intuizioni fuori dagli schemi e un rapporto quasi fisico con la squadra. Molti aneddoti lo ritraggono mentre correva lungo la fascia per “accompagnare” l’azione, o mentre tentava di difendere la porta con gesti istintivi dalla panchina. La sua figura, a cui si ispirerà Lino Banfi per il suo Oronzo Canà, nel film “L’allenatore nel pallone” – un riconoscimento popolare, seppur in chiave comica, alla personalità e ai metodi di Pugliese – contribuì a rendere celebre la sua squadra. Tra i protagonisti spiccava il centravanti Cosimo Nocera, detto Vittorio, capace di conquistare anche la maglia della Nazionale a suon di goal.

Il mitico stadio Zaccheria, con le gradinate di tavola su tubi Innocenti e il terreno di gioco in sansa, era il cuore della vita non solo sportiva della città.


Sulla sansa dello Zaccheria, il Foggia dell’impresa contro l’Inter euromondiale.
Da sinistra: Pugliese, Bettoni, Nocera, Micelli, Micheli e Favalli.
Accosciati Rinaldi, Patino, Moschioni, Maioli, Lazzotti e Valadè

E lì, in quello stadio allestito alla meno peggio, il 31 gennaio 1965, il Foggia superò una squadra entrata nella leggenda: l’Inter allenata dal “mago” Helenio Herrera, campione d’Italia, d’Europa e del mondo. L’Inter di Burghich e Facchetti, di Mazzola, Suarez, Corso… tanto per capirci. La vittoria del Foggia per 3 a 2 è ricordata ancora oggi come un’impresa epica, resa ancora più celebre dalle due profezie di Padre Pio, che incontrando i nerazzurri alla vigilia della partita disse: “Che siete venuti a fare, tanto perdete!”. E poi, per consolare gli ospiti: “Ma vincerete lo scudetto!”, come in effetti avvenne. Un episodio che incornicia perfettamente l’atmosfera di quegli anni.


30 gennaio 1965, Helenio Herrera con l’Inter in pellegrinaggio da Padre Pio

Un tocco strapaesano aveva già colorato quell’atmosfera durante il ritiro campobassano della stagione precedente, quando la squadra di Pugliese – detto “il mago di Turi”, dal nome del suo paese natale – accettò di disputare una partita di allenamento contro una modesta formazione di Terza Categoria: l’Audax Toro, o più semplicemente il Toro, che in assenza di un proprio campo sportivo aveva giocato quell’anno le partite del primo torneo ufficiale a cui aveva partecipato sulla carbonella del “Romagnoli”. E lo vinse.


L’Audax Toro che sulla carbonella del Romagnoli affrontò il Foggia di Pugliese

L’impresa sportiva appassionò la popolazione del piccolo paese alle porte di Campobasso. La ciliegina sulla torta di quell’esperienza estemporanea – esaltante ma destinata a un seguito concreto solo sei o sette anni dopo, con la nascita dell’Hermes Toro – fu proprio la partita contro il Foggia, anzi la partita “du Ture contre u maghe de Ture!”. Fu resa possibile grazie all’intercessione del professore torese Nicola Simonelli, che in quegli anni frequentava la città dauna, dove abitava la fidanzata destinata a diventare sua moglie. Di quella partita – di cui non si ricorda con precisione il risultato, comunque sonoramente negativo – resta un ricordo indelebile nei racconti dei toresi. Fatte le debite proporzioni, il piccolo paese molisano visse allora ciò che Foggia avrebbe vissuto l’anno successivo con la storica vittoria contro l’Inter.

Dopo le stagioni esaltanti di Foggia, Oronzo Pugliese passò ad allenare la Roma, che a sua volta salì a Campobasso per ossigenarsi durante la preparazione estiva per il campionato 1965-1966. Non parliamo, questa volta, di una matricola terribile della Serie A, ma di una grande squadra del calcio italiano. La presenza di Pugliese e del suo staff fu quasi certamente decisiva nella scelta, ma è altrettanto vero che il capoluogo molisano rispondeva alle esigenze climatiche e logistiche: clima asciutto, aria fresca, altitudine ideale, tranquillità e infrastrutture allora adeguate.


Stagione 1965-1966. Pugliese e la Roma all’Olimpico

Ripensando oggi a quelle estati di sessant’anni fa, risulta difficile immaginare i giocatori della Roma contemporanea, la squadra allenata da Gasperini che è addirittura prima in classifica, passeggiare lungo il Corso di Campobasso in totale serenità, per esempio un Gianluca Mancini, un Bryan Cristante, un Lorenzo Pellegrini, spesso impegnati con la maglia azzurra della Nazionale, o una star internazionale come Paulo Dybala. Eppure all’epoca era normale vedere i giocatori giallorossi in giro la sera, con in prima linea il loro capitano Giacomino Losi, forte difensore e “core de Roma”. E insieme a lui, il portiere Fabio Cudicini, detto il “Ragno Nero”, che poi sarebbe passato con gran fortuna al Milan, il centrocampista peruviano Benitez, il centravanti brasiliano Da Silva, la potente ala sinistra Paolo Barison… Guidati da Pugliese, il cui ciclo romano biennale con i giallorossi viene ricordato più per la sua personalità e il rapporto caldo con l’ambiente che per i risultati, comunque dignitosi, disputarono una stagione discreta, senza picchi particolari, chiusa all’ottavo posto.

Che tutto ciò sia accaduto proprio a Campobasso è un dato significativo. Oggi la percezione della città è cambiata, complici uno sviluppo urbano non sempre coerente con l’intuizione ottocentesca del Musenga e l’evoluzione del clima che ha reso le estati più calde e afose di un tempo. Tuttavia, la memoria della città come stazione climatica rimane ben documentata e suggerisce una riflessione sul rapporto tra qualità dell’ambiente, scelte urbanistiche e identità locale. Recuperare questa consapevolezza non significa indulgere in nostalgia, ma riconoscere un patrimonio che ha segnato la storia cittadina e che può ancora offrire spunti utili per il futuro.

*Opinionista, saggista e studioso di storia

Ultime Notizie