24.2 C
Campobasso
mercoledì, Luglio 16, 2025

Italo Di Sabato, il progetto e l’utopia

AperturaItalo Di Sabato, il progetto e l’utopia

di Manuela Petescia*

Dalle agenzie di stampa al Giornale, da Libero al Secolo d’Italia, passando per radio e tv di rilievo nazionale, Italo Di Sabato ha scatenato le ire delle destre italiane e si è trasformato in pochi giorni in una specie di mito del male in quanto autore (spudorato potremmo aggiungere) del libro “POLICE ABOLITION – Corso di base sull’abolizione della polizia”.

“Police Abolition” è una fanzine americana che racconta, con illustrazioni a fumetti e testi semplici e divulgativi, un’idea antica (forse utopistica), quella di un mondo migliore, una specie di Repubblica di Platone ma senza distinzioni di classi e, soprattutto, senza guerrieri.

Un’idea che appariva irrealizzabile, appannaggio dei sognatori o degli anarchici, ma che tuttavia negli Stati Uniti, dopo la storia orribile dell’omicidio di George Floyd, ha preso piede.

Ma è uno psicodramma internazionale sul nulla, questo contro i nuovi demoni, perché stiamo parlando della riproduzione di quella fanzine americana: Italo Di Sabato coordinatore nazionale, dell’Osservatorio Repressione, ne ha solo curato l’edizione italiana e la post-fazione.

D. Italo Di Sabato, come affronta tutto questo trambusto, protagonista suo malgrado di tante prime pagine nazionali, un polverone che si è sollevato leggendo solo il titolo e il sottotitolo del libro?

R. Una vicenda che mette in chiaro la miseria della politica e anche lo stato dell’arte di alcuni organi di informazione. Per sabato 19 luglio sono stato invitato dal centro sociale “Boccaccio” di Monza a presentare il libro che ho curato per la casa editrice Momo, “Police Abolition, corso di base per l’abolizione della polizia” che non è altro che la traduzione di una fanzine americana divulgativa (si può trovare anche in rete) che racconta come negli Usa l’utopia (come noi la percepiamo oggi) dell’abolizione della polizia sia diventato un tema sempre più concreto e attuale. Poi vi è una post-fazione che ho scritto insieme a Salvatore Palidda (che sul tema della polizia ha scritto pagine fondamentali), in cui cerchiamo di contestualizzare la proposta americana e tentiamo di fare un parallelismo con la situazione in Italia e in Europa. Ma purtroppo alcuni organi di stampa brianzoli hanno alimentato una polemica strumentale scrivendo che il centro sociale “Boccaccio” avrebbe organizzato un corso sostenuto dal sottoscritto per “abolire la polizia”. E qui si è scatenata una canea da parte di altri organi di stampa, personaggi politici di destra, alcuni sindacati di polizia, che senza aver letto neanche una riga del libro hanno provveduto ad alzare un inutile polverone. Il tutto non mi meraviglia, visto il clima politico attuale, dove i rappresentanti del governo si indignano persino quando si susseguono le segnalazioni di organismi internazionali sulla diffusione di controlli di polizia ingiustificati. Il Governo nega e si mostra scandalizzato, come è accaduto qualche settimana fa a seguito della presentazione del report da parte del Consiglio d’Europa. Le reazioni del governo a questo tipo di richiami appaiono scomposte e non è un caso che la nuova ondata di polemiche arrivi subito dopo l’approvazione del decreto legge sulla sicurezza dove sono state introdotte nell’ordinamento alcune norme “in favore” delle forze dell’ordine, come il sostegno alle spese legali per eventuali cause giudiziarie o l’inasprimento delle pene per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, un “crimine” dai confini incerti spesso contestato durante le manifestazioni pubbliche. Altre misure sono state annunciate da ministri e sottosegretari, tanto che si è parlato, nell’insieme, di uno “scudo penale” per le forze dell’ordine. Negando ancora una volta i riscontri in materia di violenze, abusi, torture e razzismo istituzionalizzato, non si fa altro che silenziare le esperienze dei gruppi marginalizzati. Una tendenza che mina lo Stato di diritto e rischia di isolare il nostro Paese a livello internazionale.

*******

D. “Non è un libro banale contro la polizia”, ha detto in un’intervista rilasciata a un’emittente radiofonica, quale obiettivo intende raggiungere con l’edizione italiana di “Police Abolition”, al momento, come lei ha ricordato, la presentazione è in programma a Monza (sabato prossimo, 19 luglio) ma sono in cantiere molti altri appuntamenti in diverse città italiane.

R. “Police Abolition”, infatti, non è un banale libro contro la polizia (che non avrebbe senso), quanto piuttosto il tentativo di interpretare la funzione della polizia come un fenomeno sociale e, come tale, passibile di trasformazione e, anche, di superamento. È un libretto sull’utopia e su come le cose che sembrano impossibili, in realtà, non lo sono mai. Ho presentato il libro già in quattro occasioni a Campobasso, due a Pescara, a Roma in una bellissima iniziativa al quartiere Pigneto, a Genova e Teramo. Altre ne sono in programma prossimamente come a Bologna il 27 settembre.

********************

D. Andando a incidere sulle ingiustizie sociali, invece che sulla repressione dei comportamenti devianti, il problema si potrebbe abbattere alla radice, sembra questo il messaggio che si intende diffondere.

R. Un progetto ambizioso, provocatorio, che, nel contesto USA, si prefigge di invertire la tendenza già indicata da Loic Wacquant, ovvero del passaggio dallo stato sociale a quello penale. Che fa dell’origine relativamente recente delle forze di polizia il suo punto di forza. Un percorso da incoraggiare, anche nell’Italia dei decreti sicurezza. Ma che pone un interrogativo: sono mature le condizioni per una società senza polizia? Prima della sua istituzione, avevamo le milizie private dei signori e delle corporazioni. Per esempio, in Sicilia, la mafia è nata in questo contesto. Dopo la polizia, cosa ci sarebbe? Pensiamo a un contesto dove la sorveglianza elettronica prende sempre più piede, e il taglio dei fondi prelude, come nel caso inglese, a una polizia predittiva, che sorveglia e reprime sempre le stesse classi pericolose. Volendo rispondere alla domanda, perciò, potremmo dire: la polizia si può abolire. Ma se si abolisce l’ordine sociale e politico che la sostiene. Credo invece che il definanziamento della polizia e il reindirizzamento dei fondi verso il potenziamento del welfare sarebbero il primo passo del processo. Garantire un alloggio, un’istruzione, un reddito e il senso di appartenenza a una comunità sono le componenti basilari della sicurezza sociale. Al contempo, ridurre l’azione repressiva della polizia richiede un dirottamento dei fondi dalle loro casse verso quelle di corpi sociali con personale qualificato per gestire emergenze come quelle legate all’abuso di sostanze, a crisi di salute mentale, a casi di violenza domestica. Tutto questo dovrebbe avvenire ponendo al centro le comunità, i loro membri e le loro esigenze, come richiede la giustizia trasformativa. In questo senso, esperienze come quella di Denver, dove degli operatori sanitari hanno sostituito i poliziotti in questi compiti, lasciano ben sperare. L’idea di base è quella di ridurre progressivamente non solo i fondi, ma in generale il potere e il raggio d’azione di cui le istituzioni repressive dispongono oggi, concentrando gli investimenti nelle comunità. Alla fine di questo processo a lungo termine polizia e carceri scomparirebbero naturalmente, poiché non ci sarebbe più bisogno di loro per mantenere un ordine sociale non più imposto tramite la repressione, ma basato sull’eguaglianza e il benessere di tutti

************

D. Esistono differenze di organizzazione e di azione tra le forze dell’ordine italiane e quelle di altri paesi?

R. L’eterogenesi dei fini costituisce una caratteristica fondante delle interazioni sociali. I conflitti, le trasformazioni, le variabili impreviste, sortiscono a volte l’effetto di deviare verso esiti opposti specifici costrutti sociali, pensati per adempiere ad altre finalità. Il caso della polizia rientra pienamente all’interno di questa dinamica. Istituita per la prima volta a Londra nel 1829, sotto il governo Tory di Robert Peel (da cui il soprannome di bobbies che tuttora contraddistingue i poliziotti inglesi), la polizia metropolitana londinese, il cui modello venne in breve esteso a tutto il paese, rispondeva a scopi specifici. Lo scopo principale era quello di sanare la frattura tra gli strati subalterni della società inglese e lo Stato, che, dopo il massacro di Peterloo del 1829, si era ampliata a dismisura. Inoltre, attraverso un corpo statuale centralizzato, si voleva porre fine alla discrezionalità e all’abuso delle polizie private. Il modello inglese, diffusosi rapidamente in tutta Europa e nel mondo, non tardò ad evolversi nella direzione opposta. Il consolidarsi della polizia come istituzione dotata di un proprio spazio, indipendente da ragioni specifiche, si sovrappone all’acuirsi dei conflitti sociali, all’interno dei quali le forze dell’ordine si collocano nella prospettiva del mantenimento e della riproduzione degli equilibri di potere esistenti. La polizia finisce quindi per allontanarsi dalla funzione per la quale era stata pensata, diventando refrattaria ai cambiamenti radicali. A meno che, come avvenne per esempio in Italia negli anni Settanta, non venga essa stessa attraversata da conflittualità profonde. Gli ultimi anni ci consegnano un’istituzione poliziesca identificata e identificatasi come avversaria diretta di migranti, minoranze etniche, lgbtqia+, no global (si pensi a Genova 2001 e al caso di Carlo Giuliani), nonché allergica all’eccentricità degli stili di vita. Nel caso italiano, le tragedie come quelle di Cucchi, Aldrovandi e Magherini, ne sono un’esemplificazione

************

D. Anche a me piace sognare e allora proviamo a sognare insieme: potrà esistere un giorno, forse non vicinissimo, una comunità senza polizia, senza polizia perché felice, senza polizia perché giusta.

R. All’inizio degli anni 80, quando iniziai a far politica a Palata insieme ad un gruppo di miei coetanei e aprimmo la sezione di Democrazia Proletaria, in molti ci accusavano di essere oltre che estremisti anche dei sognatori. Cosi per risposta scrivemmo su un vecchio muro “Il futuro per conquistarlo bisogna prima sognarlo”… Ecco io continuo a sostenere la forza di un progetto come il realismo dell’utopia

*direttore Telemolise, Il Giornale del Molise

 

Ultime Notizie