di Giovanni Mascia*
Fine maggio 2025. Toro ha accolto la delegazione ufficiale di Itatiba, capitanata dal sindaco e composta da assessori e uomini di cultura della città brasiliana gemellata con il paese molisano, nel nome di Toquinho, alias Antonio Pecci, torese di origine. Una bella mattinata di festa, allietata dai ragazzi delle scuole e segnata dalla cerimonia in Comune e dalla visita ai monumenti e alle caratteristiche rue del centro storico.
Degno epilogo della visita, il pranzo luculliano da Tomas, introdotto dalla mpanatella. Davanti al piatto tradizionale di Toro, un assaggio di verdure di campo impastate con pizza di mais, anzi pizza di grandinie, cioè di grano d’India, come si diceva una volta, l’assessore alla cultura di Itatiba sorride con un’ombra di nostalgia. Parla in portoghese, ma le parole del suo racconto sono intrise del sapore della polenta degli antenati veneti, evocata dalla mpanatella torese. E già, perché almeno il 70% degli abitanti di Itatiba, città di 120mila abitanti dello Stato di San Paolo, fondata nel 1857, è di origini italiane, a cominciare proprio dall’assessore Luis Soares de Camargo, che dice di chiamarsi “Luigi” in omaggio ai nonni materni, provenienti da Torre di Mosto, in provincia di Venezia.
Ma sono di origini italiane anche il sindaco Thomàs Capeletto de Oliveira, nonché Jackline Roberta Boava Monte, assessore al Governo e la segretaria dell’Assessorato alla Cultura e Turismo, Samantha Giani Massaretti.
“Meus avós… meus nonno Luigi e nonna Luigia… sempre contavam uma história engraçada… uma história simpatica” – ricorda l’assessore Luigi Soares de Camargo, mescolando il tono serio a uno sguardo divertito. E racconta.
“Era tempo de escassez… Erano tempi di miseria. Stavano per mangiare la polenta – tagliata con uno spago e, divisa in piccole porzioni per darla a tutti in casa, bambini e adulti. Non bastava per saziarsi, ma la polenta era tutto quello che c’era. Proprio nel momento in cui stavano per iniziare, bussarono alla porta: era la vicina. Una brava donna, certo… ma se avessero diviso con lei, ninguém ia comer… nessuno avrebbe mangiato a sufficienza”.
Fa una pausa, abbassa lo sguardo come per cercare meglio nella memoria.
“Eles não pensaram duas vezes… Non ci pensarono due volte. Presero quelle fette di polenta e le infilarono tutte sotto il tavolo, ben nascoste. E, con l’aria di chi non aveva niente da offrirle, aspettarono che la vicina se ne andasse, morendo di fame e ridendo dentro di sé della situazione… Solo allora tirarono fuori di nuovo la polenta e comeram, cada pedacinho, como se fosse ouro … ne mangiarono, ogni pezzettino, come fosse oro”.
L’assessore ride sommessamente, poi assaggia la mpanatella, e conclude: “A vida era dura, mas o senso de humor… esse nunca faltava”.
Certo il senso dell’umorismo non mancava. Ed è curioso che qualcosa di analogo succedeva anche a Toro. Forse più divertente… mais engraçado. E a furia di mezze parole, non sapendo parlare in portoghese, aiutandomi con gesti e ammiccamenti, glielo racconto, precisando che non ha per oggetto la polenta che da noi non si usa ma la pizza di grandinie, la stessa sminuzzata nei piatti davanti a noi, che ai tempi dei nonni si cuoceva, poggiando l’impasto direttamente sul pavimento in mattoni del camino, ricoprendolo con un coperchio metallico, la coppa, a sua volta ricoperta di cenere e brace.
Dunque, era una fredda giornata di inverno, nevicava e la padrona di casa pregustava la pizza che a quel punto doveva essere già cotta. Ed ecco, proprio mentre la stava levando dal fuoco, presentarsi la vicina. La padrona fece appena in tempo a poggiare la pizza sulla sedia e a nasconderla, sedendoci sopra con l’ampia gonna allora in uso.
– Buongiorno comare, che fa il tempo?
– Sciocche e male timpe fa.
– Ah sì? – riprese la padrona di casa, che intanto cominciava a sentir bruciare le natiche – Se sciocche e male timpe fa: na casa dell’atre è male sta!
L’ospite fece finta di non capire l’invito a non trattenersi nella casa d’altri, avendo viceversa capito bene quello che stava succedendo. Passarono alcuni minuti durante i quali si combatté una serrata battaglia psicologica tra la vicina, fiduciosa nel bruciore che diventando insopportabile avrebbe spinto la padrona a tirar fuori la pizza e a dividerla con lei, e la padrona che, esortando ripetutamente l’altra a tornarsene a casa sua, sperava di poter finalmente addentare e saziarsi della pizza che nel frattempo la stava tormentando.
Vinse la padrona di casa. Dopo l’ennesima esortazione, – Sciocche e male timpe fa: na casa dell’atre è male sta, la vicina si decise a togliere le tende. Non prima, tuttavia, di replicare per le rime:
– I me ne vaglie e me ne vaglie sicure, ma tu c’a pizze te si cutte u cule!
Non so quanto l’assessore brasiliano abbia colto dell’aneddoto torese, raccontato nel modo confuso che si è detto. So che, divertito, prende a riferirlo a sua volta al sindaco Thomàs Capeletto, distogliendolo dal fitto dialogare con Roberto Quercio, il sindaco di Toro, e ottenendone alla fine uno svagato ed enigmatico sorriso di compiacenza. Chissà. Magari il sindaco – a differenza dell’assessore – non aveva mai avuto modo di associare i propri antenati piemontesi alla polenta, evocata dall’assaggio della mpanatella torese.
* Scrittore