di MANUELA PETESCIA
Viviamo in un mondo così strano, così assurdo, così ridicolo, che a fronte di migliaia di bambini orfani non te ne concedono uno manco se ti spari.
Stanno lì, soli e ammassati nei centri per l’accoglienza, non sanno nemmeno chi sono e che cosa ci stanno a fare su questa terra, ma ti vengono negati perché così gira la luna sugli scogli della burocrazia.
È un calcolo così semplice e banale da far cascare le braccia: se ogni famiglia appena benestante ne adottasse uno (qualsiasi famiglia, anche mononucleare), si potrebbe garantire un’esistenza serena a tutte quelle creature che hanno avuto la sfortuna di nascere nel posto o nel momento sbagliato.
Invece lo Stato ti schiatta di burocrazia, ti sminuzza ogni speranza soffocandola di “se”, di “ma”, di “quindi” e di “poi”.
Il “poi”, in particolare, è davvero un programma fantastico: lo puoi accogliere in casa con l’Istituto dell’affido ma puoi amarlo a “tempo determinato”. Insomma, un affetto a comando, il cuore a orologeria, lo spettro di una missione che potrebbe terminare, così come termina, a mio avviso, l’istituto della logica nella COCCIA di chi s’è inventato sta cosa: abbracciare un bambino, farlo diventare parte della tua famiglia e poi spiegargli che era uno scherzo – perché il tempo è scaduto – e rispedirlo da qualche altra parte come un pacco postale.
Un bambino solo al mondo, io – come tanti altri – me lo andrei a prendere adesso, anzi ieri. Nero, bianco, sano, malato, con 20 cromosomi, con 21 cromosomi, senza un braccio, senza una gamba, lo vorrei PER SEMPRE: ma che cosa ci stiamo a fare (a questo punto noi) sulla terra se il Natale è una cena?