E’ una delle caratteristiche dell’I-phone. L’impenetrabilità. Nemmeno i programmi e i software più avanzati riescono a scardinare il sistema.
E anche l’esperto incaricato dalla procura dell’Aquila di aprire il telefono portatile di Francesca Ercolini, nell’accertamento tecnico irripetibile ha dovuto arrendersi.
Dunque, le chat e gli altri indizi che forse sono ancora in quel cellulare e che avrebbero potuto dare un impulso decisivo alle indagini sulla morte della giudice di Campobasso al momento restano un segreto.
Il procuratore Alberto Sgambati e il sostituto Roberta D’Avolio attendono ora l’esito della nuova autopsia che il medico legale Vittorio Fineschi ha eseguito la scorsa estate sul corpo della donna trovata senza vita nella sua casa in viale Zara a Pesaro.
Proprio in casa sua, i Ris di Roma una settimana fa, hanno lavorato per oltre sei ore per ricostruire la scena del ritrovamento del corpo, che, stando alla versione del marito della donna, aveva un foulard come questo annodato al collo, legato alla ringhiera della scala interna della casa.
Sul tavolo dei magistrati aquilani dovrà arrivare anche la relazione del reparto scientifico dei carabinieri. Tutto questo dovrà avvenire entro fine anno, il tempo che hanno richiesto i Ris e Fineschi per consegnare i risultati degli accertamenti ai magistrati.
Un caso archiviato come suicidio, ma poi riaperto clamorosamente dalla procura dell’Aquila che ha messo sotto la lente il marito della donna, un avvocato marchigiano di 57 anni anni, il medico legale che ha eseguito la prima autopsia e quattro funzionari della questura di Pesaro.


