Il cuore di Vincenzo Campofredano ha smesso di battere, ma il suo gesto d’amore più grande ha appena cominciato a vivere. Capitano del carro dei Giovani, volto amatissimo di Ururi, Vincenzo è scomparso troppo presto, lasciando un vuoto immenso tra familiari, amici e l’intera comunità. Eppure, nel dolore di una perdita tanto grande, la sua famiglia ha compiuto una scelta di straordinaria umanità: donare gli organi per salvare altre vite.
Un suo rene è ora nel corpo di un paziente ricoverato all’ospedale dell’Aquila, mentre il fegato è stato trapiantato su un giovane in cura al San Camillo di Roma. Due vite che grazie a Vincenzo possono ricominciare. Due speranze che rinascono da un gesto silenzioso, ma potente.
Dall’Aquila i medici Alessandra Panarese e Francesco Maffione, da Roma Davide Chiappori e Francesca Mazzarotto, le due equipe chirurgiche al lavoro nei giorni scorsi insieme al personale dell’ospedale di Termoli. Giuseppe Pranzitelli, anestesista del San Timoteo, che prima dell’altra notte non aveva mai partecipato a un prelievo di organi a fini di donazione, parla di miracolo e straordinarietà, la vita che rinasce dalla morte, emozione che non si può spiegare a parole.
Il prelievo degli organi è stato possibile grazie al consenso espresso con grande dignità dai familiari, che hanno voluto trasformare il dolore in speranza. Una decisione che riflette in pieno lo spirito di Vincenzo: generoso, altruista, sempre pronto ad aiutare gli altri, anche nei momenti più difficili.
Oggi Vincenzo non c’è più, ma continua a vivere nei corpi e nei cuori di chi ha ricevuto il suo dono. E il suo esempio, forte e luminoso, resterà un faro per tutta la comunità. Perché morire donando, in fondo, significa non morire mai.