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domenica, Giugno 16, 2024

Diffamazione a mezzo stampa, due importanti sentenze nei tribunali di Nola e Isernia

AttualitàDiffamazione a mezzo stampa, due importanti sentenze nei tribunali di Nola e Isernia

Riceviamo e pubblichiamo la nota dell’avvocato Francesco La Cava

E’ cronaca giudiziaria di questi giorni di due condanne di Tribunali diversi (Nola e Isernia), a pene differenti pur avendo in comune il reato di diffamazione a mezzo stampa. Della vicenda se ne stanno occupando, ponendole in risalto, varie testate giornalistiche facendo, a volte, confusione e creando disorientamento per chi legge o ascolta.
Il reato di diffamazione a mezzo stampa è previsto e punito dall’art. 595 del codice penale e stabilisce che chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire diecimila. Il terzo comma dello stesso articolo precisa che se l’offesa è recata col mezzo della stampa la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Dal Tribunale penale monocratico di Nola il giornalista de Il Giornale, Pasquale Napolitano è stato condannato a otto mesi di detenzione (con pena sospesa) e al pagamento di una multa di 6.500 euro per diffamazione a mezzo stampa. Secondo la sentenza, nel 2020, il cronista avrebbe diffamato in un articolo l’allora presidente dell’Ordine degli avvocati di Nola, Domenico Visone, e alcuni consiglieri.
Dal Tribunale penale monocratico di Isernia Carnevale Ciro, che non è un giornalista, è stato condannato alla pena di anni due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, e risarcimento del danno in favore delle parti civili, pena sospesa, per essere stato ritenuto colpevole dello stesso reato di diffamazione a mezzo stampa ma compiuto con violazione di un sistema informatico. Tale aggravante ha comportato l’evidente aumento di pena. Entrambe le sentenze sono suscettibili di appello.
Il reato di diffamazione pone un confine tra il diritto di cronaca di cui all’art. 21 della Costituzione, quale libera manifestazione del pensiero che si manifesta attraverso la narrazione di fatti e si rivolge alla collettività con funzione di informazione e l’offesa dell’altrui reputazione che invece concretizza il reato di diffamazione.
La Corte di Cassazione ha affermato che il diritto sancito dall’art. 21 della Costituzione, che si estrinseca tra l’altro nella facoltà di diffondere a mezzo stampa fatti, notizie e commenti, e il diritto all’onore e alla reputazione tutelati dagli artt. 2 e 3 della stessa Costituzione trovano un bilanciamento idoneo ad escludere la responsabilità per diffamazione, purché ricorrano contemporaneamente tre condizioni: verità oggettiva dei fatti riportati, sussistenza di un interesse pubblico all’informazione e forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione. Da tenere presente per chi comunica con gli altri, giornalista o non, con qualsiasi mezzo

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