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sabato, Maggio 4, 2024

La lettera del vescovo Gianfranco De Luca alla comunità in occasione dell’arrivo della Madonna di Fatima

AperturaLa lettera del vescovo Gianfranco De Luca alla comunità in occasione dell’arrivo della Madonna di Fatima

“Signore, insegnaci a pregare” (Luca 11,1)

Cosa è la preghiera? 

Nel riflettere su questa domanda mi si presentano  due immagini con le quali mi sono imbattuto nel corso della mia esistenza. Mi hanno colpito nel profondo, e si sono sedimentate nella mia memoria,  perché presentano e rivelano dimensioni fondamentali dell’ esistenza umana e cristiana, e aiutano a comprendere il vero senso della preghiera.

Si tratta di un’opera di Edward Munch, denominata “Il Grido”, e di un grande Crocifisso, quello che ho avuto modo di vedere  nella Navarra, visitando, il Castello di Javier, famoso per essere il luogo di nascita di San Francesco Saverio.

Nella prima opera l’uomo in primo piano che emette un grido, esprime la disperazione e lo smarrimento che lo stesso artista norvegese provò durante la sua vita. Si tratta di un grido ”interiore”. Certamente è un’opera autobiografica, ma nello stesso tempo, come accade spesso nelle opere d’arte, esprime il dramma esistenziale della persona umana in quanto tale. Infatti, soprattutto per il suo crudo stile pittorico, trasmette delle sensazioni universali, sentite da tutti gli uomini, anzi a me è parso rappresenti la realtà stessa dell’uomo, che, nella sua solitudine creaturale esprime in quel “Grido” la sua ricerca di senso, che trova risposta solo nell’incontro con l’Altro. Solo nella relazione con l’Altro è possibile cogliere la propria identità e il senso del proprio esserci. La persona umana chiusa nella sua individualità, e prigioniera della stessa, non può essere che un “grido” che, anche se si impone, rimane comunque tale e si perde nel vuoto di un susseguirsi di eco innumerevoli.

Nella seconda opera, una grande scultura, un po’ più che di grandezza naturale, l’intagliatore esprime, in modo plastico, quanto contempla nel mistero di Cristo che muore sulla croce, donando la sua vita per noi. Il Cristo di Javier, e segnatamente il suo volto disteso e sorridente, esprime l’esistenza umana, certamente, in quanto crocifissa, segnata dalla sofferenza e dalla morte, ma pacificata, serena, trasfigurata. È l’uomo che nel gridare, ha trovato l’Altro, al quale si consegna, e dal quale viene abbracciato. Al grido di Gesù morente sulla croce: «Dio Mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» riportato da Matteo e Marco, (Mt. 27, 46; Mc. 15,34) fa da riscontro, in Luca, il grido «Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito» (cfr. Lc. 23,46).

In queste due immagini trovo la risposta a cosa è la preghiera: il mio grido, che esprime la mia incompiutezza, la mia impotenza, l’incomprensione stessa del mio esserci e del mio vivere, accolto nell’incontro con l’Altro che mi fa comprendere la mia identità, la mia unicità e il senso del mio esserci. Leggiamo nei Salmi: «come terra, deserta, arida senz’acqua, così è l’anima mia, ….  A te si stringe l’anima mia, la tua forza mi sostiene». (cfr. Salmo 62)

“Signore insegnaci a pregare” ( Luca 11,1)

Perché pregare?

Se la preghiera è il luogo dell’incontro con l’Altro che dà consistenza al mio esserci e apre alla consapevolezza della mia identità, si prega per vivere, per uscire da uno stato di sopravvivenza ed entrare nella vita. Si, la preghiera è vitale, in quanto rende vivi e fa vivere.

Questa è una esperienza universale, basta scorrere le testimonianze di preghiere che l’uomo di ogni tempo, cultura, pensiero filosofico e religione ha lasciato lungo la storia. Si capisce allora perché il Mahatma Gandhi dicesse: 

«Io non sono un uomo di lettere o di scienza. Io pretendo umilmente di essere un uomo di preghiera. È la preghiera che ha salvato la mia vita, senza la preghiera, da molto tempo avrei perso la ragione. Se non ho perduto la pace dell’anima, nonostante tutte le prove, è perché questa pace viene dalla preghiera. Si può vivere qualche giorno senza mangiare, ma non senza pregare. La preghiera è la chiave del mattino, è il catenaccio della sera. La preghiera è l’alleanza santa tra Dio e gli uomini per ottenere di essere liberati dalle grinfie del principe delle tenebre. Dobbiamo fare una scelta: o allearci con le forze del male o, al contrario, con le forze del bene. Ecco la mia testimonianza personale; chiunque ne faccia l’esperienza vedrà che la preghiera quotidiana aggiunge qualche cosa di nuovo alla sua vita, qualche cosa che non ha un equivalente in null’altro».  

Ora ci chiediamo: cosa comporta questo “essere rivolto  a Lui”?

Innanzitutto riconoscere e accettare liberamente il fatto che io sono e vivo solo ed esclusivamente grazie a Lui. 

Qui la preghiera è adorazione.

Questo riconoscimento mi fa cogliere che sono stato affidato a me stesso, ho ricevuto il più grande dono immaginabile: non solo quello di essere, ma di essere per me stesso nella libertà, sì, di poter realizzare me stesso: Qui la preghiera è ringraziare.

L’atto che mi ha costituito nel mio essere in libertà continua ad avvenire, continua ad accompagnarmi. Non sarebbe allora già cosa sensata chiedere di poter restare con la mia libertà in sintonia con la mia origine invece di dimenticarla o di disprezzarla, errare per sentieri miei che non portano a nulla? La preghiera si fa Richiesta.  

Chiedere è come la ricerca che la mano del bambino fa della mano della madre, per poter camminare sicuro per una strada che non conosce.

Io, come ogni uomo, sono un essere in libertà e nello stesso tempo in relazione. È solo rimanendo in relazione con la mia origine che sono in libertà, perché chi mi ha donato a me stesso mi ha dotato anche della libertà. Lui è il fondamento del mio essere e della mia libertà.

 

“Signore, insegnaci a pregare” ( Luca 11,1)

1- Gesù pregava

Scorrendo le prime pagine del Vangelo di Luca, ci imbattiamo in tre inni che ancora oggi scandiscono il ritmo quotidiano della vita liturgica dei cristiani: il benedetto il Signore, Dio di Israele,(Benedictus) di Zaccaria, (Lc. 1,68-79) con il quale apriamo la giornata, l’anima mia magnifica il Signore, (Magnificat) di Maria (Lc. 1,46-55) con il quale preghiamo al calare della sera e il cantico “Ora lascia che il tuo servo vada in pace …” (Nunc Dimittis) del vecchio Simeone con il quale chiudiamo la nostra giornata. Già questo ci suggerisce di cogliere in questo Vangelo l’attenzione al tema della nostra riflessione. Luca, in modo tutto speciale, mette in evidenza come Gesù spesso si ritirava a pregare in luoghi solitari. E’ proprio Luca che  riferisce come Gesù passò la notte in preghiera prima di scegliere i Dodici; cosi racconta, come dopo il Battesimo nel fiume Giordano: «mentre stava pregando, si aprì il cielo, e lo Spirito Santo scese su di lui in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto»; la stessa trasfigurazione accadde mentre Gesù pregava; infine ci racconta della preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi, prima di affrontare la passione e la morte. (Lc. 6,12; 3, 21; 5, 16; 6, 12; 9, 18-21; 11, 1) Questo ritirarsi di Gesù, il suo raccogliersi in solitudine in luoghi in disparte, avrà incuriosito e nello stesso tempo attratto i discepoli, tanto che leggiamo, sempre nel racconto di Luca: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».  Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome …» (Lc. 11,1-4)

 

2- Il nuovo della preghiera al quale Gesù dischiude e introduce.

Nel racconto appena letto, troviamo il nuovo al quale Gesù ha dischiuso la preghiera della persona umana: ha rivelato che l’Altro, che dà consistenza alla esistenza di ognuno e rende consapevole ciascuno della propria identità, è il Padre. Ha tolto il velo dell’invisibile e dell’inaccessibile, introducendoci nell’intimità dell’abbraccio del Padre. Lo stesso nel quale Lui vive dall’eternità. Dio è l’Abbà, il babbo, che ha donato il Figlio per noi, dona lo Spirto, che, come dice l’Apostolo, vive in noi e in noi dice: «Abba, Padre». (Gal. 4,6) La preghiera del cristiano è entrare, vivere e rimanere in quest’abbraccio.

Comprendiamo qui il valore e la profondità dell’affermazione di von Balthasar: «Il cristiano esiste o scompare con la preghiera».

È questa la preghiera cristiana, una preghiera straordinaria. Non si riscontra in altri luoghi, né in altre religioni. Al più, se si crede in una divinità, la si venera, la si adora, la si supplica stando, per così dire, all’esterno di essa. Qui si entra nel cuore di Dio. Questa è l’atmosfera in cui il cristiano di ogni epoca può e deve respirare. 

3- Gesù continua a pregare 

Lui è in “collegamento” tra il Padre e ogni persona umana e tutta l’umanità. L’autore della lettera agli Ebrei ci assicura che quanto Gesù ha operato una volta attraverso il dono della sua stessa vita: l’introdurci in una relazione nuova con Dio che è Padre, e il partecipare della dignità di figli di Dio, è per sempre, e rimane attuale e operante in ogni tempo e circostanza. 

E prosegue affermando che Gesù sa compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, proprio come noi. Ricorda che Gesù, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte, e pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì, per questo è divenuto causa di salvezza eterna per quanti lo riconoscono e lo accolgono. Invita perciò ad accostarci a Gesù con piena fiducia e a tenere lo sguardo del nostro cuore fisso su di Lui.

È molto bello e importante, a questo riguardo, quanto scrive sant’Agostino: «Dio (il Padre) ci unì a Lui come membra, in modo che egli fosse Figlio di Dio e figlio dell’uomo, unico Dio con il Padre, un medesimo uomo con gli uomini. (…) Di conseguenza, quando rivolgiamo a Dio la nostra preghiera il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, sarà colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. (…) Riconosciamo, quindi, sia le nostre voci in lui, come pure la sua voce in noi. (…) Perciò noi preghiamo lui, per mezzo di lui e in lui; diciamo con lui ed egli dice con noi».

4- Gesù ci invita ad entrare nella “sua preghiera”

Dove prega Gesù? È la domanda che si saranno posta i discepoli vedendolo in disparte e profondamente assorto, una domanda che forse ha preso ancora più corpo nell’episodio della trasfigurazione di cui ci narra Luca, e nel quale sono coinvolti Pietro, Giacomo e Giovanni. (Lc. 9,28-36) La risposta è molto semplice: nel Padre! Lo spazio (luogo) della preghiera è la relazione del Figlio con il Padre. 

È in quella relazione che Gesù ci chiama e ci invita ad entrare, del resto è venuto proprio per questo: si è fatto nostro fratello, perché in Lui diventassimo figli. L’invito risulta chiaro quando ci dice: «tu quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto;  e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». (Mt.6,6) E prosegue: «pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre…» (Mt. 6,7-8)

Nel Vangelo di Giovanni viene in evidenza che tutto quello che Gesù dice e fa scaturisce da quella relazione ed esprime quella relazione. A Filippo che gli chiede di far vedere finalmente il Padre a tanto Gesù si riferisce risponde: «Come puoi dire: Mostraci il Padre?  Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse». (Gv. 14,10-12)

Tutta la sua vita, è preghiera, il suo essere stesso è preghiera in quanto esprime la sua relazione con il Padre. Non è questa la stessa cosa che chiede a noi quando dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre   vostro che è nei cieli»? (Mt.5,16) In Francesco d’Assisi questo era evidente, palpabile; di lui, Tommaso da Celano scrive: «Non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente.»

Proseguendo nella riflessione sull’entrare nella sua preghiera, Gesù ci apre un’altra prospettiva: quella della preghiera fatta insieme nel suo nome. Leggiamo in Matteo: «in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli». (Mt.18,19) Una cosa analoga afferma nel vangelo di Giovanni «In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. … Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena». È sicuramente una dimensione specifica della preghiera cristiana, che affonda le sue radici nell’esperienza dell’Alleanza che caratterizza la relazione di Dio con il popolo d’Israele, e in Gesù trova il suo compimento e la piena attuazione: nel Padre ci ritroviamo personalmente in quanto membra dell’unico popolo, Corpo di Cristo. La nostra preghiera è allo stesso tempo personale e collettiva, specificatamente nostra e nello stesso tempo del Figlio unigenito, questo accade in modo rituale e performativo nella Celebrazione della Santa Messa, ma si può anche vivere nella quotidianità del «dove due o più» sono uniti nel Nome (persona) di Gesù. Essere uniti nel nome di Gesù comporta il vivere il comandamento dell’amore scambievole. (cfr. 1Gv 2,3-5)

Nell’esperienza cristiana alla preghiera di adorazione, di ringraziamento e di lode, di richiesta, di cui abbiamo già detto, si aggiunge quella di intercessione, che non è un semplice chiedere per un altro, essa ci conforma più da vicino alla preghiera di Gesù. Egli, unico intercessore presso il Padre in favore di tutti gli uomini, particolarmente peccatori. Intercedere è una prerogativa di un cuore in sintonia con la misericordia di Dio. «Chi prega non lascia mai il mondo alle sue spalle». Ha detto Papa Francesco: «Se la preghiera non raccoglie le gioie e i dolori, le speranze e le angosce dell’umanità, diventa un’attività “decorativa”, un atteggiamento superficiale, da teatro, un atteggiamento intimistico. (…) La preghiera è il nostro cuore e la nostra voce, e si fa cuore e voce di tanta gente che non sa pregare o non prega, o non vuole pregare o è impossibilitata a pregare: noi siamo il cuore e la voce di questa gente che sale a Gesù, sale al Padre, come intercessori.  (…)  l’orante prega per il mondo intero, portando sulle sue spalle dolori e peccati. Prega per tutti e per ciascuno: è come se fosse un’“antenna” di Dio in questo mondo».

 

“Signore, insegnaci a pregare” (Luca 11,1)

Tutto quanto abbiamo detto della preghiera può essere attraente e interessante, ma come entrare nella preghiera, come pregare, anzi, come diventare uomini e donne fatti  preghiera? È questa una possibilità riservata a pochi? A persone speciali? 

Dobbiamo subito dire che tutte le realtà vere e belle del vivere sono per tutti, e alla portata di tutti, questo è certo. Come è anche certo che tutto va appreso nel tempo, attraverso un percorso fatto con costanza e perseveranza, e, se si vuole, a volte anche con fatica. Mi chiedo: questo non vale anche per l’amore, per la verità, per la giustizia, e per ogni dimensione che appartiene all’esistenza umana? 

Innazitutto bisogna partire da un presupposto: la preghiera non è il risultato di uno sforzo, ma lo svilupparsi di un dono che ognuno di noi porta dentro, quello di essere figli del Padre, grazie allo Spirito che abita nel nostro cuore dal giorno del nostro Battesimo. E siccome è un dono di Dio, non viene mai meno e resta per sempre. La nostra parte è quella di esercitarci, prprio come accade per lo sviluppo armonico del nostro corpo, o la riabilitazione di un’arto rimasto fermo per lungo tempo. La vita dei santi di tutti i tempi risulta un album illustrato dove si possono conoscere e apprendere stili e metodi diversi, per entrare nella preghiera.  Sant’Ignazio di Lojola nei suoi Esercizi spirituali, offre dei suggerimenti per esrcitarsi  nella preghiera. Nel testo degli Esercizi Spirituali, la preghiera viene presentata come un incontro personale con il Signore, occorre perciò scegliere un tempo e un luogo che aiuti questo incontro. E poi viene suggerito di osservare le seguenti tappe.

1. Presenza: Mi metto in presenza del Signore mendicando il dono della preghiera e della concentrazione. Chiedo al Signore che tutte le mie energie convergano verso questo incontro. Penso con quanto amore mi sta conoscendo e guardando in questo momento.  Poi: – “Composizione guardando il luogo”: utilizzo la mia immaginazione per farmi una “icona interiore” della scena che sto per meditare. – “Chiedo ciò che voglio e desidero”: entro in relazione diretta col Signore chiedendo un dono ben preciso, in una formulazione che posso ripetere spesso. 

2. Meditazione: Leggo e rileggo il brano. Mi fermo dove una parola mi colpisce, dove “trovo gusto”, senza fretta di andare avanti. “Non è il tanto sapere che riempie e soddisfa l’anima ma il sentire e gustare le cose interiormente”. Sulla parola che mi colpisce metto in moto la mia memoria (che cosa mi ricorda?), la mia intelligenza (che cosa mi fa capire?), la mia volontà (che desideri fa nascere in me?). 

3.Colloquio: Parlo col Signore “come un amico parla con l’amico”. E non ho paura di “versare” in Lui tutta la mia “morte” del cuore affinché Lui versi in me la sua vita. È la “conversazione”.

Revisione: Dopo la preghiera, in un altro luogo, ripercorro per alcuni minuti il suo andamento. Mi chiedo come è andato il metodo, che parola mi ha colpito di più, e cerco di dare un nome ai sentimenti che mi hanno attraversato.

Può essere utile riassumere un pensiero che ho imparato dal card. Martini, il quale in una meditazione ai laici, parlando nella necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai, distingue la preghiera condensata: i momenti della liturgia, i momenti della preghiera personale vocale, meditativa, il momento della recita del rosario, la visita al Santissimo Sacramento;  dalla preghiera diffusa: essa parte e riparte sempre con invocazioni, giaculatorie, suppliche, intercessioni, rendimenti di grazie diffusi durante la giornata, così da penetrare ogni circostanza della vita. La prima parte dal centro e si estende su tutta la giornata generando inevitabilmente anche la preghiera diffusa; la seconda parte dal cerchio e lega i vari momenti della giornata e le varie situazioni ci accompagna nel silenzio notturno e al mattino quando ci alziamo.  Si tratta dunque di una preghiera possibile, che dobbiamo desiderare, fosse anche per tutta la vita. Senza la preghiera incessante, quella condensata non raggiunge la sua profondità; l’una facilita l’altra, la prepara, e le due sono in continuità.  È un dono che non dobbiamo cessare di chiedere al Signore, perché ci permette di essere con lui in mezzo a tutte le vicissitudini, a tutte le preoccupazioni anche della vita professionale, in tutti gli aspetti della vita di relazione, nelle difficoltà dell’impegno sociale e politico.

“Signore, insegnaci a pregare” ( Luca 11,1)

C’è un nesso necessario, per noi cristiani, tra la preghiera e la vita, il contenuto della preghiera e lo stile di vita.

Mi ha molto colpito quanto ho appreso da uno studio fatto sul discorso della Montagna (Mt. 5-7) dove viene dimostrato che la consegna del Padre Nostro da parte di Gesù è il centro anche da un punto di vista quantitativo, c’è un ulteriore segnale da un punto di vista di temi trattati prima e dopo il Padre nostro che si richiamano a vicenda e spesso hanno la stessa lunghezza e sembrano fare da preparazione e da conseguenza alla preghiera del Pater. Ma c’è come suggerisce il card. Martini, un motivo ancora più convincente: tutto il Discorso della Montagna si muove intorno al termine Padre che ricorre cinque volte prima del Padre nostro, cinque volte nella pericope centrale e cinque nell’ultima parte. Questo sicuramente ci autorizza a pensare che il tema della paternità di Dio e il conseguente nostro essere figli e vivere da figli, è centrale e originante dell’intero Discorso. Certamente il Discorso della Montagna va letto nel suo insieme e compreso proprio dal suo centro che è il Padre Nostro. Partendo, da lì, dalla relazione con il Padre scaturisce una vita piena di fiducia, vissuta nella confidenza e nell’abbandono nelle sue mani, una vita da figlio appunto. Contemporaneamente è proprio nella relazione con il Padre che accogliendomi figlio, mi vedo proiettato sugli altri figli del padre come me e impegnato a vivere la fraternità.

Se come recita il detto ciò che si prega determina ciò che si crede, è legittimo ritenere che ciò che si prega e si crede determina anche ciò che si vive. La preghiera vera è quella che si legge nella vita di chi prega: il rischio della menzogna è sempre in agguato e si insinua costantemente. Chi dice io conosco Dio (chi prega) e non osserva i suoi comandamenti (non vive nella fiducia e nella libertà dalle cose, e non si relaziona con gli altri come fratello) non è nella verità, è un bugiardo e in lui non c’è la verità. (cfr.1Gv.2, 3-5a)

Parafrasando Sant’Agostino: ecco tu dici: «Io prego». Certo che preghi, ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua preghiera.

C’è uno stop alla preghiera: «Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi vieni a offrire la tua offerta». Va preso molto sul serio, è nel Discorso della Montagna dove Gesù ci consegna il Padre Nostro.

A proposito di ostacoli nella preghiera riporto un aneddoto.

I discepoli interrogano il maestro: «In cosa riconoscere gli ostacoli più difficili alla preghiera?».

Il maestro risponde: «Nel giudizio, nel compiacimento di sé, nel sospetto». «Spiegaci meglio», chiedono i discepoli.

Il maestro risponde: «Chi si porta in cuore un giudizio sull’altro e non è disposto a farsi estirpare tale giudizio dall’amore di Dio, costui toglie in cuor suo a Dio il suo essere divino e il suo amore sconfinato. Come può costui guardare a Dio con cuore puro e attendersi tutto unicamente da Lui?

Chi non si stacca dal bene che riconosce in sé stesso, chi dirige lo sguardo su sé stesso anziché su Dio, chi si limita a sé e ai propri meriti, costui non punta l’occhio verso Dio in modo che l’occhio di Dio possa colpirlo e riempirlo della sua luce.

Chi si eleva verso Dio, ma con l’interrogativo se Dio voglia davvero ascoltarlo, costui lacera il proprio cuore e la grazia che Dio vuole donargli scorre attraverso questo cuore, perdendosi nel vuoto».

I discepoli domandano ancora: «Cosa possiamo fare per superare questi ostacoli?».

Il maestro risponde: «Adoperatevi con tutte le vostre forze. Ma ciò non basta. Mettete nella preghiera anche i vostri giudizi, il compiacimento di sé, i sospetti; donateli a Dio perché li trasformi».

 “Signore, insegnaci a pregare” ( Luca 11,1)

 A questo punto mi urge una domanda: «C’è un luogo, un evento, che possa risultare una vera e propria scuola di preghiera cristiana e nello stesso tempo risulti performativo nell’introdurre nell’esperienza della preghiera?» 

Si, lo ha inventato Gesù e lo ha consegnato a noi come suo impegno di restare sempre con noi per introdurci nella comunione con il Padre e sostenerci e rinnovarci nell’impegno di vivere da fratelli a beneficio dell’intera umanità. È chiaro, si tratta della Celebrazione Eucaristica nel giorno del Signore, la domenica. Tutti conosciamo il racconto dell’Ultima Cena e della istituzione dell’Eucaristia. Ebbene scorrendo le singole parti della S. Messa, così come la tradizione cristiana ce l’ha consegnata, viene in evidenza qualcosa di sconvolgente: qui il nostro grido di ricerca di senso incontra il l’ardente desiderio che Dio ha di noi, di ciascuno di noi. Il nostro grido e il desiderio che Dio ha di noi si compenetrano e si intrecciano in una danza fatta di chiamata e risposta, ascolto e confessione, proposta e richiesta, offerta e dono. Veniamo attratti in un vortice e introdotti da Gesù, Dio fatto uomo, che muore e risorge, nella comunione che Lui vive con il Padre, tanto che in Lui, per Lui e grazie a Lui, nello Spirito Santo possiamo dire, personalmente e insieme: Padre nostro. Fatti figli nel Figlio e riconoscerci fratelli nello scambiarci il dono della pace (Gesù stesso che si dona ciascuno). Nel comunicare con Gesù Eucaristia veniamo gradualmente trasformati in Lui e resi capaci di fare della nostra vita un dono per gli altri. Attrezzati, passi il verbo, per vivere da figli e da fratelli, è questo il senso del congedo con il quale si chiude la celebrazione eucaristica. È questa consapevolezza acquisita e vissuta che realizza la “partecipazione attiva” tanto sperata e promossa dal Concilio Vaticano II.

Essa, mi ascoltino bene i fratelli presbiteri, non è determinata dal protagonismo dell’Assemblea, ma dal vivere con consapevolezza e con le giuste disposizioni d’animo (apertura di cuore, atteggiamento di accoglienza e gratitudine, stato di grazia conservato o riacquistato…). Il valore pedagogico e catechetico dell’Eucaristia non è solo in quello che si ascolta e a cui si partecipa, ma anche e soprattutto in quello che accade ad Opera del Signore e che si accoglie nella fede. La vera “azione” della liturgia, a cui noi tutti dobbiamo avere parte, è azione di Dio stesso. È questa la novità è la particolarità della liturgia cristiana: è Dio stesso ad agire e a compiere l’essenziale. Egli introduce la nuova creazione, si rende accessibile, così che noi possiamo comunicare con Lui in maniera del tutto personale, attraverso le cose della terra, attraverso i nostri doni.

 “Signore, insegnaci a pregare” ( Luca 11,1)

 La esistenza di ogni persona umana e in particolare quella di ogni cristiano è caratterizzata dal combattimento. Così la presenta anche l’apostolo Paolo scrivendo agli efesini: «il nostro combattimento non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori del mondo di tenebre di questa età, contro gli spiriti malvagi nei luoghi celesti. Perciò prendete l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare ritti in piedi dopo aver compiuto ogni cosa». (Ef. 6,12-13) Dopo aver elencato un insieme di strumenti spirituali che costituiscono l’armatura che il cristiano deve indossare per combattere questa battaglia, conclude: «Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi» (v.18)

In questo breve versetto Paolo ci parla di preghiera e di supplica, di preghiera incessante, di pregare nello Spirito e ci invita a vigilare, vegliare. Che differenza c’è tra preghiera e supplica? Cosa vuol dire preghiera incessante? Cosa è la preghiera nello Spirito? Cosa intende con la parola veglia? 

Il pregare con ogni sorta di preghiere e suppliche è, indicativo di tutta la molteplicità della vita di preghiera. Ci sono più modi di pregare che non foglie degli alberi, perché ciascuno ha un qualche modo personale, o anche diversi, molteplici modi di trattare con Dio, di rivolgersi a Lui. Essendo la preghiera una relazione personale con il Padre è certo che ognuno ha i suoi modi di relazionarsi.

La preghiera incessante: anche a questa abbiamo accennato parlando della preghiera che va dal centro alla periferia e dalla periferia al centro. Con questa qualifica della preghiera Paolo ci porta all’essenza della stessa: l’unione con il Padre, quindi l’offerta a Dio di noi stessi.  Questa diventa incessante quando, attraverso una preghiera fatta sovente, in ogni occasione della giornata, il nostro spirito si fa abitualmente rivolto a Dio. Quindi, quasi insensibilmente, siamo in stato di offerta, in perenne stato di intenzione retta che si trasforma facilmente in preghiera. Non si tratta allora di pregare con le labbra o con la mente in ogni istante, ma di essere coscienti che, in ogni istante, in qualsiasi situazione ci troviamo a vivere siamo offerta a Dio.

Con l’invito alla vigilanza Paolo ci sprona a dare alla nostra preghiera una nuova caratteristica: quella della perseveranza. La preghiera va fatta con spirito “vigile”, non per abitudine, non lasciandoci trascinare, ma come chi continuamente è conscio di ciò che fa, attento a ciò che fa; non conscio di sé, perché la preghiera è dimenticanza di sé, ma conscio di ciò che è chiamato a compiere davanti a Dio. La preghiera ha sempre bisogno di perseveranza, ha bisogno di essere sostenuta coraggiosamente: è una lotta e quindi deve essere affrontata con animo coraggioso, con animo costante. È facilecominciare la preghiera, ma è difficile o anche difficilissimo, perseverarvi. 

Mi sembra molto importante soffermarmi sull’espressione di Paolo “preghiere e suppliche nello Spirito”. La nostra riflessione sulla preghiera è partita dal fatto che noi siamo un grido che si leva dalla nostra finitudine e dal nostro limite, e non trova una risposta finché non incontra l’Altro. Questa situazione viene espressa nella lettera ai Romani dove Paolo dice: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare; ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili. E Colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché intercede per i credenti secondo i disegni di Dio». (Rom. 8,26-28)

Occorre riconoscerlo, la preghiera è difficile, non soltanto perché richiede perseveranza, ma è difficile nella sua impostazione, non sappiamo cosa chiedere, come chiederlo, il nostro chiedere è un abbandonarci alla sua volontà o un voler determinare la sua volontà? È bene che la nostra preghiera sia abitata da questo dubbio. Questo ci porta a riconoscere la nostra debolezza, proprio questo permette allo Spirito di venirci in aiuto, così la nostra preghiera diventa preghiera nello Spirito. Lo Spirito vedendoci incapaci, che ci arrabattiamo, che non riusciamo, viene e si mette Lui a fare con noi (non perché diventiamo pigri, ma per aiutarci). 

Dunque, lo Spirito Santo si prende cura di noi, di noi poveri, che non sappiamo come regolarci, che abbiamo timore di regolarci male, che non sappiamo andare a fondo di noi stessi. E come concretamente agisce lo Spirito Santo? «Con gemiti inesprimibili», cioè in una maniera che non possiamo intendere, ma che è reale. La nostra preghiera non è orazione di solitari, ma nello Spirito: preghiera con lo Spirito, in unione stretta con Lui. 

E quindi credo che debba essere per questo fatta in grande condizione di calma e di tranquillità: «Signore, io mi metto di fronte a Te, e chiedo ciò che mi sembra di dover chiedere, compio quegli atti che mi sembra di dover compiere; e so che, quando mi metto con questa intenzione e fiducia, lo Spirito sta pregando per me».

Perciò, anche se la mia preghiera è arida, se non riesce a raggiungere lo scopo che vorrebbe, so che, se io mi abbandono a questa azione con distacco e rettitudine, lo Spirito sta lavorando, lo Spirito sta pregando.

 “Signore, insegnaci a pregare” ( Luca 11,1)

 «Ecco tua Madre». Gesù ci ha consegnato Maria, nel prenderla con noi, da Lei possiamo e vogliamo imparare anche la Preghiera. 

In verità a spingermi a scrivere a tutti voi, carissimi fratelli e carissime sorelle, è la circostanza dell’accoglienza nella nostra Diocesi della statua della Madonna di Fatima, che, come sapete sarà a Termoli dal 27 aprile al 5 maggio nella Chiesa Parrocchiale dedicata a San Timoteo, che potrebbe essere stato coinquilino della Vergine nel tempo trascorso ad Efeso.

Unitamente all’indicazione di Papa Francesco che ci propone di vivere quest’anno di preparazione al Giubileo, ormai vicino, come anno della Preghiera, questa circostanza mi è apparsa un invito ripetuto e riproposto da Maria, nostra Madre, che ancora una volta, rivolta a noi, ci invita a fare quello che Gesù, attraverso il ministero di Pietro, ci dice. 

Anche noi come singoli, come comunità cristiane, come comunità civile, sperimentiamo la mancanza di qualcosa che illumini la nostra mente, scaldi in nostro cuore, rimotivi le nostre mani, per uscire dalla rassegnazione, dalla prigione dello scoraggiamento, dalle analisi che denunciano vuoti e mancanze e sembrano spiazzarci, a volte paralizzarci. Proprio come a Cana, dove venne a mancare il vino, sul più bello della festa, e rischiava di implodere tutto nella delusione del “mancamento”, avverto nella nostra realtà ecclesiale e civile un pericolo analogo. Sembra che le abbiamo speso tutte le nostre risorse, le abbiamo impiegate tutte le nostre forze, e questo è sicuramente vero, ma proprio questo aver pescato tutta la notte e non aver preso niente è il presupposto per aprirci alla Sua Grazia, alla Sua Presenza, perché è nella nostra debolezza che si manifesta la Sua forza.

Meditando sulle apparizioni della Madonna a Fatima, da una parte si coglie una forte analogia con i tempi che viviamo. Si era nel colmo di quella “inutile strage”, così la definì Benedetto XV, che fu la prima guerra mondiale. Lo stesso pontefice affermò «con la pace niente è perduto, e con la guerra tutto può esserlo». Le stesse parole che papa Francesco, inascoltato, ripete e grida ripetutamente in questi nostri giorni così oscurati e insanguinati da quella che lo stesso Pontefice ha definito da tempo la terza guerra mondiale a pezzi. Dall’altra parte è possibile individuare l’attualità del messaggio che Maria, attraverso i tre pastorelli, lancia all’intera umanità: la conversione e la preghiera. 

Il primato di Dio nella nostra vita. Nello stesso tempo, proprio il concentrare l’attenzione sul Cuore Immacolato di Maria, aiuta a cogliere il vero volto di Dio: quello della Misericordia e del Perdono. Infatti il cuore, biblicamente inteso, è il centro intimo della persona e di tutto il suo agire: pensieri, ricordi, sentimenti, desideri, progetti, decisioni, parole, opere. È il luogo della responsabilità morale, del discernimento riguardo al bene e al male, dell’ascolto di Dio, della fede, soprattutto dell’amore verso Dio e verso gli altri. Con il suo cuore, Maria ascolta la parola di Dio e medita i misteri di Cristo: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19); «Sua Madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2, 51). Con il suo cuore, Ella è intimamente associata al Redentore e condivide il suo sacrificio salvifico: «Anche a te una spada trapasserà l’anima» (Lc 2, 35). Il suo Cuore Immacolato è la perfetta bellezza, lo splendore incomparabile del suo amore verso Dio e verso gli uomini peccatori. È il riflesso più luminoso e potente, con un timbro di tenerezza materna, del Cuore Sacratissimo di Gesù e, in definitiva, della Santissima Trinità, sorgente originaria dell’amore gratuito e misericordioso. Questo viene in evidenza nell’ultima apparizione della Vergine ai pastorelli, dove nella visione trinitaria conclusiva appaiono le parole «Grazia e Misericordia». È evidente il profondo collegamento di quanto accaduto a Fatima nel 1917, con il magistero quotidiano di Papa Francesco che ha fatto della Misericordia il tema portante del suo annuncio e della sua azione pastorale. Di questa Grazia e Misericordia la Chiesa è figlia, nasce dal costato squarciato di Gesù Crocifisso, e nello stesso tempo è Madre per tutta l’umanità.

 

Carissimi fratelli e carissime sorelle, «Nulla è impossibile a Dio»(Lc 1, 37) e Dio preferisce agire attraverso persone e cose piccole: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1, 52). Di questi umili Maria è la prima: «Ha guardato l’umiltà della sua serva… Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente» (Lc 1, 48-49). «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»(Lc 10, 21).

Noi siamo chiamati a cooperare col Dio Ricco di Misericordia secondo le nostre possibilità, che risultano sicuramente limitate e inadeguate, ma Dio può compiere meraviglie proprio attraverso la nostra piccolezza, purché come in Maria, trovi un cuore aperto e disponibile che si lasci trasformare dal suo amore.

Peraltro, cooperare secondo le proprie possibilità non significa compiere soltanto gesti episodici, ma assumere un atteggiamento permanente di responsabilità. Si tratta di meditare e invocare nella preghiera l’amore gratuito e misericordioso di Dio, per accoglierlo nel proprio cuore con la fede e la conversione, viverlo e manifestarlo agli altri nelle relazioni e attività quotidiane ed eventualmente nei progetti e nelle opere di rilievo sociale ed ecclesiale.  

 

“Ave piena di grazia, il Signore è con te”

quel saluto Ti ha turbato o Madre, eppure Tu eri usa a tenere il tuo animo aperto al Signore.

Ti immaginiamo, nel segreto di Nazareth, raccolta nel silenzio, in continuo dialogo con Dio.

L’Amore sorprende sempre, anzi sconvolge, proprio come è accaduto a Te.

Dinanzi all’irrompere dell’Amore sembra che Tu voglia ritrarti, si, perché appartieni alla grande schiera degli umili di cuore, di quelli che non risultano interessanti nella storia degli uomini, ma proprio con questi il Padre ha preparato la venuta del suo Figlio.

Tu non dirigi autonomamente la Tua vita, attendi che Dio prenda le redini della tua storia e Ti guidi dove Lui vuole.

Il Tuo “Eccomi”, semplice, piccolo e immenso, ha fatto sobbalzare l’intera creazione, certo non è stato improvvisato, sicuramente l’hai preparato con tanti piccoli “eccomi”, detti nel nascondimento della quotidianità. 

“Signore, quello che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi”.

Quanti uomini e donne, nel corso della storia della Chiesa hanno imparato da te, questa umiltà profonda, questa consegna totale nelle mani di Dio.

Vogliamo dire con te: “Signore, quello che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi”.

Fa’ che impariamo questa preghiera semplice, per mettere la nostra vita nelle mani di Dio: sia Lui a guidarci.

“Signore, quello che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi”.

Questa invocazione ammansisce la nostra inquietudine, calma la nostra fretta che vuole tutto e subito.

Tu o Madre, pur presagendo che il tuo “sì” ti avrebbe portato altrove, e procurato prove molto dure, hai saputo trasformare la tua paura in disponibilità.

Fa’ che, nella preghiera, impariamo, comprendiamo che ogni giorno donato da Dio è una chiamata, 

solo così saremo capaci di allagare il nostro cuore e di accogliere tutto dalle mani del Padre.

Fa’ che impariamo a dire: 

“Quello che Tu vuoi, Signore. Promettimi solo che sarai presente ad ogni passo del mio cammino”.

Sostienici e assistici nel dire al Signore: non lasciarci soli, non abbandonaci nella tentazione, non abbandonarci nei momenti brutti.

Tu Madre Santa hai accompagnato, in preghiera, Gesù lungo tutta la sua vita, e hai pregato con gli apostoli che hanno attraversato lo scandalo della croce.

Tu sei lì, nel Cenacolo, silenziosa, ma presente, non fai il capo, sei la Madre che prega con loro e prega per loro. Pregando con la Chiesa nascente sei diventata Madre della Chiesa.

Insegnaci a vivere nella Chiesa e con la Chiesa con il tuo stile. 

Tu non vivi per apparire, anzi a volte sembri scomparire, e riappari nei momenti cruciali, perché tu sei aperta alla voce di Dio che guida il tuo cuore e i tuoi passi là dove c’è bisogno della tua presenza.

Noi abbiamo bisogno di Te, Madre Santa, devi insegnarci a non voler risolvere noi i problemi delle persone che incontriamo, ma a condurle da Gesù e invitarle a fare quello che Lui dice.

Fa’ che impariamo questo stile di prossimità che nel rendersi attento all’esigenze immediate, introduce nella vita vera, quella che solo Gesù può dare.

Noi abbiamo bisogno di te, Madre Santa, devi insegnarci ad avere il cuore aperto alla Parola, un cuore silenzioso, un cuore obbediente, un cuore che sa ricevere la Parola e la lascia crescere per il bene della Chiesa.

Ave Maria, Madre di Gesù e Madre Nostra.

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