di Manuela Petescia*
Vite vissute negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, anime e respiri di un mondo invisibile, esistenze trascorse, come tante, in un piccolo paese del Molise, Casacalenda, ma simbolo di qualsiasi terra del Sud d’Italia.
Uomini e donne che hanno attraversato la storia in silenzio e senza lasciare traccia alcuna, se non in una foto, smarrita.
Ci ha pensato Flavio Brunetti a restituire un soffio di vita a queste esistenze del passato, ripescandole dal nulla in cui si erano dissolte e consegnando a ogni immagine un vincolo di identità, al termine di un viaggio nel mistero e nel tempo, tra luce e oscurità.
Ingegnere, scrittore, cantautore e autore teatrale, oltre che fotografo, è la seconda volta che dalle mani sapienti, laboriose e instancabili di Flavio Brunetti lastre sepolte e distrutte dal tempo recuperano come per magia la propria figura e restituiscono alla storia volti immortalati 150 anni fa, in un’epoca anteriore alla pellicola. Fotografie miracolosamente salvate e scampate all’oblio ci rivelano quel piccolo mondo – antico e perduto – con tutte le sue gioie e tutti i suoi dolori.
Come quella incantevole bambina che varca la soglia del fotografo per lasciarsi riprendere con un giocattolo e ci viene restituita qualche anno dopo da quella stessa macchina fotografica, adagiata in una bara.
Dopo il grande successo di “Non aprire che all’oscuro” – visitatissima mostra fotografica e catalogo – Flavio Brunetti torna dunque a rispolverare la nostra storia con altre 1500 lastre, ricevute in dono da una signora di Casacalenda, Teresa Corsi, e restaurate personalmente una ad una in sei mesi di lavoro ininterrotto, con finissima opera di artigiano: lastre di vetro e bromuro d’argento che hanno resistito al tempo, alla polvere, alla sepoltura. Non le ha cercate, dice, sono loro che hanno cercato lui, perché quelle persone non volevano essere dimenticate.
*direttore