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martedì, Marzo 19, 2024

Il coraggio di Raffaele Colapietra

EditorialiIl coraggio di Raffaele Colapietra

di Giovanni Mascia*

Al Molise e alla sua storia il prof. Colapietra ha dedicato tutta una serie di saggi che, andando ad aggiungersi al Profilo storico-critico del Molise da Federico II ai giorni nostri (Campobasso 1997) e a 1915-1945. Trent’anni di vita politica in Molise (Campobasso 1975), sono stati raccolti nel volume a cura di Gabriella Di Rocco, Contado e provincia di Molise. Studi di storia moderna e contemporanea (Campobasso 2013).

Dall’alto del prestigio accademico, Colapietra non ha disdegnato di collaborare attivamente con noi della rivista «Sannitica», scelta a suo tempo (2000) per pubblicare, tra l’altro, Di Michele Romano et de quibusdam aliis: conversando con Raffaele Colapietra, a cura di Giorgio Berchicci.
Alla notizia della morte dell’illustre storico, trovo sia bello e doveroso rievocarne anche la statura morale e il coraggio civile mostrato in occasione del tragico terremoto dell’Aquila del 2009, così come testimoniato nel film Draquila di Sabina Guzzanti.
In quella circostanza gli indirizzai la lettera che trascrivo, e che more solito lui riscontrò prontamente e con argomentazioni non certo di circostanza. Si considerino il rifiuto di presenziare insieme alla regista alla prima aquilana del film per evitare strumentalizzazioni cittadine, la gita a Roma per visionarlo in solitudine, le bordate al Pd di sindaci, presidenti e deputati e alla Protezione Civile monstrum… e tanto altro ancora.
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Campobasso, 14 maggio 2010
Gentilissimo professor Colapietra,
sono passati molti anni dall’ultima volta che ho avuto il piacere di ricevere un suo messaggio vergato come da costume sulla incisione a stampa di un frate francescano mio omonimo. Ne conservo più di qualcuno, perché con il passare del tempo la stima nei suoi confronti è venuta a consolidarsi, grazie alla frequentazione dei suoi scritti.
Certo non mi sarei aspettato di vederla rafforzata a sorpresa e in un contesto così inconsueto. Sono appena reduce, infatti, dalla visione del Draquila di Sabina Guzzanti. E mai avrei immaginato di ritrovarla protagonista di uno snodo basilare del film. Mi congratulo con lei per la forza e la determinazione nell’opporsi all’invito, o meglio al comando, a lasciare la sua casa, i suoi libri e i suoi gatti. In altri termini, per la coraggiosa resistenza che le ha permesso di non essere sradicato da se stesso e dalle ragioni della sua esistenza.
Purtroppo, il suo è rimasto un esempio isolato, o comunque minoritario. Se fosse stato emulato dai concittadini, si sarebbe potuto salvare ciò che restava della città e gettare le basi per la sua resurrezione. Gli aquilani non hanno avuto la forza che ha avuto lei o forse, per usare le sue parole, non sono stati attenti a cogliere nel profondo della loro coscienza la voce flebile di un genitore, un antenato, del genius loci che li invitava a restare, a presidiare le case e renderle di nuovo agibili con un minimo di lavori e di spesa. Non ho dubbi che in tal modo si sarebbero apprestati i primi soccorsi all’Aquila, gettando le basi per curarne il cuore pulsante, il centro cittadino, e – come dicevo – forse a salvarla e con lei salvare la vita di relazioni, di amicizie, di affetto dei residenti.
Proprio per questo ho apprezzato quello che secondo me potrebbe benissimo essere preso per epigrafe del film. Il lapidario “Non mi hanno preso!”, che è il grido di esultanza della sua vittoria personale, ma nello stesso tempo è l’incipit del capitolo doloroso della ingiusta e assai dispendiosa condanna a morte del centro storico dell’Aquila, collegato alle deportazione degli aquilani nelle tendopoli lager o negli alberghi narcotizzanti della costa in attesa della concessione di casette anonime costruite a costi sbalorditivi in territori senza passato e senza futuro attorno allo sfavillante squallore dei centri commerciali, che hanno preso il posto della piazza, della chiesa e del campanile. Davvero un aspetto tragico nel dramma del terremoto che non avevo considerato, quello delle tendopoli, gestite manu militari. Onore a Sabina Guzzanti per averlo colto e mostrato in tutta la sua crudezza. Dirò di più: prima di stasera non sarei stato capace nemmeno di ipotizzare la portata di un dramma che è andato molto oltre la precarietà della scomoda sistemazione al freddo e al caldo opprimenti e ha inverato i peggiori incubi di Kafka.
Auguro al film il migliore successo, ossia di raggiungere il maggior numero di aquilani, abruzzesi, italiani e aprire loro gli occhi. A lei, gentilissimo professore, che possa continuare a dare ottime prove della sua statura di intellettuale e di uomo. Intanto, la prego di vedere nella scarna stesura di questo biglietto i sensi della mia solidarietà e della mia ammirazione.
Buone cose
Giovanni Mascia
***
Aquila, 19 maggio 2010
Gentilissimo Amico,
ho atteso qualche giorno prima di replicare alla Sua quanto mai gradita (ed intelligente e sensibile, oltre che schiettamente “democratica”, nel miglior senso della parola) perché ho voluto nel frattempo fare una gita a Roma per concedermi una visione del film della Guzzanti che a lei stessa avevo rifiutato qui all’Aquila per sottrarmi a facili ed inevitabili strumentalizzazioni magari proprio di chi non avrebbe dovuto (il PDI squallidamente assente di fatto ma abbondantemente chiacchierante a vuoto con i suoi sindaci, presidenti e deputati).
Apprezzo totalmente del film la larghissima parte concessa alla dimostrazione schiacciante del monstrum rappresentato dalla protezione civile, così in quanto bubbone nazionale, come negatrice della dignità dell’uomo qui all’Aquila.
Non credo invece che sia stata stigmatizzata a dovere l’analoga autonegazione preliminare (e che ha deturpato tutto il resto), operata dagli aquilani col mettersi in balia di chi non li soccorreva nelle loro primarie esigenze ma li indirizzava in un baratro nel quale essi si sono volenterosamente ed unanimemente precipitati.
Lei coglie bene questo aspetto fondamentale del problema ed io lo ribadisco a tutte lettere nello scritterello che le allego e che mi è stato richiesto da un fascista sui generis del fondo della provincia di Lecce concedendomi di esprimere l’unico mio pensiero autentico ed indipendente rispetto alle quindici interviste giornalistiche e televisive che mi sono state fatte più o meno ad usum delphini (e di nessuna delle quali conosco l’esito, con grave scorrettezza professionale) e rispetto alla nessuna richiesta di collaborazione civile e culturale rivoltami da tutte le istituzioni locali d’ogni genere, regione, comune, provincie, università, enti artistici d’ogni genere e così via.
Non aggiungo altro perché l’argomento ormai mi ha saturato e, non potendo rimuoverlo, preferisco accantonarlo, almeno in una vita quotidiana che, grazie a Dio, conosce da sempre qualche almeno settimanale evasione, indispensabile più dell’aria.
Le ricambio l’augurio di buone cose che Lei spartanamente mi rivolge
Suo
Raffaele Colapietra
* Scrittore

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