di Giuseppe Pisani*
Io le chiamerei aree fragili, per un secolo l’Italia ha praticato l’opposto del distanziamento sociale. Eravamo 30 milioni, ben distribuiti su tutto il territorio nazionale, tra campagne, montagne e città. Oggi siamo più del doppio e tutti ben concentrati nelle aree urbane. Per questo vanno riscoperti i borghi. Servirebbe una dispersione e una ritrazione dell’urbano. Vanno salvati i borghi abbandonati. Queste sono “le aree interne”, sono ormai circa 6000 sparsi su due terzi del territorio, ricche di patrimonio (naturalistico, agricolo e culturale), ma sempre più povere di servizi. Il dibattito è vecchio ormai di dieci anni, la strategia nazionale (SNAI) delle aree interne voluta dall’allora Ministro F. Barca, rappresenta una politica nazionale innovativa di sviluppo e coesione territoriale che mira a contrastare la marginalizzazione ed i fenomeni di declino demografico.
Territori fragili, distanti dai centri principali di offerta dei servizi essenziali e troppo spesso abbandonati a se stessi che però coprono complessivamente il 60% dell’intera superfice nazionale, il 52% dei Comuni ed il 22% della popolazione. L’Italia più vera ed anche più autentica, la cui esigenza primaria è quella di potervi ancora risiedere, oppure tornare. Su tali luoghi la Strategia Nazionale punta ad intervenire, investendo sulla promozione e sulla tutela della ricchezza del territorio e delle comunità locali, valorizzandone le risorse, creando nuovi circuiti occupazionali e nuove opportunità; in definitiva contrastandone l’emorragia demografica. Per questo, il primo passo è coinvolgere le persone che abitano i paesi e gli attori che vi operano, siano essi operatori economici, istituzionali, sociali e culturali. Qualcosa che affossa il dibattito sulle aree interne è quello di pensare e progettare modalità di abitare, strategie economiche, senza individuare un contesto specifico, una Provincia o un Comune, pensando erroneamente di posizionare una progettazione in qualsiasi area. Da focalizzare un concetto: i borghi non chiedono di essere “ adottati “ , ma, un patto alla pari con le Città , che di questi hanno bisogno, quanto questi delle città.
La presenza fisica dei borghi tutela i servizi ecosistemici: acqua, foreste, stabilità idrogeologica. E’ una sfida di chi voglia immaginare una vita nei borghi del nostro appennino, fatto di turismo e agricoltura. Tradotto: se c’è voglia di invertire la demografia italiana, e spingere le persone a lasciare le città per i borghi, serve una burocrazia semplificata che permetta questo esodo inverso. La conservazione delle aree interne e la loro valorizzazione a fini turistici, non risponde soltanto ad istanze di tipo ambientale (tutela del paesaggio), etico-culturali (tutela del patrimonio) ,ed estetico ( tutela dei paesaggi ) ma andrebbe posta soprattutto come strumento di programmazione territoriale che punti all’auto-sostenibilità dello sviluppo. Vanno pensati eventi non solo per far arrivare persone per la durata della manifestazione, ma, in qualche modo convincerli ad una eventuale stabile dimora e aiutare chi in tali borghi è rimasto. Se vogliamo realmente dare una seconda vita ai borghi è necessario investire sul territorio per il territorio. Va costruita un alleanza da sud a nord, per rafforzare tutta la dorsale appenninica.
*Giuseppe PISANI
Ricercatore di peculiarità e storia dei borghi
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