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mercoledì, Maggio 8, 2024

Sessantesimo della morte del pittore Marcello Scarano: ricercatore del vero e dell’essenziale, la sua pittura innovativa e protagonista del ‘900 molisano

AperturaSessantesimo della morte del pittore Marcello Scarano: ricercatore del vero e dell’essenziale, la sua pittura innovativa e protagonista del ‘900 molisano

Sessantesimo della morte del pittore Marcello Scarano: ricercatore del vero e dell’essenziale, la sua pittura innovativa e protagonista del ‘900 molisano.  Marcello Scarano, la sua famiglia ha origini triventine, spirò la mattina del 7 maggio del 1962. Una vita tormentata dalla passione dell’arte e totalmente vissuta per l’arte, un punto di riferimento per la cultura, più in generale, della nostra regione. In occasione del sessantesimo anniversario della morte, con l’arduo intento di introdurre l’alto spessore dell’artista, riportiamo la biografia di Marcello Scarano, tratta dalla tesi di Laurea magistrale in Letteratura e Storia dell’Arte, di Vittorio Scarano, dal titolo “La veduta e il paesaggio in Marcello Scarano”, discussa nell’anno accademico 2016/2017 presso l’Ateneo molisano, con relatore il professor Lorenzo Canova.

Gli anni della formazione e l’incontro con l’arte.

A dare i natali a Marcello Scarano, come un segno del destino, è stata Siena, città d’arte di particolare pregio nel contesto nazionale e internazionale. Era il 15 novembre del 1901, quando Nicola Scarano ed Annita D’Abbieri diedero alla luce il loro secondo genito: a precedere la nascita del pittore fu Maria, a seguire in ordine temporale, Giuseppe, Silvia ed Isotta. Il matrimonio risale al 1898, quando Annita D’Abbieri aveva solo 17 anni (1881-1967) ma già pronta all’esperienza di madre: “alla bellezza univa la grazia e la cordialità, intelligente e lettrice infaticabile, sentì profondamente la sua missione di madre”, così la ricorda la figlia Maria nei suoi appunti. Marcello Scarano nasce a Siena perché il padre, professor Nicola Scarano, viene assegnato alla scuola di questa città per l’insegnamento, era titolare della cattedra di Italiano e Latino del Liceo Classico. Nicola Scarano nasce a Trivento il 18 novembre 1865, sesto di sette figli: nel 1892 si laureò in Lettere e Filosofia con il massimo dei voti, presso l’Università Federico II di Napoli. Qui frequenta le lezioni di Filologia romanza, Letteratura italiana, Letteratura greca e Storia della Filosofia con i docenti di riconosciuto spessore intellettuale: Francesco D’Ovidio, anch’egli originario di Trivento, molto interessante una loro corrispondenza di recente studio, Bonaventura Zumbini, Michele Kerbaker e Alessandro Chiappelli. Parallelamente alla scuola, istituzione in cui credeva fermamente per l’educazione culturale e morale delle nuove generazioni, approfondì i suoi studi letterali su Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Alfieri, Manzoni, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Verga. Curò importanti florilegi del poema ariostesco e tassiano, delle rime petrarchesche, e ancora un commento alla Divina Commedia, un commento dei Promessi Sposi e una pregevole Storia della Letteratura Italiana. La vena pittorica, Marcello Scarano la ereditò sicuramente dal padre, infatti il professor Scarano, dopo il conseguimento della licenza liceale (Napoli, 1884) e il diploma da maestro (Napoli 1886), si trasferì per due anni presso l’abbazia di Montecassino, nel 1886 con l’incarico di maestro ed istitutore, e nel 1887 come aiuto dell’abate Oderisio Piscinelli, pittore, miniatore e paleografo di fama riconosciuta. In questo periodo riproduce antiche miniature e stemmi della diocesi di Montecassino, lavori in miniatura fatti dono a Papa Leone XIII nel 1887 in occasione del cinquantenario di sacerdozio. Sono poche le miniature dei suoi anni giovanili, si conserva una riproduzione ad inchiostro, realizzata quando aveva 16 anni, intitolata “L’agguato dei Briganti”. In età matura eseguì tre ritratti di famiglia con soggetti: la moglie Annita e i figli Silvia e Marcello. Infine, la figlia Maria ricorda nelle sue memorie che a distanza di anni, dopo aver letto una Conferenza su Raffaello, in occasione del centenario della morte, realizzò tre riproduzioni: La Trasfigurazione; La Deposizione e La Madonna del Granduca, date in dono alle tre figlie Maria, Silvia ed Isotta. Nel 1903 il trasferimento da Siena a Napoli, nuova sede di insegnamento per Nicola Scarano. Nella città partenopea Marcello Scarano venne avviato agli studi privati delle classi elementari, che concluse a Campobasso, nuova destinazione per il padre, avvenuta nel 1910. Già durante questi primi anni di studio, Marcello Scarano iniziò a dipingere ad acquerello, come passatempo. Di questo periodo si conservano alcune riproduzioni di cartoline illustrate: Il Vesuvio; Il cervo; Il pavone e la pavonessa; La barca a vela. A Campobasso frequentò le classi ginnasiali e liceali nel Regio Liceo Ginnasio, a contraddistinguerlo era la sua intelligenza più che la costanza nello studio, tant’è che non riuscì mai ad ottenere la promozione nel primo scrutinio. Nel 1918, quando frequentava la Quinta classe ginnasiale, dovette ripetere l’anno per via delle assenze dovute ad una “broncopolmonite con postumi di pleurite”. Durante la convalescenza, Marcello ricevette dalla madre 200 Lire che utilizzò per l’acquisto di colori e pennello, con l’intento di sperimentare la pittura ad olio. Risalente agli studi liceali, abbiamo un’altra testimonianza della sua forte inclinazione alla pittura, questa volta di un suo compagno di scuola: “da studente di liceo dipingeva graziosamente cartoncini e tele, che poi passava per non molto denaro ad occasionali amatori o regalava a qualche bruna o bionda amica, raramente a qualche intimo o distruggeva in un momento di nervosismo”. Un ricordo che ci apre al carattere del pittore, estroso e di umore instabile e questo forse era dovuto al suo senso di inappagamento e di ricerca continua della verità, della bellezza delle cose, della vita. Nel 1922 il peregrinare della famiglia Scarano questa volta fa tappa a Pisa: il professor Nicola Scarano educato ai valori cristiani e pervaso da questi, aveva un alto senso della famiglia e per i propri figli e il loro futuro era disposto a fare i maggiori sacrifici, come quello di trasferirsi a Pisa, sede dell’Università di Medicina e Chirurgia, dove Marcello Scarano si iscrisse. Frequentò i primi due anni accademici con particolare interesse e con risultati lusinghieri, tanto da ottenere per meriti un esonero parziale dalle tasse universitarie. Ma le cose prendono una piega inattesa a partire dal nuovo anno accademico, infatti, dopo aver frequentato il primo trimestre, nel gennaio del 1924 non riesce più a concentrarsi sui libri che sostituisce molto volentieri con la pittura e la musica. Marcello Scarano “suonava il violino ad orecchio, una passione ereditata dalla zia Gaetanina”, ricorda la sorella Maria nei suoi scritti. A questo delicato periodo per il pittore, di conflitto interiore e indecisione, risalgono alcuni lavori con soggetto il paesaggio della marina di Pisa, San Rossore, l’Arno. Scarano si dedicava anche alla ritrattistica e molti furono i disegni realizzati, alcuni dei quali venivano da lui stesso cestinati. Un periodo, dunque, delicato e combattuto per il giovane Scarano, con una pesante spada di Damocle sul suo futuro, fino a quando, nel maggio del 1924, maturò l’idea che spiazzò un po’ tutti in famiglia, quella di voler lasciare Pisa, dove non riusciva ad esprimersi, per raggiungere Trivento, presso l’abitazione della nonna. I genitori non si opposero e assecondarono la scelta, non senza qualche amarezza, ma la posta in gioco era alta, si parlava della salute psicofisica del proprio figlio ed ora era questa la priorità. Di qui a qualche settimana, la madre dopo aver accompagnato il figlio in paese, così scriveva: “con l’aria di Trivento, Marcello rifiorisce di giorno in giorno, fisicamente e moralmente. Fa quadretti dal vero, che sono l’uno più bello dell’altro e suona il violino”. E ancora: “A Marcello piace la vita di paese. Dice che è stufo della città e dei suoi divertimenti. Dipinge e persiste nella decisione di non voler tornare a Pisa”. Sempre madre Annita, nel frattempo rientrata a Pisa, torna dal figlio e, a fine luglio, appunta: “la camera di Marcello sta diventando una piccola pinacoteca. Ha ritoccato un quadro di San Girolamo, ch’è tornato nuovo. Ha fatto un autoritratto e dipinti dal vero. A me sembra che Marcello sia nato proprio per essere pittore. Gli continua a piacere la musica. Insomma, non fa che dipingere e suonare il violino”. A distanza di pochi giorni scrive ancora sulla ripresa psicofisica del figlio, arrivando a porsi questo interrogativo: “mi domando se sia un bene incoraggiarlo a continuare gli studi di Medicina oppure gli si faccia un danno. Io sono abbastanza ignorante nel campo dell’arte, ma l’occhio per distinguere il bello dal brutto l’ho di natura buono”. A questa lettera, Nicola Scarano risponde con tono rassicurante e con un ammonimento: “mi fa piacere che Marcello esca e trovi nella pittura la sua soddisfazione. Nessuno più di me è convinto che le cose per forza non riescono. Ma bisogna pur ricordare che la vita non è tutto, né sempre il proprio piacere”. Si avvicina
va il nuovo anno accademico, 1924/25, e bisognava prendere comunque una decisione, Marcello Scarano scelse di continuare gli studi di Medicina ma non a Pisa e chiese di trasferirsi a Roma, ottenendo non solo il consenso dei genitori ma anche, e come sempre, l’adeguato aiuto economico. Nella corrispondenza con i genitori, della sua nuova esperienza romana si mantiene sul generico, approfondendo solo su temi quali salute e denaro, nulla o quasi nulla riferisce sugli studi o sulla condotta di vita   che teneva. E da quando emerge dagli appunti della sorella Maria, Marcello Scarano continuò ad alimentare al sua vera passione, la pittura, frequentando musei e mostre, senza disdegnare momenti di svago e, purtroppo, vizi quale il gioco. Spesso si ritrovava senza più soldi e per questo accettava ben volentieri l’ospitalità di un suo cugino residente a Roma, Renato Scarano, o l’invito a pranzo di qualche amico molisano, sdebitandosi con un suo dipinto. Intanto, anche l’anno accademico romano 1925/26 fu caratterizzato dalla sua quasi completa dedizione alla pittura, oramai l’amore per l’arte aveva il sopravvento e segnato definitivamente il suo destino.

Le mostre e i primi riconoscimenti.

Il trasferimento all’Università di Roma per gli studi di Medicina, coincide con il periodo pittorico della cosiddetta Scuola romana. Marcello Scarano, con ogni probabilità, ebbe contatti con l’ambiente artistico della città capitolina, che ruotava intorno alla Terza saletta del Caffè Aragno. Stando a quanto sostenuto da Alberindo Grimani, “non si può affermare una effettiva partecipazione di Marcello al gruppo Scipione-Mafai-Raphael-Mazzacurati, ma nulla toglie che una certa influenza di Scarano nei confronti del citato gruppo si sia potuta verificare e viceversa”.  Dopo una breve permanenza a Pisa, nell’agosto del 1926 era a Campobasso dove espose nella “Mostra del Paesaggio” e questa sua prima esperienza fu contrassegnata dalla seguente critica, certamente non incoraggiante: “Marcello Scarano lascia un po’ perplessa la giuria. Stavolta ha usato una tecnica così strana e semplicistica, che, pur notandosi nell’insieme le bene conosciute e pregevoli tendenze artistiche del giovane dilettante, tuttavia non si è potuto formulare un giudizio”. Continua la sua permanenza a Roma, città che dice di voler lasciare solo se le condizioni fisiche della madre a Pisa non sarebbero migliorate, colpita da una malattia, ed è durante una lettera scritta a tal proposito che rivela in maniera evidente il male oscuro che lo attanaglia da tempo, “qui la mia mente riposa, posso continuare a stare a Roma fino a Natale? non mi sono ancora deciso a farmi passare una visita: è apatia anche questa. Ma ci andrò, non crediate che per aver scritto questa lettera io abbia peggiorato, no! Sto meglio, ma non sono guarito, questo lo sapevate. Fisicamente sto benissimo”. Le sue precarie condizioni fisiche erano motivo di preoccupazione dei genitori che volevano fosse seguito da uno specialista, tant’è che il padre, forse anche un po’ deluso dall’atteggiamento del figlio, sosteneva che “se Marcello non ha fatto nulla di quel che ha promesso, cioè di farsi visitare, vuol dire che ha poca intenzione di guarire e di cambiare stile”. Come aveva promesso, a Natale si riunì con il resto della famiglia a Pisa, dove rimase tutto il mese di gennaio dell’anno nuovo, anche per via di uno stato influenzale, durante il quale impegnò tutto il tempo tra pittura e violino. Dalla città toscana passò a Trivento, ospite della nonna che diventò uno dei soggetti ricorrenti delle sue opere. Qui la sua salute trovò giovamento e con soddisfazione, il 9 aprile, scrisse che era stato in campagna “nelle masserie di Schiavi d’Abruzzo, un paesino aldilà del Trigno, dove mi sono divertito abbastanza fra i contadini”. E come la nonna, protagonista di alcune delle sue opere, saranno i contadini con la loro semplice ed umile esistenza, in un mondo rurale dove il tempo sembra essersi fermato per dare spazio al vero, i protagonisti del suo Paesaggio. Intanto, passano i mesi, dal Natale siamo ora giunti alla vigilia di Pasqua che, in una lettera alla madre, dice di trascorrere dalla zia Lucia, “dove passerò bene quel giorno, così auguro anche a voi” e chiude la missiva con la ricorrente richiesta di soldi, “vorrei 100 Lire, perché altrimenti non posso arrivare alla fine del mese”. La madre, sempre da Pisa, cercava in tutto i modi di spronare suo figlio, incoraggiandolo ad intraprendere iniziative in grado di far conoscere ai più le sue doti pittoriche, e scriveva: “se tu non comincerai a mandare nelle esposizioni, non guadagnerai né ti farai un nome. Anche se ti diranno male sarai considerato”. Nel mese di luglio del 1927 venne richiamato per la visita militare a Caserta (dove poté ammirare la Reggia, definita da lui grandiosa pur essendo semplice lo stile architettonico) considerato che cinque anni prima era stato dichiarato rivedibile ed ora riformato, come lo fu anche suo fratello. Nello stesso anno, 1927, organizzò la sua prima Mostra personale nel Capoluogo di regione, potendo disporre di tre sale del Palazzo del Comune, concesse dal podestà Renato Pistilli. Sempre dagli appunti preziosi della sorella Maria, veniamo a conoscenza delle opere realizzate per l’occasione: nella prima sala domina un quadro della nonna, rannicchiata sul tipico braciere, la vegliarda si scalda; nella seconda sala sono esposti paesaggi, impressioni sui monti, lungo la spiaggia, attraverso i campi, con cieli azzurri. Nella terza sala dominano due quadri: due tipiche figure molisane, un contadino e una contadina, da dove traspira tutto il sacrificio per la terra ma mai sofferto. Sono questi gli anni in cui instaura un rapporto di amicizia con i pittori Giovanni Ruggiero ed Amedeo Trivisonno. Dai documenti della famiglia, riproponiamo una critica relativa a questa esposizione, degna di nota per aver intuito la portata innovativa della pittura dello Scarano: “molti adusati alla pittura dolce e rotondeggiante di altri tempi e di altre scuole, resteranno forse sgomenti di fronte a molti quadri dello Scarano, ma non potranno disconoscere che l’artista sa, pure in fatto di tele e di colori, il fatto suo. Egli presenta una ben complessa serie di paesaggi e di scene della natura, i cui colori rispettano la dolcezza ed appagano l’occhio”. La critica, quindi, coglie uno degli elementi di distinzione, il tratto di innovazione che ben incarna il carattere e temperamento di Marcello Scarano, la sua visione. Forse anche per questo venne poi ricordato come uno dei pittori ai quali i giovani molisani guardavano con attenzione e devozione. Dopo l’esposizione e con l’appellativo di “semplicista”, tornò a Trivento, dove trascorse tutta l’estate e fino ad ottobre, con la sua famiglia. Poi, si convinse di tornare a Pisa assieme ai suoi dove rimase fino al gennaio del 1928. Nell’aprile di quell’anno, propose un’altra Mostra personale a Campobasso, tra i quadri: “La famiglia intorno al braciere”, la tela del “Pittore a lavoro” e quella dei “Pellegrini”. L’ultimo periodo trascorso “bene” insieme a Pisa, portò i genitori di Marcello ad una conclusione, occorreva riunire la famiglia, cosicché il professore Nicola Scarano chiese il trasferimento a Napoli, dove si recò nell’ottobre del 1928, presso l’abitazione in via San Gennaro dei Poveri a Capodimonte. Marcello li raggiunse e, attratto dalla bellezza degli scorci della città Partenopea, lavorò sul paesaggio, prendendo spunto da Posillipo, dalla costiera Amalfitana, Capri, Pozzuoli. Si dedicò anche alla ritrattistica. Qui ebbe la possibilità di frequentare lo studio dei pittori molisani, quali Nicola Biondi, che lo introdusse all’arte, con le prime lezioni risalenti al 1918, Arnaldo De Lisio e Francesco Paolo Diodati. Pittori che lui stesso superò, distruggendo i miti del loro accademismo e delineando i confini di una nuova avventura creativa e con la sua pittura origina il volto di una possibile storia artistica meridionale. Come detto, Marcello Scarano non disdegnava momenti di svago, e a Napoli frequentò il Circolo abruzzese-molisano, “perché gli piaceva ballare – scriveva la sorella Maria – come anche il gioco, purtroppo”. Nel febbraio del 1929 tiene la sua prima personale a Napoli ed è in questo frangente che si fa risalire l’incontro con Crisconio ed a una sua possibile influenza sul pittore molisano, “una pittura ispirata al tonalismo crisconiano influenza anche Marcello Scarano”. Nel 1930, dal mese di ottobre a dicembre e sempre a Napoli, prende parte alla 2ª Mostra del Sindacato Fascista di Belle Arti Campano, con un olio dal titolo “Sole”. Scorrendo le date delle sue esposizioni, arriviamo al ’32, Aquila mese di settembre, quando partecipa alla 1ª Mostra del Sindacato Fascista di Belle Arti dell’Abruzzo e Molise, con il quadro “I mietitori”. La permanenza della famiglia Scarano a Napoli durò circa quattro anni, fino a quando il professor Nicola, avanti con l’età, iniziava a sentirsi stanco, anche fisicamente: quotidianamente doveva raggiungere il Liceo della Nunziatella da Capodimonte dove risiedeva. Cosicché, nell’ottobre del 1933, iniziò il nuovo anno scolastico a Campobasso, dopo
il trasferimento assieme ai suoi cari. Marcello Scarano continuava imperterrito il suo lavoro, nel 1933 partecipa alla 1ª Mostra nazionale sindacale della primavera fiorentina con due opere: “Ritratto di Silvia” e “Paesaggio”. Sempre a Firenze, l’anno dopo, tiene una mostra personale composta di 37 opere, con ritratti e paesaggi. La critica, a firma di Angelo Nardini, evidenzia che: “le sue opere avvertono la insoddisfatta ricerca dell’artista per acquisire una tecnica confacente al proprio temperamento ed affermano la volontà e la serietà con cui lo Scarano si è dato ad intraprendere la via dell’arte. Constatando de visu, segnaliamo: “Case vecchie”, “La montagna di Schiavi”, “Pomeriggio d’estate”, “Vecchia attorno al braciere”, “Ritorno dal santuario”, “Donne al mercato”, “I pellegrini”. Sempre in quest’anno, inizia a dipingere la “Via Crucis” per la Cattedrale di Campobasso. Realizzò le 14 stazioni, trasferite, poi, presso il santuario dell’Addolorata di Castelpetroso. Nel dicembre 1935 è di nuovo a Firenze alla mostra di Belle Arti, con opere quasi tutte dedicate al paesaggio. Nei mesi di luglio e agosto partecipa a L’Aquila alla 2ª Sindacale Abruzzese-Molisana con l’opera i “Pellegrini”, realizzata per il Convitto “Mario Pagano” di Campobasso. Dal 1934 al ’36, Marcello Scarano intrattenne una relazione sentimentale con una giovane professoressa di origine napoletana, laureata in Lettere classiche e con cattedra a Campobasso. La storia fu alquanto turbolenta, in linea, d’altronde, con il carattere irrequieto del pittore, e stava quasi concludendosi con un lieto fine. Ma così non avvenne. La storia sentimentale, nonostante il mancato lieto fine, o forse proprio per questo, preparò il pittore ad un momento di intensa riflessione, preludio di una svolta artistica. La sera del 28 luglio raggiunse Napoli, per gli ultimi preparativi prima del matrimonio, ma inaspettatamente e con una reazione eclatante, salutò tutti e riprese il treno per ritornare in Molise. Non raggiunse immediatamente Campobasso, ma, scrive la sorella Maria, “si rifugiò in un paesino ai piedi delle Mainarde, Castelnuovo al Volturno, dove si fermò più giorni, dopo aver informato i suoi cari”.

L’incanto delle Mainarde e l’idealizzazione del vero.

Dall’esperienza del 1936, a contatto con la splendida natura della campagna volturnese e con il pittore francese Charles Moulin, Scarano scrisse un articolo intitolato “Incanto delle Mainarde” che venne pubblicato sul quotidiano “Il Tempo” e che vale la pena riportare perché restituisce tutta la portata e intensità della “folgorazione concettuale” sul cammino professionale del pittore: “Andai la prima volta alle Mainarde in un mattino d’estate. Avevo lasciato nello studio quadri e abbozzi, nei quali avevo creduto di esprimere un mio mondo irreale, idealizzato, metafisico. Avevo nella mente idee di astrattismo, surrealismo e simili: ero in altri termini impreparato con la fantasia e con l’immaginazione a vedere un paesaggio che mi avevano tanto decantato. Ero scettico nei riguardi del vero, che sembrava mi avesse stancato; vagavo nelle illusioni, nella ricerca di una qualche cosa che potesse appagare la mia sensibilità resa esigente dalla cultura e dalla visione di certa arte italiana e straniera, frutto più di esaltazione mentale che di genialità. Il paesaggio fino ad Isernia, forse perché lo conoscevo abbastanza, non riuscì a darmi della emozione; dopo Isernia però, fu come se un velo mi cadesse dalla mente, come se i miei occhi si rischiarassero: tutta la mia pittura passata svanì e con essa ogni idea filosofica. Quella natura mi rapiva, mi meravigliava, mi sorprendeva, mi esaltava; il mio sguardo cercava e spaziava con avidità, la fantasia abbozzava, cercava quadri, composizioni; quel lirismo di vita inutilmente lo avevo cercato in me stesso. Era la rivelazione inaspettata che mai la natura aveva saputo darmi prima d’allora: era il cielo sereno e trasparente, tinto di rosa e di viola, erano le grandi masse di olivi con le cime quasi azzurre, i querceti, i poggi, i campi gialli, i casolari, i contadini che si recavano al lavoro o che già attendevano ad esso nei campi, le vallate, i viottoli, gli animali; tutto aveva per sfondo le Mainarde che si risvegliavano in una gloria di luce e di colore. Il mio mondo fantastico, quello che io avevo sempre intravisto, che era in me assopito o latente, mi si veniva offrendo spontaneamente, era concretizzato, realizzato nella natura. Non era più il vero ma la idealizzazione del vero; tutto era pace, serenità, silenzio; dimenticavo il passato e un brivido, che richiamava la mia fanciullezza, mi attraversava. Il mio mondo ideale era quello, erano quelli i paesaggi, le scene, le composizioni che io da anni avevo sognato e mai avevo saputo esprimere; assistevo alla creazione di una vita immaginaria. Le Mainarde erano indorate dal sole, mentre il paesaggio retrostante attraversato da valli e ricco di vegetazione, era ancora immerso nell’ombra; spiccava, come anello di congiunzione tra quella immensa zona di ombra e lo sfolgorio delle Mainarde, Colli al Volturno simile ad una rocca; il sole tingeva quelle rocce di oro e quella massa verde di una colorazione a fondo violaceo. La gamma dei colori presentava iridescenze e sfumature d’una delicatezza forse inimitabile anche dalla tavolozza di un grande paesista. Se non fossi sicuro di ritornare ancora alle Mainarde, proverei la nostalgia che prova chi, visitata una località incantevole, sa di non poterla rivedere mai più. Da Isernia a Castelnuovo, un paesello ancora primitivo situato ai piedi delle Mainarde, è tutto un susseguirsi di paesaggi meravigliosi, meravigliosi anche per quelli che non hanno la capacità intuitiva di esprimerli. Queste montagne che appartengono all’Appennino molisano, sembrano essersi staccate dalle Dolomiti per rendere ancora più suggestiva e incantevole la Valle del Volturno. Le donne che avvivano questi scenari, hanno spesso la fisionomia di madonne. Sembra che ogni cosa sia stata creata per una vita fatta di poesia e di amore. Il pittore qui non deve compiere sforzi, deve dipingere imitando. Mi è sembrato di essere vissuto lassù in altri tempi, in un’epoca sepolta nell’intimo della mia anima; ho visto sullo sfondo di queste montagne nelle acque del Volturno, sotto le cascate dei mulini antichi, all’ombra delle querce, la vita di un mondo fantastico. Al tramonto, quando tutto diventa massa ed ogni particolare si perde, l’effetto raggiunge il sublime, lo spirito si libera come per incanto dalla materia e vive spaziando, nell’armonia creatasi nel seno di questa natura, per opera del sole, delle piante, delle rocce, del silenzio, del mormorio delle foglie e delle acque. Ci si sente commossi di fronte a questo vero così espressivo e bello; esso è poesia, perciò arte. Nell’artista diventa non vero pur dipingendolo egli sinceramente, immune da ogni seduzione di artificioso abbellimento. È sempre vivo in me il tempo passato lassù; mi ritornano alla mente quei luoghi di serenità e di pace; il ricordo anzi li riveste di una caligine di sogno e di romanzo; sono visioni evanescenti ma concrete nello stesso tempo, perché viste con entusiasmo in attimi in cui lo spirito aveva dimenticato ogni dovere verso la società, ogni guadagno, ogni necessità della vita quotidiana. Sono le sensazioni che addolciscono lo spirito e lo riconducono alla intima fonte dell’arte. Si: vivere sulle Mainarde a contatto coi fiori, le ginestre, gli animali, gli alberi, le rocce, con quella gente semplice; scrutare e studiare ogni cambiamento che quella natura offre; indagare il misterioso arcano di quelle luci, di quelle masse che spesso appaiono eteree e sembrano non posare più sulla terra o in una inconcepibile scala cromatica”.

Verso la XXIII Biennale di Venezia.

Il 1936 segna una fase di travaglio per Marcello Scarano, non solo sentimentale ma anche, e soprattutto, artistica. Egli stesso parla di un nuovo modo di vedere le cose, che lo porterà a traguardi ambiti e riconosciuti in ambito nazionale. Nel mese di luglio del 1936 era alla Mostra provinciale di Campobasso e viene gratificato con il 1° Premio del Ministero delle Corporazioni per il quadro “Figura di ragazza seduta”. La critica apprezzò particolarmente con questo giudizio: ha riconfermato le belle qualità del pittore, che è insieme paesista e figurista e tende ad una interpretazione personale della sua regione. Dello stesso periodo è l’esposizione tenuta a Chieti, la Mostra d’arte abruzzese-molisana, dove la critica segnala, innanzitutto, che il quadro “Paesaggio molisano”, è un vero gioiello d’arte (poi acquistato dal Banco di Napoli) e, inoltre, si descrive un pittore “con una forte sensibilità, una tempra d’impressore eccezionale ed un’abbondanza di colori che sa, con delicatezza e sicurezza, gettare sulle tele in maniera veramente d’eccezione”. Nella recensione di Michele Biancale si aggiunge: Marcello Scarano, operoso intelligente e sul chi va là delle forme nuove. Insista sul suo paesino volumetrico senza deviazioni. E sarà bene”. Nel 1937 è alla IV Sindacale d’Abruzzo e Molise, organizzata a Campobasso, con 9 quadri tra cui “Il Legionario molisano”, mentre l’edizione successiva si terrà a Teramo, dove Marcello Scarano si presentò con 7 opere. Nel 1939 tornò a Chieti alla Mostra interprovinciale d’Arte d’Abruzzo e del Molise, dove si aggiudica il Primo premio del Duce di 1000 Lire e di cui riproponiamo il giudizio di Piero Scarpa, uno dei critici che più ha seguito Scarano, dove si inizia a delineare il profilo del pittore, che lo accompagnerà, non senza le fisiologiche evoluzioni, per la restante vita artistica, “mostra di particolare interesse è quella di Marcello Scarano, pittore di eccezionale tempra che di volta in volta troviamo sempre più libero, più sintetico e più sincero. La sua pittura ridotta all’essenziale è condotta dal disegno che, pure essendo impiegato come elemento costruttivo, non vince il colore ma lo accompagna nella sua lirica funzione, resa più che mai armoniosa dai toni bassi e trasparenti che la distinguono”. Sempre Piero Scarpa aggiunge: “Marcello Scarano è come una morsa: afferra e stringe chi sfiora con la coda dell’occhio i suoi quadri, svelti, freschi, immediati, traboccanti di vita, irrequieti. È molisano e i suoi paesaggi e le sue figure di donna sembra che abbiano l’anima del Molise e del Matese solitario. I visi sono come trasognati e le figure pensose danno l’impressione di un dolore sofferto”. Nello stesso anno si annovera anche una esposizione dello Scarano ad Ancona. I successi che conseguiva nelle mostre, non solo di critica ma anche remunerativi, diedero al pittore una certa autonomia finanziaria, tant’è che poté trasferirsi nell’attico, preso in affitto, con ampio terrazzo che domina il panorama di Campobasso, dello stesso palazzo dove risiedeva il resto della famiglia. Un luogo ideale per la sua pittura, ricco di luce e di prospettiva, e sul quale l’amico Giuseppe Jovine, con accento poetico, ebbe a dire: “sul piano di un’altana, sotto l’orlatura di una gronda, s’intravede uno studio d’artista, originale come la stamberga di un bohemien, aereo e naturale come un nido sospeso tra un allegretto di comignoli e di allodole”. Nel 1940, l’anno che segna la storia patria per l’ingresso al secondo conflitto mondiale, si segnalano tre mostre collettive. Nel mese di giugno, partecipa al II Premio Cremona con un riconoscimento da parte della giuria che gli valse il Premio speciale “Triennale di Milano” di Lire 5.000, per essere il più giovane pittore presente alla manifestazione. L’opera premiata “La battaglia del grano”, dal tema già preordinato dalla commissione, viene inviata poi in Germania, all’esposizione di Hannover. Sempre nel 1940, ripete la sua presenza alla Mostra interprovinciale d’arte abruzzese- molisana, a Chieti, con questa attestazione della critica, sempre di Piero Scarpa: “in questa rassegna interprovinciale si distingue anche il molisano Marcello Scarano, pittore di gusto ed immediato. Egli dipinge come sente, cioè con personalità e la sua pittura, che sembrerebbe a prima raffinata, è invece capita ed intesa in tutte le sue preziosità di gamme, così nei rapporti fra tono e tono come negli accordi che debbono stabilire il lirismo totale della dimostrazione pittorica”. Infine, sempre nello stesso anno, durante il quale dipinge “Le nozze di Cana”, espose nella XXV mostra della Galleria di Roma. Apre l’anno 1941 con una mostra personale a Campobasso, nel mese di giugno è a Milano alla Mostra nazionale, dove la critica così si esprime con qualche perplessità: “Tra i pittori di questa sezione, artisti di Abruzzo e Molise, merita attenzione anche Marcello Scarano di Campobasso, che ha qui un ritratto espressivo e ben composto che tanto più lodevole sarebbe se l’autore, il quale si è dimostrato altre volte un sensibile colorista, non avesse impresso a questa sua natura espressione d’arte una monocromia poco appropriata al soggetto trattato, che pur gli deve essere apparso non privo di colore”. Sempre nel 1941, al III Premio Cremona, espone cinque dipinti sul tema “La gioventù italiana del Littorio”, due dei quali (il n. 58 e 73) vengono acquistati dalla G.I.L. (Gioventù Italiana Littorio) di Milano. Particolare attenzione destò – ricorda la sorella Maria – il quadro che raffigura un gruppo di bambini fermi a guardare una carta geografica d’Italia: “che espressione in quei visi di fanciulli – il giudizio ancora di Piero Scarpa – raggruppati vicino ad una carta geografica! i nuovi fanciulli dell’Italia nuova”. Ancora nel 1941, era alla Mostra nazionale di Milano, mentre nei mesi di giugno/luglio, giunse a Napoli dove propose una Mostra personale nel Dopolavoro del Banco di Napoli, a via Roma, con ben 76 opere di figura e paesaggio. Questo il giudizio della critica, questa volta di Michele Paturzo, che mette in evidenza le ampie potenzialità di un pittore destinato al successo e che ben interpreta e descrive le peculiarità artistiche di Scarano: “dinamismo, espressione dell’arte, sintesi fugace dovuta ad uno studio profondo della realtà esterna e della propria realtà, è la pittura che diventa arte in Marcello Scarano. Espressione di un mondo intimo, spiritualizzazione della materia, sono le basi in cui quest’artista dall’anima candida e dalla vita irrequieta fonda la propria personalità pittorica. Studio sincero e appassionato del vero hanno contribuito e contribuiscono alla rivelazione della sua missione. Egli possiede la tecnica del pittore; ce lo dimostrano tutte le sue tele, in cui i suoi paesaggi, le sue figure, le sue poche composizioni, sono trattate con disinvoltura e sincerità e rispecchiano quella che è la sensibilità del disegno e del colore in chi possiede veramente della personalità e non del semplice talento. Ma da qualche anno egli cerca e fa intravedere qual’è la sua spiritualità; ci trasporta lontano dalla pittura intesa come pittura e non come arte, verso un mondo fantastico che è frutto soltanto di un atto creativo. Intuiamo e viviamo in certe sue tele momenti che egli, in attimi di genialità, ha saputo arrestare: siamo trasportati lontano verso un’epoca di sogno in cui una figura, un paesaggio sono idealizzati. Marcello Scarano dipinge per se, del pubblico si interessa poco; sa che non può essere facilmente compreso, la sua arte è troppo intima, troppo colta per poter soddisfare il gusto borghese, la sua è una pittura che va studiata più che guardata; è la realizzazione di un romanzo più che di una vuota e semplice visione cromatica; egli è a se: la sua pittura originalissima, evidente per chi sa approfondirla e non la guarda semplicemente. La sua cultura e le sue doti lo porteranno sempre più lontano, verso orizzonti vasti, che gli
daranno tutte le soddisfazioni che merita”. Nell’aprile del 1942 espose la Personale a Roma, Galleria della “Barcaccia” a Piazza di Spagna, annoverando nel suo medagliere il brillante giudizio, firmato sempre da Piero Scarpa “Marcello Scarano rafforza decisamente la propria personalità con una pittura tonale che, pur mancando di robustezza, offre tuttavia all’artista particolarmente nel ritratto e nella composizione, il mezzo per porre il valore una sensibilità cromatica e disegnativa assai interessante. Le sue opere esposte riaffermano le doti del suo temperamento che non sopporta in arte leziosaggine e tanto meno la tormentata ricerca del finito, e se pure, escluso il paesaggio che è quasi sempre plasticamente sentito, per il loro contenuto spirituale e pittorico sono espressive e comunicative”. Un importante riconoscimento alla sua carriera arriva, sempre nel 1942, alla XXIII Biennale di Venezia, con la tela “Le sorelle che leggono”, successo confermato dalla valutazione dello Scarpa: “prescelta dalla severa giuria è questo un titolo d’onore per il pittore molisano, la cui personalità si è ripetutamente affermata nelle mostre personali, sindacali e nazionali di maggiore interesse”. Vale la pena riportare anche un ulteriore e premonitore articolo pubblicato dall’amico Ciccaglione, alla vigilia della sua partecipazione all’Esposizione nazionale di Venezia: “Marcello Scarano sa utilizzare il pennello in svariate forme e perciò, forse, il pubblico non gli interessa. Lavora in silenzio, all’oscuro e non parla che con artisti ed amici e non fa vedere la sua produzione che a coloro i quali, secondo lui, possono concepire un cielo differente da un limpido orizzonte ed un Cristo non più dall’anatomia serrata e precisa, ma che nel crocifisso diventa un’idea. Nei quadri dello Scarano, dell’ultimo tempo, manca il subitaneo godimento visivo. Arte celebrale, visiva, geniale, che nelle sale della Biennale dovrebbe essere accolta e compresa”. Parole che poi trovarono ampia conferma.

Il secondo conflitto mondiale e il riparo a Trivento.

Nel corso del 1942, oramai pittore affermato, promosso a pieni voti in una rassegna di prim’ordine nel panorama non solo nazionale, quale la Biennale di Venezia, subisce “pesantemente” la scomparsa del padre, avvenuta il 12 dicembre: il suo cuore non resse ad uno degli allarmi lanciati per proteggere la popolazione dai bombardamenti aerei del secondo conflitto mondiale. Padre premuroso e pignolo, che tanto teneva a quel figlio così stravagante ed imprevedibile, che poco conciliava con gli schemi comuni, ma che forse comprendeva di più, considerato che parlavano la stessa lingua dell’arte, forse solo con accenti diversi. Il decesso del professor Nicola Scarano avvenne in concomitanza di un improvviso allarme aereo nel corso della notte, quando il suo cuore non resse, era il terzo anno di guerra per l’Italia dopo la dichiarazione del Duce da Palazzo Venezia, il 10 giugno 1940. Il figlio ne rimase talmente scosso, tanto da scrivere “mi allontanavo dalla città e credevo d’impazzire”, e a dargli sollievo fu il Padre cappuccino che, solo dopo del tempo, riferì di aver ricevuto da Marcello Scarano un’offerta per far dire messa in suffragio del padre, ogni 12 del mese per l’intero anno. La guerra era sempre più incalzante, nel 1943 arrivarono i tedeschi anche in Molise, cosicché la madre Annita assieme alle figlie Maria e Silvia, nel mese di luglio raggiunsero Trivento, pensando di stare più al sicuro. Marcello, invece, rimase a Campobasso, presso l’abitazione del fratello Giuseppe, mentre, l’altra sorella, Isotta, era di servizio a Foggia come infermiera volontaria della Croce Rossa. A fine luglio anche Marcello andò a Trivento, dove i soldati tedeschi arrivarono il 4 ottobre e lasciarono il paese dopo un mese “lungo la Valle del Trigno – racconta la sorella Maria – verso l’Adriatico”. Proprio quella Valle del Trigno, più volte immortalata nei paesaggi di Marcello Scarano. Nel ricordare questa fase storica particolarmente travagliata per la nazione, Maria Scarano racconta un avvenimento che fa eco a tanti eventi simili registrati in quel periodo, questo accaduto a Trivento, e che fa comprendere ancor meglio l’atmosfera pesante che si respirava e che forse ha inciso anche sulla produzione artistica dello stesso Marcello Scarano. I fatti risalgono, appunto, all’arrivo delle milizie tedesche a Trivento, e precisamente quando ebbero una “soffiata” da un residente su una spia in paese, che tramava contro il regime. La reazione fu immediata, furono presi in ostaggio 20 giovani triventini, con la minaccia dell’esecuzione di gruppo nel caso in cui non fosse venuto fuori il cittadino ricercato e sobillatore. La paura si tagliava con il coltello, così gli altri giovani residenti, temendo qualche altra rappresaglia, si nascosero nelle campagne, ospiti dei contadini. Anche Marcello Scarano fu costretto a rifugiarsi presso una masseria. La vicenda, comunque e almeno in questa circostanza, ebbe un lieto fine. Infatti, i tedeschi non andarono oltre, risparmiarono la vita dei 20 giovani, grazie anche al generoso atto dell’allora Vescovo di Trivento, monsignor Epimenio Gianico, che si offrì in cambio dei giovani ostaggi. I tedeschi rilasciarono i giovani e risparmiarono anche il vescovo: pare che a non essere stata risparmiata fu la sola automobile del presule, portata via dai militari, come d’altronde tanto altro materiale razziato durante l’invasione.  A conflitto quasi terminato, accade un altro evento luttuoso che rattristerà non poco il pittore. Il 30 maggio 1945 viene a mancare la sorella Silvia (giovane, bionda e bella, così la definisce Maria). Silvia è stata una delle figure preferite da Marcello Scarano, particolare successo ebbero i suoi quadri che la ritraggono. Nello stesso anno espone alla Prima Mostra d’arte varia molisana.

L’ultima fase della carriera e la malattia.

Nel settembre del 1946 è a Giulianova, in provincia di Teramo, dove venne omaggiato con il Premio del Comune per l’opera “Composizione”. In questa occasione, la critica così si espresse, evidenziando tutto lo spessore dell’artista e pronosticando anche un suo futuro successo in ambito nazionale: “non è la prima volta che Marcello Scarano viene premiato in mostre di pittura. La sua arte schietta si affina sempre più. Le tinte calde, i colori morbidi danno la visione esatta di un’arte che non mancherà tra poco di portare Marcello Scarano alla ribalta della vita artistica nazionale, mettendolo nello stesso piano degli artisti più accreditati”. Un’ulteriore critica, si sofferma sul concetto di impressionismo: “il nocciolo dell’impressionismo è li: sapersi creare un Io, una personalità spiccata e di certo valore, per poi continuare, ma ad arrivarci ce ne vuole! Nelle sale d’Aquila e dell’Alta Italia, notiamo un impressionismo tutto diverso, per fattura ed espressione. Ha un modo di comporre che gli farà fare strada; pingue spalmate che sembrano lacche trascurate e distratte, ma che si esprimono bene”. Nel maggio del 1947 torna alla Mostra di Venezia. A Napoli, presso la Sala Romanella al Vomero, presenta circa 200 opere nella Mostra personale, tra queste: “Donna che si pettina”, “Ritratto biondo”, “Composizione”, “Donna con bimbo”, “Profughi”, “Riposo”. Più che favorevole la critica, siglata p.r.: “Marcello Scarano, pur conservando magnifiche doti di istinto e di forze primordiali, è un artista di vasta e approfondita cultura pittorica e nella sua pittura passano visibilmente le maggiori esperienze e le conquiste della più estesa e drammatica pittura italiana, per non citare altri, dal Magnasco (Alessandro) a Sebastiano Ricci e in alcune tele espressivo e con senso di classicità che ricorda la sua casuale nascita senese. Pittore romantico e drammatico insieme, lavoratore tenace e prolifico in sommo grado, come solo è forse conosciuto a chi può e sa vivere nella riposante e ispiratrice provincia. Il pittore Scarano è nel suo momento più intenso del suo definitivo sviluppo. Temperamento drammatico e passionale insieme, volitivo e romantico, ma pittore fuori di dubbio. Marcello Scarano su queste sue preclare e indubitabili doti saprà affinare con l’esperienza, disciplinare con senso critico e convogliare tutte verso una meta e un ideale preciso, ci darà al più presto la misura esatta del suo potenziale”. E ancora, aggiungiamo questa ultima valutazione che, in linea con le precedenti, riconosce l’artista molisano protagonista nel panorama nazionale, “non capita frequente il caso di visitare una mostra ed avere il desiderio di tornarci. Marcello Scarano dipinge tutto ciò che gli capita sotto gli occhi ed anche ciò che gli passa per la mente con estrema naturalezza: con la naturalezza e la gioia che sono la prerogativa del vero artista. La pittura di Marcello Scarano si inquadra nel panorama artistico nazionale più avanzato e vivo”. Nel 1948 si ripropone a Roma con la Mostra personale, poi partecipa alla Prima Mostra di Cava dei Tirreni, in provincia di Salerno, e inizia la sua partecipazione al “Premio Michetti” a Francavilla al Mare, con un quadro “Paesaggio”. Sarà presente a questo premio nazionale ininterrottamente fino al 1959. Il 1949 è l’anno dell’ufficializzazione della relazione con Lucia, governante, poi modella e compagna fino alla fine dei suoi giorni. Nel corso del 1949, appunto, Lucia andò a convivere con Marcello Scarano nell’attico/studio di Campobasso. Un anno, oltretutto, particolarmente intenso per Scarano, artisticamente parlando, stando anche a quanto sostiene la sorella Maria, “si dedicò alla pittura, facendone sua ragion di vita”. Ritornando alle sue esposizioni, nel mese di luglio del 1949 era a Benevento nella Mostra campionaria d’arte, con sei opere di paesaggio. In agosto tornò al Premio Michetti e poi alla I Mostra abruzzese d’arte, tenutasi a Pescara. Nel 1950 si concentra sul tema sacro: è a Napoli per la Mostra nazionale d’arte sacra contemporanea. Poi, prese parte a Novara alla I Biennale nazionale d’arte sacra, mentre nel 1951 presso l’Angelicum, auditorio storico di Milano, espose alla VII Mostra italiana d’arte sacra, con due opere: “Confessione” e “Prima messa”. La mostra si trasferì in Brasile, ricevendo questa attestazione: “Illustre e chiaro artista, la mostra in Brasile prende forma e concretezza. Lei, invitato a prendervi parte con le due opere “Prima messa” e “Confessione”, è stato confermato anche dal giudizio e dal plauso di eminenti personalità brasiliane, che hanno visitato la mostra dell’Angelicum”. Anche nel 1951 espose alla V Mostra nazionale “Michetti”, dove si aggiudicò un premio di 20.000 Lire, mentre l’anno successivo ottenne la “Tavolozza d’argento”. Grazie ai profitti derivanti dalla sua oramai affermata professione, finalmente poté acquistare anche l’attico dove risiedeva e per il quale continuava a pagare mensilmente l’affitto.  Nel 1953 espose a Roma in una Mostra collettiva, mentre nel 1954, preparò una mostra personale, in occasione del Congresso Mariano inaugurato dal cardinale Tedeschini a Trivento, antica sede curiale e paese che diede i natali ai genitori e che fu suo sicuro rifugio negli anni “bui” della sua esistenza. Qui espose il Polittico “Storia di Gesù” composto da 15 pannelli, della dimensione ognuno di cm 60×50, e raffiguranti le seguenti scene: Annunciazione; Natività; Riposo di Giuseppe durante la fuga in Egitto; Battesimo di Gesù; Cacciata dei mercanti dal tempio; Le nozze di Cana; Gesù che prega nell’orto degli ulivi; Gesù tradito e preso dalle guardie; il Dileggio di Gesù; La flagellazione; Gesù che porta la croce; La Crocifissione; la Deposizione; La Resurrezione; La cena di Emmaus. Sempre nel 1953 continuò la sua partecipazione al Premio Michetti, con un sostanzioso premio di 50.000 Lire. Nel 1955, a Scunthorpe in Ighilterra, le sue opere rientrarono in una mostra di collezione privata e firmata da sette pittori italiani. Dello Scarano erano presenti il “Panorama di Campobasso col Castello” e “Lo studio del pittore”, quadri acquistati da una certa Halina Antonievez nel 1944, con l’arrivo dell’esercito inglese a Campobasso. Era a Termoli nel 1955 con la Mostra d’Arte Contemporanea, dove ricevette il premio con Diploma “A”. Poi, ancora alla IX Mostra Nazionale “Michetti”, dove gli venne riconosciuto un premio di 100.000 Lire. Sarà al “Michetti” anche nel 1957, dove una critica severa sentenzia che: delle 324 tele esposte, ben poche si mantengono all’altezza del valore riconosciuto all’arte italiana. Tuttavia sono stati ammessi parecchi pittori che sanno disegnare e dipingere dal vero con sensibilità e personalità. Tra questi è Marcello Scarano”. Quella del 1957 al “Michetti”, fu l’ultima delle sue partecipazioni a mostre ed eventi, se si esclude la Mostra in Portogallo, risalente al ‘59, a Costa do Sol, con due sue opere intitolate: “Regresso ao sol posto”, una tempera premiata con medaglia di bronzo e un premio in denaro, e “Deposicao”, un acquerello, per il quale ricevette un premio in denaro. Nonostante l’età non ancora avanzata, le condizioni fisiche del pittore iniziavano a dare qualche segno di preoccupazione. Nell’ottobre del 1961 il cuore di Marcello Scarano diede degli scompensi, un problema che si trascinava da tempo, motivo per cui da qualche anno aveva smesso di fumare. Nel mese di dicembre la ricaduta, nonostante le cure mediche che stava seguendo: si sentiva spossato al punto di non guidare più la sua 600 Fiat, sulla quale si metteva in viaggio, in cerca di qualche paesaggio da ritrarre. Purtroppo, le condizioni fisiche precipitarono, fino ad arrivare ad una grave crisi cardiaca, il 12 aprile 1962. La diagnosi del cardiologo non lasciò dubbi, era necessario il ricovero urgente in clinica. Ma il pittore non seguì il consiglio e, con risolutezza, si preparò incredibilmente al trapasso, c
hiedendo alla madre di sistemare innanzitutto la scatola dei colori ed i pennelli e poi dispose a chi dovevano andare gli oltre 300 quadri che erano nello studio: la maggior parte li lasciò in donazione alla sua amante Lucia, “considerato che nonostante i tanti anni trascorsi insieme non era riuscito a fargli un’assicurazione sulla vita”, mentre i restanti dovevano rimanere in famiglia per ricordo. Buona parte dei quadri donati a Lucia, come si riporta in un dettagliato resoconto di Maria Scarano, vennero acquistati dalle stesse sorelle dell’artista. Oramai sentiva che il giorno fatidico si avvicinava, la sera del 6 maggio andò a trovarlo un amico che salutò dicendogli: “addio, domani i miei occhi non vedranno sorgere il sole”. La mattina del 7 maggio 1962 affidò le sue ultime parole alla sorella Isotta, diventata nel frattempo la sua infermiera: “stanotte ho dormito bene”. E subito dopo diede il suo ultimo respiro. La salma di Marcello Scarano riposa nella tomba di famiglia a Trivento, con incise queste parole: Spirito semplice, libero, irrequieto, cui natura ed arte diedero amore di vita. Pittore colorista della terra di Molise, interpretò anima, paesaggi, costumi della storia di Gesù, fatti umani e divini.

 

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