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domenica, Maggio 5, 2024

Le rivendicazioni e le toccanti storie dei Magistrati onorari in evidenza su L’Espresso. Una vicenda che riguarda tanti lavoratori del settore anche in Molise

AttualitàLe rivendicazioni e le toccanti storie dei Magistrati onorari in evidenza su L'Espresso. Una vicenda che riguarda tanti lavoratori del settore anche in Molise

In un lungo, preciso e toccante reportage su L’Espresso, Simone Alliva si è interessato delle rivendicazioni e della situazione dei Giudici e Viceprocuratori pagati a sentenza: i magistrati onorari.

“Amministrano il diritto – scrive il giornalista – ma non ne hanno alcuno; sostengono gran parte del peso delle cause ma restano precari”. E’ questa la premessa, ma anche il senso dell’articolo de L’Espresso che riassume rivendicazioni avanzate da anni e per le quali c’erano state promesse e rassicurazioni da parte del Ministro. Non ancora mantenute.

Alliva parte da una vicenda umana, quella di Sonia stroncata da un tumore al cervello. Il giorno prima era in Aula, ma non è riuscita finire l’udienza. Il giornalista continua poi a parlare di Antonio, tetraplegico. Da quindici anni il suo accompagnatore lo aiuta a salire sul banco giudice di pace. Alliva scrive testualmente che lo ‘’porta in braccio come si fa con i bambini”.
«Dottore, se vuole installare qualche rampa o eliminare qualche scalino può farlo. A sue spese», gli ha risposto il presidente del tribunale, a sua specifica domanda su come fare.

Vi riportiamo, adesso, integralmente (perché l parole usate dal giornalista sono più potenti di qualsiasi sintesi sul tema) il resto del toccante e preciso articolo di Simone Alliva su L’Espresso, che racconta storie umane, storie di lavoratori che chiedono di vedere rispettati i propri diritti di lavoratori.

Laura ha avuto due figli: ha lavorato fino a due giorni prima di partorire, poi è rimasta a casa 6 mesi senza poter guadagnare un euro. Durante la seconda gravidanza ha avuto la nomina a giudice onorario presso un tribunale, a pochi giorni dal parto: ha dovuto rinunciare. «Non avevo scelta».

“Enza è stata trasportata in ospedale dopo aver perso i sensi durante l’udienza, era al quindicesimo giorno di sciopero della fame ma, per non incorrere nelle sanzioni minacciate dalla Commissione di garanzia, ha continuato a fare il suo lavoro fino al collasso. È il mondo della magistratura onoraria in Italia. Zero rimborsi per le spese legali, zero tutele contro l’abuso di contratti a tempo determinato consecutivi, senza neanche la possibilità di fare causa. Malattie, maternità, infortuni: zero.

Nel mondo dei “precari della giustizia” ci sono solo processi e sentenze da scrivere. Solo doveri se si vuole arrivare a fine mese. Un magistrato onorario viene pagato 98 euro lordi fino a cinque ore di udienza e altre 98 lordi se supera le cinque ore. Calcolate al minuto. «Se faccio una pausa, vado in bagno o a pranzo, non valgono», spiega Elena Pucci, giudice onorario presso il tribunale di Varese. Il lordo dovrebbe coprire anche i contributi previdenziali (obbligatori) e le spese di trasferta: «I soldi che guadagno alla fine coprono le spese che mi portano da Milano a Varese». Il tempo per studiare i fascicoli e scrivere i provvedimenti non è retribuito: «Direi che è una questione di dignità. Il lavoro è assorbente, abbiamo ruoli autonomi in processi anche importanti», sottolinea la giudice Pucci che ha scritto sentenze anche per risarcimenti milionari: «Nelle aule di Tribunale ci confondiamo insieme agli altri magistrati ma da un punto di vista di diritti viviamo su un altro pianeta». Un mondo parallelo, dove pochi vedono le differenze tra due tipi di magistrati celati sotto la stessa toga: i cosiddetti togati L’apertura dell’anno giudiziario al tribunale di Milano o di ruolo – assunti a seguito di un concorso – e i magistrati cosiddetti onorari, a cottimo per titoli (anzianità, pubblicazioni etc.).

Creati per occuparsi occasionalmente di reati bagatellari, dal 1998 sono l’ossatura del sistema giudiziario: i viceprocuratori onorari (1.700) e i giudici onorari (2.013) – a cui vanno aggiunti quelli di pace (1.154) – sollevano la mole di lavoro dei circa 9.500 magistrati togati anche su cause importanti.

La Commissione europea ha aperto a luglio una procedura di infrazione contro l’Italia per il modo in cui gestisce quest’ultima categoria: «Non sono tutelati». E con una lettera di messa in mora Bruxelles impone al governo italiano di regolarizzarli. A dicembre per evitare la procedura di infrazione, il ministero della Giustizia guidato da Marta Cartabia ha fatto passare un emendamento alla legge di Bilancio: «Finge di attenuare la situazione ma in realtà la peggiora», spiega il presidente della Federazione magistrati onorari di tribunale, Raimondo Orrù: «Ci costringe a fare una prova d’esame per l’idoneità, anche a magistrati che lavorano da 20 anni e ci tiene nel costante precariato. I magistrati onorari italiani vengono sottoposti a un’irragionevole procedura concorsuale per rimanere, nondimeno, lavoratori onorari, ossia sprovvisti di qualsivoglia riconoscimento anche solo formale.

Per loro resta vietato parlare di giornata lavorativa, orario di servizio, retribuzione, gestione ex-Inpdap, ferie, aspettativa retribuita, ecc.; ma neppure ricevono un trattamento economico adeguato al decoro di un libero professionista operatore del diritto», sottolinea Orrù. Per accedere al concorso però si presenta quella che il presidente di Fedemot bolla senza mezzi termini come «truffa». «Qui si chiede la rinuncia alla richiesta dei danni patiti per oltre un ventennio. Un’estorsione: insomma per rimanere come siamo messi oggi, cioè malissimo, mi obblighi a fare un concorso ed io con la semplice presentazione di una domanda automaticamente rinuncio a ogni richiesta risarcimento. La situazione oltre che rilievi di incostituzionalità presenta anche quelli di immoralità: conosco magistrati che vanno alle udienze sotto chemioterapia. Perché non possono fare altrimenti».

Un po’ come è successo a Sonia Rita Caglio del Foro di Monza, giudice onorario presso il tribunale di Bologna. Una vita per la giustizia, la sua storia ricostruita nelle parole di Andrea Giberti, giudice onorario di Modena: «Sonia, il lunedì prendeva il treno da Arcore, cambiava a Milano e, puntuale alle nove iniziava la sua affollatissima udienza nella Sala delle Colonne. Penso che non ci sia situazione processuale peggiore delle convalide di sfratto. Il giudice si trova di fronte a un’umanità dolente. Sonia era esposta a queste scene ogni settimana, ma era un giudice pietoso e sempre aveva a cuore il sollievo di chi aveva davanti a sé. E morta per un tumore cerebrale fulminante. Quel giorno era venuta a Bologna a fare il suo dovere. Non è riuscita a portare a termine l’udienza perché stava male. Ha ripreso il treno per la Lombardia mancando la sua fermata e finì alla stazione centrale di Milano. Suo marito corse a prenderla. Pochi giorni dopo è morta».

Curarsi o guadagnare è una questione declinata da tempo in ogni forma, ma nella magistratura onoraria è una declinazione che dura da vent’anni: «C’è uno scoramento inumano», si sfoga Giberti: «Nessuno si aspetta una mano, una carezza o un grazie ma non si può umiliare così la gente. La storia di Sonia dimostra come siamo trattati. Come asinelli».

Un pericolo anche l’indipendenza della magistratura: «Così alla gente togli la speranza, si lascia andare e nella migliore delle ipotesi se ne frega, nella minore ti viene un blocco mentale. Un affaticamento».

La magistratura onorarla ciclicamente denuncia con scioperi, lunghi anche sette giorni, un Paese che da più di venti anni ignora un principio logico: è necessario tutelare prima la salute dei garanti della giustizia, in modo tale che sia possibile svolgere, vivi e sani, il lavoro con efficienza e profitto. Eppure, spesso, per chi rende visibile questa richiesta emerge il ricatto. «Chi si lamenta rischia il posto», racconta Antonio P., giudice onorario con disabilità: «Avrei diritto a una settimana al mese di 104 per le cure. Il condizionale è d’obbligo perché da magistrato onorario non ho un rapporto di lavoro regolamentato e non posso usufruire dei permessi. Certo, potrei fare causa. Ma non affronti le cause in queste condizioni: il rischio è economico ma anche personale. Noi siamo macchine. Nessuno è indispensabile. Ci hanno massacrato in tutti i modi». Quindi meglio continuare a testa bassa. Prendere o lasciare. Se non accetti tu lo farà qualcun altro. Ogni giorno Antonio arriva in tribunale percorrendo una strada diversa da quella dei suoi colleghi. Impossibile entrare ín Aula dalla Camera di consiglio, dalla quale si accede solo da una scala. Con la carrozzina entra dall’ingresso adibito al pubblico, poi per raggiungere la sua postazione, cioè la scrivania del giudice che siede ad un livello superiore rispetto alle parti e al pubblico, in una pedana rialzata, si fa issare dall’accompagnatore e una volta arrivato dietro al grande banco di legno, non riesce a raggiungerlo. La carrozzina fa da barriera tra lui e il banco: «Così per tutto il tempo mi devo tenere i fascicoli in braccio. Ho chiesto delle modifiche. Basterebbe una pedana. Ma non sono un togato. Mi hanno risposto: faccia pure le modifiche che vuole ma non chieda soldi». Fuori dalle sigle, la questione dei magistrati onorari è ben visibile dai giuristi che denunciano «un abuso» di una figura che per anni ha fatto muovere la macchina della giustizia: «Ferma restando la complessità di stabilizzare certe figure, bisogna considerare che sulle spalle delle varie tipologie di giudici onorari si gioca il funzionamento di molti uffici giudiziari italiani da almeno vent’anni», spiega Silvia Izzo, professoressa associata di Diritto processuale civile all’università di Cagliari: «A poco a poco la figura del magistrato onorario è stata inserita a tutti i livelli, anche in corte di Appello. Figure che non sono incardinate e che lavorano per lo più a cottimo, cioè per numero di sentenze pronunciate. Il risparmio in termini di costi che ricava la giustizia su queste figure è palese. Sono state istituite per far fronte a esigenze contingenti e poi possiamo dire che né è stato fatto un abuso». Resta, in filigrana, la questione del Pnrr nazionale. L’Italia ha infatti proposto un progetto che interviene in alcune materie strategiche per il rilancio dell’economia italiana, tra queste la giustizia fortemente minata dai precari della magistratura. Sarà compito del governo sbrogliare la matassa. «Ma quelli hanno il trapano in mano e le cuffie alle orecchie», sospira Antonio: «Qui non ci sente mai nessuno».

Questo il testo integrale dell’articolo di Simone Alliva su L’Espresso. Storie toccanti e rivendicazioni ribadite e sostenute anche dai magistrati onorari molisani.

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