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venerdì, Aprile 19, 2024

Se la politica non riscopre la sua vocazione

EditorialiSe la politica non riscopre la sua vocazione

 

di Paolo Frascatore

In questo tempo buio ed incerto, una riflessione pacata, ma sottile, non può non essere fatta sulla situazione politica italiana.

La drammaticità degli eventi che hanno segnato gli ultimi due anni porta ad alcune considerazioni politiche che abbracciano non soltanto il nostro Paese, ma l’intero sistema mondiale.

All’indomani del secondo dopoguerra, i sistemi politici occidentali, memori dell’autoritarismo nazifascista e del comunismo sovietico, si erano alleati con quella borghesia industriale e finanziaria che vedeva nel liberismo economico l’abbrivio per uno sviluppo complessivo dell’economia e, conseguentemente, per un miglioramento delle condizioni di vita generali.

Paolo Frascatore

Iniziava così quel famoso “boom economico” che in Italia avrebbe attecchito negli anni Sessanta con i primi Governi di centro-sinistra: espansione economica, industrializzazione, lavoro e condizioni di vita più agiate (soprattutto per gli operai), presagivano uno sviluppo complessivo della società.

In questa corsa al benessere complessivo, quasi come raggiungimento della felicità (ma solo materiale), venivano collocati in second’ordine (se non del tutto tralasciati) i problemi relativi all’ambiente, all’inquinamento del pianeta, ai rifiuti.

La protesta giovanile del 1968, al di là delle strumentalizzazioni politiche di parte, aveva al suo fondamento un dato principalmente esistenziale: la felicità non si conquista con il semplice benessere economico e con la libertà economica. Perché? Semplicemente per la ragione che questo modo di pensare e poi di vivere conduce irrimediabilmente ad un individualismo sfrenato e, quindi, a quella competizione tra persone basata sulla pura quantità di ricchezza personale.

Dossetti diceva che lo Stato moderno non ha un fine (non solo), ma soprattutto che ha disconosciuto quel principio del Medioevo per il quale il fine dello Stato (e allora dei sovrani) era quello della felicità dei suoi componenti.

Se l’essere felici significa anche essere liberi, il contrario non è proprio così (cioè l’essere liberi non significa sempre essere felici).

Cosa c’entra tutto questo con la situazione politica? A ben guardare, soprattutto in Italia, la politica si è ridotta ad una semplice amministrazione dell’esistente, a far quadrare i conti, ad iniziative tese ad espandere la produzione di beni e servizi per puri interessi economici privati ed individuali.

In sintesi, la politica è diventata ormai la ruota di scorta dell’economia; quando quest’ultima annaspa si ricorre alla politica come mezzo per una semplice ripartenza dell’economia.

Ecco che allora arrivano dal mondo economico i “salvatori” che entrano in politica per rimettere le cose a posto (soprattutto i conti).

Ma la politica può continuare a vivere di queste quasi bassezze? O il suo ruolo, oltre alla organizzazione della società, è anche quello di diffondere la cultura dei valori, del senso di comunità, di solidarietà, di uguaglianza, di giustizia sociale, in sintesi di far sì che tutti siano felici?

Una riflessione su questi argomenti sarebbe utile per uscire da questo turpiloquio quotidiano di “partiti” e di personaggi politici contemporanei.

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