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venerdì, Marzo 29, 2024

La democrazia malata

EditorialiLa democrazia malata

di Paolo Frascatore

Le vicende politiche delle ultime settimane non fanno altro che testimoniare un disagio democratico che in passato (Norberto Bobbio) e più recentemente (Giovanni Sartori) avevano individuato in una sorta di democrazia elitaria che stava prendendo piede non soltanto nel nostro Paese, ma a livello mondiale.

Paolo Frascatore

In effetti se si guarda alle recenti cronache del Movimento 5 Stelle (ma non solo), con all’apice delle considerazioni il fatto che un popolo fatto di appena sessantamila elettori decida del futuro di un Partito o Movimento, c’è da rabbrividire e, soprattutto, si avverte una certa nostalgia degli scontri ideali tra le correnti della Democrazia Cristiana e tra quest’ultima ed il Partito Comunista.

Durante tutto il corso della cosiddetta Prima Repubblica nel secolo scorso, la democrazia era stata definita “bloccata” per l’impossibilità di una alternanza alla guida del Paese tra forze politiche diverse. La questione comunista teneva banco ed appassionava anche uomini politici di idee diverse (Aldo Moro) al fine di arrivare a quella democrazia matura (compiuta) e porre fine alla conventio ad excludendum nei confronti del PCI.

Oggi, evidentemente, il problema è diverso, ma più grave che nel passato, perché se è vero che ormai anche in Italia vi è quella sorta di alternanza tra schieramenti politici alternativi (al di là dell’attuale fase di emergenza guidata da Draghi), la democrazia (ossia il governo del popolo) è malata nelle sue fondamenta. La partecipazione popolare si riduce di elezione in elezione; le élites politiche sguazzano nel marasma del disinteresse quasi generale; la legge elettorale privilegia la posizione dei nominati dalle segreterie dei partiti; le posizioni estreme si rafforzano ed ormai coinvolgono anche personalità moderate e lontane da quella cultura populista e sovranista.

Ed allora, che fare? In via preliminare occorre un ritorno alla politica intesa come confronto di programmi e di idee, rifuggendo dalle invettive e dalle deficienze culturali di buona parte dell’attuale classe dirigente (che pensa di fare del populismo la chiave perenne per rimanere ancorati alla poltrona parlamentare e ministeriale); ma per fare questo occorre anche quel coraggio di andare controcorrente rispetto ai posti ed agli incarichi di potere.

Ma più in generale, occorre quel coraggio di rimettere in discussione i modelli di sviluppo economico recenti che non hanno fatto altro che aggravare le posizioni dei meno abbienti in favore dei potentati economici.

Francamente, l’attuale classe dirigente appare troppo interessata alla difesa dell’esistente, alla propria sopravvivenza politica in funzione della gestione del potere.

Ma sino a quando potrà durare? Durerà sino a quando questa miopia politica non sarà completamente recepita dai cittadini per arrivare non alla democrazia delle élites, ma a quella democrazia sostanziale nella quale ogni cittadino ha il potere di scegliere la propria classe dirigente al di fuori dalle imposizioni di questi pseudo partititi o movimenti.

Il futuro della democrazia non è quello della prevalenza delle élites politiche ed economiche, ma quello di un popolo che oggi, con la caduta di barriere e di confini, sente sempre di più quella sorta di fratellanza universale di Papa Francesco secondo la quale non esistono più diversità di razza, di religione, di costume, di sesso.

Tutti sono chiamati alla costruzione di una società mondiale solidale dove ognuno porta il proprio contributo (i propri talenti) per costruire anche su questa terra quello che Dossetti chiamava il bonum humanum simpliciter, ossia il bene umanamente pieno di tutti i componenti la comunità statale.

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