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mercoledì, Aprile 17, 2024

Achille chi?!

CulturaAchille chi?!


Di Angelo Persichilli
Diceva Marshal McLuhan che se un albero cade nella foresta dell’Amazzonia e nessuno lo vede, l’albero non è caduto, quindi non se ne parla. Ma Achille Lauro, purtroppo, a Sanremo c’era, l’abbiamo visto, quindi ne parliamo. La sua presenza è stata positiva in quanto ci ha fatto capire cosa l’Italia potrebbe diventare se non si rivalutano certi valori, non solo artistici, che sembrano superati. Andare avanti è importante, ma poi si deve scegliere anche la direzione.
Questo individuo è la versione ‘millennial’, furba ma meno intelligente, di un suo omonimo compaesano, proprietario di una flotta navale. Anch’egli, Achille Lauro, era creativo. Negli anni ’50 si cimentò anche in politica e, candidatosi nel Partito Monarchico, per essere votato regalava scarpe ai potenziali elettori. Benefattore, forse, di certo diffidente: durante la campagna elettorale regalava infatti solo la scarpa destra; la sinistra potevano ritirarla solo in caso di vittoria. Alcuni hanno detto che anche la presenza di Lauro a Sanremo è stata originale o, meglio, una provocazione, anche se buttare la bandiera italiana non è una provocazione né artistica, né intelligente, ma una volgarità banale per avere un po’ di attenzione.
Invitato dunque per provocare…come se ce ne fosse ancora bisogno. Però mi viene un dubbio: non è che vogliono far passare la sua presenza come un aspetto dell’evoluzione della canzone italiana? In tal caso qualche parola in più bisogna spenderla su questa edizione di Sanremo e su questo personaggio.
Cominciamo allora daccapo.
Non sono un critico musicale, come del resto gli oltre 60 milioni di italiani, quindi mi limito all’aspetto sociale ed economico di questa manifestazione (e non mi riferisco ai salari di Fiorello e Amadeus che sono un falso problema).
Si doveva fare questo festival? Si.
Si doveva fare proprio così? Forse. D’altra parte la formula per accontentare tutti non esiste.
Il Festival doveva farsi per dare un segno di vitalità, di sfida, in un momento in cui la società sembra soccombere alla pandemia: Sanremo ‘71 sfida Covid 19, la sigla della speranza contro quella del terrore. Si doveva fare per dare un segno di speranza a un settore e a tanti artisti in grande difficoltà e che chiedono solo di lavorare.
La manifestazione si doveva fare, anche per strappare un sorriso agli italiani e offrire una alternativa a certi personaggi che si vedono ogni sera negli aberranti talk-show non meno indecenti, lo ammetto, dell’esibizione pacchiana e banale di Achille Lauro e quella di Ibrahimovic (che però non è stato male).
Sulla qualità delle canzoni faccio invece solo alcune osservazioni di carattere sociale e, diciamo, storico. Il nuovo piace ai giovani e il consenso scende quando l’età sale. Ma è stato sempre così. Anch’io ricordo la smorfia di mio padre quando apparve sul palco di Sanremo Adriano Celentano o quando osservava i miei ‘capelloni’ come i quattro scarafaggi inglesi, si loro, i “Beatles”.
Ma questo è normale, lo scontro tra vecchio e nuovo fa parte del nostro DNA, ma poi il giudizio definitivo è sempre la storia a darlo e spesso non è quello che si legge sui giornali il giorno dopo Sanremo.
Quando qualcuno chiedeva a Indro Montanelli di dare un giudizio sulla prima copia di un nuovo giornale, il vecchio marpione invitava a ripassare ma con la copia dopo un anno di pubblicazioni.
Ancora oggi ci emozioniamo ascoltando il ‘Nabucco’ di Verdi o ‘Volare’ di Modugno, ma insieme a loro ci furono tanti altri artisti i cui nomi sono scomparsi ricoperti dalla polvere della storia. Tutti ricordano ‘Grazie dei Fiori’ e Nilla Pizzi, Domenico Modugno e “Nel blu” e sono sicuro che nei decenni a venire ci si continuerà ad emozionare sentendo “Hey Jude” dei Beatles, mentre abbiamo già difficoltà a ricordare il nome del vincitore di Sanremo di due anni fa.
In conclusione, sono sicuro che gli italiani di oggi non si faranno impressionare da Achille Lauro di Sanremo, come negli anni ’50 non si fecero abbindolare dell’omonimo barcarolo. È stato un buon Festival? In alternativa ai talk-show, si. Inteso come guerra psicologica al Covid 19, si. Su un Sanremo così in tempo di pace mi riservo di non rispondere.

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