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sabato, Aprile 27, 2024

Universo, la domanda senza risposta: “C’è qualcosa oltre lo spazio infinito?”

AttualitàUniverso, la domanda senza risposta: "C'è qualcosa oltre lo spazio infinito?"

di Gabriele Cianfrani *

Le domande circa l’«universo» sono tante: Ha avuto inizio o è sempre esistito? È infinito o finito? Se fosse infinito avrebbe comunque dei limiti oppure no? Cosa ci sarebbe oltre quei limiti qualora ci fossero? Come esprimersi sull’universo in rapporto a Dio? Queste e tante altre domande, a volte, sorgono spontanee. Motivo per il quale seguirà una riflessione, senza alcuna pretesa di esaustività, cosa che non sarebbe neanche possibile.

Prima di ciò non sarebbe male chiamare in causa due nozioni, tanto comuni quanto nuove ogni qualvolta sono oggetto di indagine: lo spazio e il tempo.

Il latino spatium viene dal greco σπάδιον (spadion) e da στάδιον (stadion) e indicava una determinata lunghezza, come quella appunto di uno «stadio». Ma vi sono altre derivazioni come quella da τόπος (topos) che significa «luogo».

Il latino tempus trova corrispondenza col greco χρόνος (kronos), e appoggiandoci sulla definizione aristotelica diremmo che il tempo è: «la misura del movimento, e del riposo, secondo il prima e il dopo». Questa definizione è molto importante in quanto comunica che il tempo non precede il movimento ma che il movimento precede il tempo, dato che questo è misurabile proprio grazie al movimento.

Senza insistere molto sui tipi di spazio e di tempo, ciò che in tal caso interessa riguarda i cosiddetti spazio assoluto e tempo assoluto. In quanto tali, lo spazio e il tempo assoluti avrebbero una sussistenza per sé, indipendentemente e sciolti da ogni altra realtà, o meglio, all’interno dello spazio e tempo assoluti troverebbero collocazione tutte le cose. Da uno spazio assoluto deriva lo spazio relativo e da un tempo assoluto un tempo relativo. In poche parole lo spazio relativo sarebbe «contenuto» e si «collocherebbe» all’interno dello spazio assoluto e il tempo relativo sarebbe tale perché «rientrante» nel tempo assoluto. Questa posizione, di origine newtoniana e in parte comune, non è stata risparmiata da critiche, ma quel che interessa in questo caso è che tale posizione esagera ciò che riguarda lo spazio e il tempo. Infatti, non avremmo consapevolezza di uno spazio – qualunque esso sia – se non in riferimento a corpi fisici che vanno a determinare quello spazio. Lo spazio assolutonon sarebbe riscontrabile nella realtà. Ugualmente per il tempo. Non potrebbe esserci consapevolezza del tempo se non in riferimento al movimento, che consente la misurabilità del tempo. Pertanto, lo spazio, incluse tutte le sue dimensioni, è dato dall’insieme dei corpi, mentre il tempo è dato dall’insieme dei movimenti. È possibile applicare una proporzione: «l’insieme dei corpi : spazio reale = l’insieme dei movimenti : tempo reale».

Cosa c’entra questo con l’universo e con Dio? C’entra molto, soprattutto per la realtà materiale che non a caso chiamiamo «spazio-temporale». Ora, se considerassimo tutto quanto esiste nella realtà spazio-temporale, noteremmo che vi è un aspetto comune a tutto: la finitezza. Tutto ciò che esiste nella realtà materiale è finito, e in quanto tale è misurabile. Il tempo, in quanto costituito dall’insieme dei movimenti, è misurabile e dunque non gode di una sorta di «eternità», la quale non sarebbe tale se fosse temporale, così come la temporalità non sarebbe tale se presentasse eternità. In merito vengono in mente le grandi parole di sant’Agostino: «Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poiché il tempo stesso l’hai fatto tu; e non vi è un tempo eterno con te, poiché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo» (Confessioni, XI, 14.17).

Lo spazio, in quanto costituito dall’insieme dei corpi, è anch’esso misurabile ed è perciò definibile come tale. Se fosse «infinito» non ci sarebbe possibilità di misurarlo materialmente, poiché gli strumenti di indagine strettamente empirici sono per la realtà materiale, la quale è finita e in quanto finita è misurabile empiricamente. Ciò che è finito nella propria costituzione ontologica non deve essere visto esclusivamente in modo negativo, ma questo è un altro discorso.

Dunque lo spazio e il tempo possono essere misurati. Ora, qualora si dovesse considerare l’universo, questo non potrebbe essere considerato escludendo la materia presente, che è tantissima! Stando a quanto si è giunti in campo scientifico, con particolare riferimento alla relatività generale di Einstein, lo spazio presenta una curvatura, dovuta alla massa. Per cui maggiore è la massa e maggiore è la curvatura. Ma la curvatura riguarda anche il tempo, per cui si tratta di una curvatura spazio-temporale, e la domanda da porsi sarebbe quella su quanto influisca la massa totale presente su questa curvatura. Ora, da qui vi sono diverse posizioni circa la geometria dell’universo. Una posizione che esprime la finitezza dell’universo dovuto alla totale curvatura ma al contempo l’assenza di limiti; un’altra posizione che include la curvatura, ma non «del tutto», e al contempo la linearità e l’assenza di limiti… Nonostante le differenti posizioni, pare si convenga sulla finitezza dell’universo, anche per ciò che rientra nella osservabilità, ma comunque in espansione.

Dal punto di vista temporale, la teoria più utilizzata circa l’origine dell’universo pare sia quella del Big Bang, lanciata dal sacerdote e fisico Georges E. Lemaître. Questo dato, ricordando ciò che è stato esposto sopra in merito al tempo (l’insieme dei movimenti), può dar risposte sulla «temporalità», ma non sull’inizio della stessa, per il fatto che il tipo di indagine va ben oltre la ricerca legata alla materialità delle cose. In tal caso il movimento non deve essere considerato solo di tipo «locale», ma anche «quantitativo» e «qualitativo». Ciò sarebbe compito arduo anche per la sola ragione umana, come ricorda san Tommaso d’Aquino, dato che l’inizio del mondo – l’universo – non può essere dimostrato partendo dal mondo stesso (Summa Theologiae, Ia, q. 46, a. 2). Pertanto, l’universo sarebbe finito in estensione e temporalmente, nonostante l’assenza di limiti e la continua espansione. Ma ciò, strettamente parlando, è compito degli esperti dell’argomento, il quale è molto interessante e importante. Questa breve esposizione permette di fare un salto – si spera – verso il motivo principale della esposizione stessa, che sarebbe più di tipo ontologico.

Per cui da ciò è possibile pervenire ad alcune conclusioni, ossia che l’universo presenta movimento; non ha una sussistenza assoluta (per sé); non è associabile all’universo la nozione di «eterno» e così via. Conclusioni che esprimono non solo la totale tranquillità del discorso sull’universo e su Dio, ma anche il fatto che l’universo stesso ha la sua dipendenza ontologica da Dio. Solo Dio è l’Essere per sé sussistente, tutto il resto possiede l’essere in maniera «partecipata» e non assoluta. Inoltre, ci troviamo su due piani diversi, per cui non potrà mai esserci contrasto alcuno, semmai garanzia, da parte di Dio, del reale in quanto tale. Infatti, strettamente parlando, la parola «creazione» rimanda solo a Dio, dato che «creare» implica la produzione dell’essere in modo assoluto, e questo può farlo solo Dio (Cfr. Summa Theologiae, Ia, q. 45, a. 5). Per questo anche l’universo, nella sua vastità, dipende ontologicamente da Dio.

Nel caso ci si ponesse la domanda su cosa vi fosse al di là dell’universo espanso, questa pare non avrebbe molta differenza circa quella riguardante il «prima» dell’universo, anche se alcune differenze vi sono. Quale potrebbe essere la risposta? Pura possibilità di essere? La risposta non risulta semplice, anche perché l’indagine fisica non va oltre l’universo, ma una cosa è certa: qualsiasi risposta non potrebbe mai prescindere dal fatto che nulla all’infuori di Dio può dirsi per sé sussistente, per cui l’«oltre», in tal caso, non potrà mai identificarsi con Dio dacché Dio trascende la realtà materiale e non si identifica affatto con essa. Pertanto, anche l’universo non presenta alcuna necessità, e non presentando alcuna necessità il fondamento ultimo non può risiedere nell’universo stesso, il quale non essendo necessario presenta dipendenza. In conclusione, il fondamento ultimo risiede in colui che è l’Essere per sé sussistente: Dio.

* Filosofo e ricercatore 

 

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