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venerdì, Marzo 29, 2024

Versi in quarantena. Un diario poetico descrive “il sorriso della cultura locale”

CulturaVersi in quarantena. Un diario poetico descrive “il sorriso della cultura locale”

di Filomena Giannotti

Un diario in tempo di Covid 19. Quanti di noi, in questi mesi di sospensione, non si sono affidati alla scrittura per sfogare la frustrazione del lockdown o le paure del ‘dopo’? Raccontare la propria personale esperienza della pandemia si è rivelato un potente catalizzatore per molti, anche autori affermati. Dai Racconti a staffetta pubblicati tra marzo e maggio dal supplemento “La lettura” del “Corriere della Sera” a Il veliero sul tetto di Paolo Rumiz uscito a giugno: in tanti hanno narrato con le loro voci diverse i giorni del virus. E un’operazione simile a quella di Rumiz, che una mattina sale sul tetto di casa e lo trasforma in un veliero con cui viaggiare su un’Europa duramente provata dalla pandemia, è alla base dei Versi in quarantena del nostro Luigi Pizzuto, il cui balcone a Colletorto diventa, durante la clausura, la “cabina di regia” da cui osservare e riprendere la vita in tempi di Covid.

Appena pubblicati dall’Editrice Lampo, i suoi Versi in quarantena si presentano arricchiti da una prefazione di Nicoletta Corsalini e dai disegni di Jean Luciano, Antonio Sarchione e dello stesso autore – che nella quarta di copertina presta scherzosamente le proprie sembianze alla Torre angioina, simbolo di Colletorto, rigorosamente indossando una mascherina bianca e rossa, in omaggio ai colori della regina Giovanna. Storico, giornalista, scrittore anche teatrale, Pizzuto mette qui alla prova la propria vena poetica, raccogliendo 64 poesie in versi liberi, di agevole lettura anche per l’assenza di punteggiatura e per il linguaggio semplice e chiaro, ma all’occorrenza denso e incisivo.

Accanto al “killer mascherato” (in Covid – 19), alle sue innumerevoli vittime ingoiate “nel buio della notte/ […] piano piano/ sulla scìa di un corteo processionale/ di camion militari” (Primavera di morte) e a quel “simbolo di uguaglianza” che è diventata la mascherina (Di cuore e Mascherina), scorrono nei suoi versi soprattutto le immagini di tutti i giorni, ma osservate con nuovi occhi, che rendono animati ora “i tigli del Corso/ da tempo/ sofferenti/ tutti stecchiti” (Tutti dentro) e la statua sul monumento (“È pronta a spiccare il volo/ Ci ripensa/ Non può lasciare i morti/ alla base del monumento”), ora perfino il bucato steso ad asciugare (Panni stesi) e le nuvole (Nubi, Uomo buffo e Fantasia).

Non mancano delle riflessioni sulla professione dell’autore, docente nella Scuola secondaria di primo grado, e sulla quotidianità scolastica sconvolta dal virus: in Didattica a distanza e Classe virtuale emerge tutto il suo sforzo per sopperire alla chiusura delle scuole basandosi spesso solo sulla propria buona volontà e inventiva. Diventano così più che mai fondamentali “un pizzico di buon senso/ e un soffio di calore umano”, e il libro, “l’unico mezzo reale/ rispetto a tutti/ gli altri strumenti multimediali”. Ai libri, così preziosi nella noia di quei giorni, sono dedicati anche i versi di Fuori dalla porta, sul ricordo di quel sabato in cui Pizzuto si è recato al campus scolastico, in via Caduti di Nassirya a Santa Croce di Magliano, per prendere i testi che Pamela aveva preparato con cura, ma su una sedia, fuori dalla porta (di qui il titolo) “per evitare qualsiasi contatto/ che potesse favorire/ un imprevedibile contagio”.

E forse proprio l’abitudine a investire sui ragazzi, ovvero sul nostro futuro, spinge il poeta a chiedersi che umanità troveremo alla fine del contagio e come capire se il disastro che stiamo vivendo ci avrà modificati in meglio o in peggio. È un interrogativo che torna più volte a sfidare il lettore: “Soffre la Terra/ da troppo tempo/ per guerre/ degrado ambientale/ ed ogni sorta di violenza/ Si spegne lentamente/ L’uomo comunque/ ha ancora il tempo/ di correre ai ripari/ Dopo questa dura prova/ lo farà?” (Dura prova). E ancora, nella poesia Enea, riflettendo sulla “preziosa lezione di vita” dell’eroe virgiliano che fugge con il vecchio padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio accanto: “Ma l’uomo/ guidato sempre/ dall’egoismo/ riuscirà ad agire/ umanamente/ dopo il coronavirus?”

Quest’ultima poesia costituisce la migliore introduzione a un’altra serie di testi caratterizzati da riferimenti al mondo classico che per Pizzuto discendono dai “tanti classici latini” che il prof. Ottaviano Giannangeli recitava a memoria: ricordi dei tempi sui banchi di scuola dalla poesia Pescara, città dove l’autore ha frequentato le scuole superiori. E questi ricordi classici si materializzano ancora nei titoli Spes ultima dea o Panta rei o ancora Eros e Thanatos: parole ed espressioni che assumono un diverso significato e una diversa profondità in tempi di Covid. Così, alla fine del brano Filosofia, compare Cloto, una delle tre Parche, le tre divinità che reggevano in mano il “filo della vita”, ovvero il destino di ogni creatura, con il compito di filarlo, misurarne la lunghezza e tagliarlo quando fosse giunto il momento. In un’altra poesia il titolo latino, In hoc signo vinces, allude alla croce che sarebbe apparsa in sogno a Costantino, il primo imperatore cristiano, insieme al messaggio divino “sotto questo segno vincerai”, e che Costantino avrebbe fatto riportare sul proprio vessillo, trionfando poi sul rivale Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio nel 312. Ma questo riferimento storico sfocia nell’immagine della madre di Costantino, sant’Elena, mentre a San Giuliano di Puglia esce a sua volta trionfante dalla Porta Santa insieme a san Giuliano martire per un giro processionale del paese.

Con sant’Elena si tocca un altro tema ben presente nella raccolta: quello della religione. È il caso delle poesie Voci, sullo sguardo della testa decollata del Battista, oppure Chiara, una riflessione sul nome della madre del poeta, ma anche sulla clausura, regola istituita proprio da santa Chiara. Un’altra riflessione su un nome è nella poesia Luigi: anche in questo caso con riferimento agli avi che portavano lo stesso nome e al santo, Luigi Gonzaga, morto “[…] giovanissimo/ a 23 anni/ contagiato/ per aver portato sulle spalle/ un appestato/ da tutti abbandonato/ come un cane/ sulla strada”. E soprattutto Venerdì santo: anche questa festività è riletta alla luce del Covid: “In quarantena/ senza partecipazione di fedeli/ Gesù/ prima di caricarsi sulle spalle/ l’umanità per redimerla/ depone alla Porta del Cielo/ le vittime del Coronavirus”. Ma dopo la crocifissione, non può mancare la resurrezione, dell’omonima poesia, anche questa attualizzata in tempi di Covid.

E giocando sul cambio di una vocale, dalla quarantena si passa alla Quarantana, titolo che rievoca una tradizione ancora osservata a Santa Croce di Magliano, dove durante la Quaresima, per sette settimane, vengono appese ai fili tra due balconi delle bambole di pezza, raffiguranti delle vecchiette, che la leggenda vuole siano da identificarsi con la moglie del defunto carnevale. Ciascuna bambola con una patata, nella quale vengono infilzate sette piume, poi tolte una per volta ogni domenica successiva, fino alla Santa Pasqua. A Santa Croce sono dedicati anche i versi di Festa degli animali e una delle poesie più lunghe dell’intera raccolta, Cultura santacrocese, che passa in rassegna i luoghi (la torre di Magliano, la badia di Melanico, l’acquedotto romano, l’insieme del Quartetto, la Chiesa Greca); quindi le varie tradizioni (oltre alla Quarantana, il Marausce, la Pasquetta e il Pasquettone, i carri di sant’Antonio, l’ultimo Sabato d’Aprile con l’odore degli animali, la treccia portata a tracolla dai cavalieri); e per finire la cultura del luogo, rappresentata da Raffaele Capriglione, Pietro Mastrangelo, Antonio Giordano, Michele Castelli. A proposito di glorie locali, va segnalato anche Tony Vaccaro, al centro della poesia omonima. A questo fotografo di fama internazionale, originario di Bonefro, Pizzuto ricorda come sia stato dedicato un museo inaugurato a Bonefro nel 2014 dal ministro Dario Franceschini, ideatore del “Dantedì”, titolo di un’altra poesia. Ma soprattutto ricorda come, sopravvissuto alla Seconda guerra mondiale e in particolare a quell’autentica carneficina che fu lo sbarco in Normandia, da lui stesso immortalato con la macchina fotografica, Tony Vaccaro abbia recentemente vinto anche la sua personale battaglia contro il Covid, alla veneranda età di 98 anni. La poesia successiva chiama in causa, per associazione, un altro illustre personaggio, purtroppo vittima del virus: Luis Sepúlveda, morto in Spagna lo scorso 16 aprile, e assai caro all’autore “per aver infiammato” i suoi studi universitari (l’allusione è al colpo di stato in Cile, oggetto della sua tesi di laurea. Durante il golpe di Pinochet, com’è noto, Sepúlveda venne arrestato e torturato).

Emerge così con forza un ulteriore tema a cui l’autore è molto affezionato, ovvero l’amore per la storia. In questa raccolta va segnalato almeno Itinerario virtuale, una passeggiata “nel ventre del paese/ nei giorni più tristi della quarantena”, ma che si snoda in realtà “sui gradini del tempo” e si conclude su “gli eventi/ le voci e la lezione/ di una storia affascinante/ che si tuffa nel passato/ senza mai smettere/ di indicarci qual è la strada”. Su questi “gradini del tempo”, nel libro si incontrano i briganti, nella fattispecie il leggendario “Cappellitte” detto anche “da Hatte Rosce”, che “rubava ai ricchi/ per sfamare i poveri”, poi i due carabinieri Vincenzo Simone e Giovanni Iuliano, barbaramente fucilati dai tedeschi per rappresaglia a Tavenna insieme a un povero contadino.

Con quest’ultimo tassello storico comincia a ricomporsi l’universo di Luigi Pizzuto, fatto di una cultura vastissima, che per anni lui ha saputo trasmettere a generazioni di studenti in virtù della sua professione di insegnante e a generazioni di lettori grazie alla sua passione per la scrittura. Ma tale universo sarebbe incompleto senza “il sorriso della cultura locale”, che rende questo diario poetico diverso da altri diari della clausura, e che è forse il vero segreto di Pizzuto e di questo libro. Questa efficace espressione, che si deve all’autore stesso, chiude una poesia intitolata Prego e dedicata a una figura a cui tutta Colletorto è molto devota: la Madonna Nera di Santa Maria: “Vado sempre/ tra gli ulivi/ argentei/ sulla collina/ dove/ la Madonna Nera/ di Santa Maria/ sta sola/ sorridente/ col suo/ Bambinello/ Su questo/ antico sito/ prego spesso/ chi ama/ la campagna/ ama il paese/ il sorriso/ della cultura locale”.

 

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