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venerdì, Aprile 19, 2024

Lo Statuto dei Lavoratori compie 50 anni

AttualitàLo Statuto dei Lavoratori compie 50 anni

La riflessione del Movimento Cristiano dei Lavoratori

 

La legge dello Stato Italiano n. 300 del 20 maggio 1970, meglio conosciuta come Statuto dei Lavoratori compie 50 anni. Si tratta di una delle principali e longeve normative in tema di diritto del lavoro approvata dal Parlamento su proposta dell’allora governo di Centrosinistra presieduto da Mariano Rumor ed elaborata dal Ministro del lavoro Carlo Donat Cattin, entrambi appartenenti alla Democrazia Cristiana.

Il 1970 è anche l’anno di nascita del nostro Movimento Cristiano Lavoratori, anche se l’atto formale di fondazione risale al 1972.

Un periodo di forti tensioni sociali che, insieme ai due precedenti, sessantotto e sessantanove, rappresentarono momenti caratterizzati da grandi avvenimenti, che interessarono l’Italia e l’Europa. Nel nostro Paese quegli anni furono contraddistinti da scontri sociali tra operai e imprenditori dopo che il movimento di contestazione studentesca del Sessantotto Francese si era esteso alle università italiane con proteste, manifestazioni e occupazioni di facoltà universitarie. Nelle grandi città vi furono scioperi ad oltranza e ben presto il movimento studentesco si saldò con quello operaio, influenzando così la vita politica del Paese. Si è trattato di una intensa stagione di lotte ed eventi anche cruenti come la strage di Piazza Fontana a Milano (dicembre 1969) e la rivolta di Reggio Calabria (estate 1970).

Lo Statuto dei Lavoratori nasce quindi sette mesi dopo il famoso “autunno caldo” del 1969, che coinvolse oltre 7 milioni di lavoratori impegnati nella rivendicazione dei propri diritti e nelle molte richieste avanzate: dalla riduzione dell’orario di lavoro, agli aumenti salariali, ai diritti di assemblee.

Nei momenti di grande tensione e cambiamenti, ad esempio nelle Acli, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, avvenne una svolta clamorosa: nel congresso di Torino del giugno del 1969 fu dichiarata la fine del collateralismo con la Democrazia Cristiana, nell’agosto del 1970, al convegno di Vallombrosa, vi fu la scelta socialista che poneva le Acli alla sinistra dello schieramento politico di allora.

Momento storico anche per noi, poiché coloro che si trovarono in minoranza, del tutto contrari a questa scelta e fedeli all’ecclesialità dell’associazione, uscirono dalle Acli per dare vita ad un nuovo movimento che conservasse l’identità cristiana in uno spirito vero di servizio verso i lavoratori e verso il lavoro, il Movimento Cristiano dei Lavoratori.

Lo Statuto dei Lavoratori è figlio di quel periodo, di cui molte cose sono state derubricate a mera memoria storica. Nelle intenzioni dei firmatari, la legge doveva incanalare dentro i binari della trattativa lo scontro sociale, sottraendolo alla violenza delle piazze.

Lo Statuto affermò la libertà di opinione del lavoratore anche all’interno della fabbrica e dei luoghi di lavoro e tutte le norme che garantiscono le libertà sindacali e i diritti dei lavoratori, introducendo nelle aziende il diritto di assemblea e la rappresentanza del sindacato, sia confederale sia dei non confederali o autonomi.

La Legge 300, Statuto dei Lavoratori, con i suoi sei Titoli e 41 articoli ha rappresentato, in tutti questi anni, il punto di riferimento attorno a cui si sono concretizzati e rafforzati i diritti di milioni di lavoratori e lavoratrici, ma non solo. Ha rappresentato un simbolo attorno al quale, in particolare dalla fine degli anni 90 ad oggi, si sono prodotte grandi battaglie politiche, con forti tensioni anche di tipo sociale, in merito all’opportunità o meno di modificarlo.

Dalla fine del secolo precedente ad oggi, da Biagi a Renzi, i tentativi di apportare dei cambiamenti alla struttura dello Statuto o di modificarne alcuni punti, sono risultati fortemente divisivi per il Paese e, al di là dei contenuti e del merito, hanno sempre dato vita a degli scontri. Il risultato è che oggi, nel sentire comune ed a 50 anni dalla sua pubblicazione, è frequente commettere l’errore di pensare che parlare di Statuto dei Lavoratori equivalga a parlare di art.18, nulla di più.

Ritengo che, diversamente, sarebbe molto più utile non cadere in uno scontro politico, in cui frequentemente si è portati a scivolare nel momento in cui si trattano questi argomenti, interrogandoci se lo Statuto, così come è strutturato, rappresenti ancora, nella nostra contemporaneità, uno strumento utile ed adeguato per garantire tutela e dignità a chi lavora.

Da tempo viviamo un’evoluzione nel lavoro che lo rende sempre meno standardizzato o classificabile. Un’epoca in cui il mondo del lavoro è cambiato profondamente con rapporti di lavoro sempre più discontinui nel tempo, estremamente variegati e frammentati nelle loro forme che abbracciano una moltitudine di tipologie contrattuali od atipiche, con tempi di lavoro che risultano sempre meno codificati o codificabili, e anche lo stesso luogo in cui normalmente si presta il lavoro si è fortemente destrutturato.

Queste dinamiche in forte evoluzione, unite ai cambiamenti introdotti nel mercato del lavoro da una globalizzazione di abitudini ed esperienze sempre più condizionanti, la diffusione massima nell’utilizzo dei Drivers ne è un esempio, hanno fatto lievitare nuove opportunità ma anche nuove esigenze di tutela.

Non si può fingere di non vedere che nel 2020 nel nostro Paese esiste una frattura nel mercato del lavoro, caratterizzata dall’esistenza di chi continua a lavorare protetto dalla L.300 ed in parallelo una moltitudine di persone destinate a lavorare prive di tutele che, quotidianamente, da sole devono cercare di acquisire spazi di protezione.

E’ indispensabile ridare vita ad una riflessione che, attraverso un riordino dello Statuto, riveda tutele e garanzie, ampliandone l’ambito di efficacia per passare dallo Statuto dei Lavoratori allo Statuto dei Lavori.

Bisogna passare dalla protezione nel luogo di lavoro ad un sistema strutturato che difenda e sostenga le persone nel mondo dei lavori e, soprattutto, nei momenti di non lavoro che spesso sono quelli più difficili da affrontare.

Uno Statuto che non deve continuare a rappresentare una distinzione tra lavoratori invisibili, protetti o più protetti ma che, alle tutele oggi in essere, deve aggiungere diritti fondamentali per chi vive di lavoro, quali: la formazione continua, il diritto di potersi qualificare e, non meno importante, il diritto all’inclusione lavorativa di tutte le persone che, indistintamente, contribuiranno con il loro lavoro, nella crescita dell’intero sistema Paese, anche  dopo  questa  impensabile pandemia.

E questo nuovo corso, che da più parti si evoca, deve rappresentare un momento di grande riscatto non solo incentrato sull’economia e sulle risorse che saranno messe in campo, ma dovrà essere anche un momento di equità sociale.

Uno Statuto che, se vogliamo preservarlo e dargli continuità d’efficacia, dovrà necessariamente essere rivisitato alla luce delle mutate esigenze di coloro che lavorano e producono occasioni di lavoro.

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