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giovedì, Aprile 25, 2024

Angelo D’Ovidio, da Trivento a Madrid per curare i malati di coronavirus

AperturaAngelo D’Ovidio, da Trivento a Madrid per curare i malati di coronavirus

Angelo D’Ovidio, da Trivento a Madrid per curare i malati di coronavirus. Angelo D’Ovidio, classe ’87, ha conseguito la laurea in Medicina presso l’Università degli studi dell’Aquila. Ora è al quarto anno di specializzazione in Chirurgia generale a Pavia, da circa un anno è nella capitale spagnola e lavora presso l’ospedale universitario, “Sanchinarro”, per un periodo di formazione in Chirurgica Epato-bilio-pancreatica. Il dottor D’Ovidio si è trovato ad affrontare l’emergenza coronavirus, un periodo molto difficile anche per la Spagna, come ci descrive in questa intervista rilasciata in esclusiva a “Il Giornale del Molise”.

Grazie innanzitutto per aver dedicato alcuni suoi minuti preziosi per questa intervista. È in prima linea nella battaglia contro il Coronavirus, ci può descrivere il quadro a Madrid?

 Siamo in fase di emergenza, qui sta accadendo ciò che è avvenuto in Italia 10 giorni fa. Madrid ha quasi 4 milioni di abitanti. Gli ospedali pubblici non hanno più disponibilità di posti, quindi le strutture private, come quella dove lavoro io, stanno predisponendo le sale di rianimazioni. Il nostro reparto di Chirurgia è stato quasi sospeso, facciamo solo le emergenze, mentre ci dedichiamo quasi totalmente ai contagi. Purtroppo abbiamo centinaia di ricoverati e persone intubate, tra i positivi ci sono anche tanti colleghi.

Rischiate quotidianamente la vostra vita per gli altri?

Rispetto a qualche giorno fa c’è una tensione maggiore. Il carattere degli spagnoli è molto simile al nostro, socievoli, calorosi, ottimisti, ma ora si respira molta preoccupazione e paura. Purtroppo viviamo un rischio alto anche noi addetti ai lavori, alcuni miei colleghi giovani sono risultati positivi e sono ricoverati, altri in quarantena. Si rincorrono, di ora in ora, riunioni operative per cambiare le procedure e i protocolli, al fine di ridurre il rischio di contagio. I turni sono massacranti.

Cosa vi dà forza per andare avanti?

Sicuramente la solidarietà delle persone. Si sente che siamo tutti uniti contro un nemico comune. Ci stimano e ci incoraggiano, faccio solo alcuni semplici esempi, ma indicativi: i ristoranti ci preparano i pranzi e li portano in ospedale, i taxi non ci fanno pagare gli spostamenti.

Sarebbe potuto tornare in Italia, perché non l’ha fatto?

Se mi trovo ora in questa terra, per questa esperienza professionale della mia vita, penso che non sia capitato per caso. Vuol dire che devo dare il mio contributo ora e qui, la nostra è una missione e come tale non si può scegliere dove svolgerla. Siamo chiamati a salvare le vite umane, a prescindere dal loro colore o accento. La Spagna, poi, è diventata la mia seconda casa, qui ho molti colleghi italiani, siamo una piccola comunità: sono circa 20mila gli italiani in Spagna.

Sente nostalgia di casa?

Certamente. Oltre alla nostalgia provo anche preoccupazione per quello che sta accadendo in Italia ma sono ottimista e spero di poter tornare quanto prima, ad emergenza superata, per poter abbracciare i miei cari e gli amici.

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