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martedì, Aprile 16, 2024

Isernia. In fin di vita per mezza pasticca d’ecstasy, Giorgia Benusiglio racconta la sua esperienza

AttualitàIsernia. In fin di vita per mezza pasticca d'ecstasy, Giorgia Benusiglio racconta la sua esperienza

libro-benusiglioArriva all’Auditorium della Provincia di Isernia e subito fa sentire alle studentesse del Liceo ‘Cuoco-Manuppella’ di essere una di loro, una che ha sbagliato, che sbaglia, che non fa la morale, ma testimonia “quanto la vita sia meravigliosa e come si può rinascere pagando, però, un prezzo altissimo o si può morire senza avere una seconda possibilità”. Lei è Giorgia Benusiglio, nota alle cronache nazionali e internazionali dal 1999, quando durante una serata in una discoteca di Desenzano del Garda, come anonima liceale milanese, a 17 anni assunse mezza pasticca di ecstasy. Dentro c’era anche il veleno per i topi, da qui l’epatite fulminante e un trapianto di fegato donato dai genitori di una coetanea, Alessandra, deceduta per un incidente stradale. La sua storia l’ha tirata fuori dall’anonimato della vita di ogni adolescente e la messa di fronte alla responsabilità di assumersi un compito: “sballarsi con la droga e morire non capita solo agli altri”. L’incontro degli studenti isernini con Giorgia rientra in un progetto della scuola: “La paura una risorsa per l’essere”, aperto il 22 novembre scorso dal neurologo Rosario Sorrentino. L’obiettivo è insegnare ai ragazzi a gestire la paura, a superarla quando è insana e paralizzante, ad accoglierla quando può salvare. “Prima di fare una determinata scelta pensate a me” – ha detto Giorgia a un giovanissimo uditorio che ha ascoltato la sua lunga testimonianza in silenzio, con le lacrime agli occhi e poi tempestandola di domande tenendola ‘in ostaggio’ per tre ore. “Pensate – ha incalzato – sarei in grado di affrontare 17 ore di intervento? E quando vi lamentare vi diranno: dai che non è niente, potevi morire. Sareste in grado di vincere il senso di colpa nei confronti dei vostri genitori? Di vederli, per la prima volta, piccoli e impotenti di fronte a un prete che per due volte vi somministra l’estrema unzione. Sareste in grado di vivere perché una ragazza è morta e voi avete il suo fegato? All’inizio volevo tornare indietro, ma non siamo in un film. Per questo ho cercato di dare un senso alla mia vita incontrando voi e studenti come voi di tutte le scuole”. Un impegno che Giorgia si era assunta durante i lunghi mesi di rianimazione al Niguarda di Milano. Lo aveva detto al padre, però una volta dimessa aveva cambiato idea e non avrebbe dedicato la sua esistenza agli altri se il padre non fosse sceso in campo, prima di lei, ricordandole che non era più una qualunque, ma una che poteva evitare a tanti giovani il suo calvario. “Mio padre – ha raccontato Giorgia che oggi ha 34 anni – cominciò a girare per le scuole. Una, due tre, e io dicevo sempre no. Poi un giorno ho sentito il mio rifiuto come un tradimento a me stessa e sono andata”. Giorgia ora non ha più il papà, ma lo ricorda con un video in cui legge una lettera indirizzata a tutti i genitori degli adolescenti. Una lettera che lui scrisse a una settimana dal trapianto. La chiosa: “Sono stato un buon padre finora? Un rompicapo che non ha soluzioni. Sono un padre e basta. E sono qui, disarmato davanti alla vita che mi attacca come ogni padre”. L’unica arma da impugnare è “il dialogo con i figli”. Il dirigente scolastico del ‘Cuoco-Manuppella’, Mariella Di Sanza, ha ringraziato Giorgia apprezzando “il dono che lei ha fatto ai 300 studenti presenti. Ha donato se stessa contribuendo al processo di crescita umana in cui la nostra scuola investe”.

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