di LUCIA LOZZI
Chiusura di fine anno per gli allievi del corso di recitazione tenuto da Salvatore Mincione Guarino, nel Piccolo Spazio Libero “Il Proscenio” di Isernia, che ha visto i ragazzi che lo hanno frequentato, insieme ai veterani, portare in scena una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile il caposcuola del genere. Con l’adattamento teatrale e la regia di Mincione la compagnia si è dimostrata all’altezza della rappresentazione e ha divertito il pubblico presente anche affrontando temi di un certo spessore. Vale la pena di menzionarli perché la passione che gli allievi hanno messo nel rappresentarla ha, dai grandi ai piccini, colpito il pubblico e premiato l’impegno. Giampiero Iannitelli, Andrea Melfi, Cristina Esposito, Eléna DI Pasquale, Daniele Inno, Elena Santilli, Alessia Giallorenzo, Umberto Santarpia, Alessio Colarusso, Paola Di Girolamo, Antonio Di Serio, Simone Di Perna e Miriana Rossi, tutti insieme, allievi nel loro percorso teatrale, amici in quello di vita, in un profondo, serio e ironico discorso sulla vita e la morte, hanno fatto riflettere sui luoghi comuni, le convenzioni con una comicità così esilarante da far apparire tutto ciò che pensiamo o facciamo davvero un abitudine e un cliché . La nota trama riporta alla mente le piccole ipocrisie legate ad ogni morte, le frasi di rito. Alla morte del “povero Piero” i familiari cercano di rispettarne le ultime volontà: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi. Più della trama, contano gli episodi che la descrivono; i raccontini, le sequenze di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vedeno alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale. Il povero Piero non è morto. Viene rianimato, per sbaglio da un operaio, con una scarica di corrente durante i lavori. Solo un caso di morte apparente dunque, ma nel bel mezzo del brindisi per festeggiare l’avvenimento muore veramente. La storia si svolge nel trafficato salotto di casa Davenza dove parenti ed amici arrivano per unirsi al dolore della signora Teresa, da poche ore vedova del suo amato marito, il povero Piero. Nonostante la volontà testamentaria del morto di dare notizia della sua morte solo dopo le esequie, la casa si fa sempre più affollata e i dialoghi, partendo dalle svariate frasi di circostanza. Le disposizioni di Piero, infatti, prevedono che l’annuncio della propria morte avvenga solamente dopo i funerali. Ma la notizia trapela e i familiari sono costretti a fronteggiare le visite dei parenti più o meno addolorati, che mostrano le proprie ipocrisie di fronte alla morte di un loro caro. Si sviluppa così una storia fatta di dialogo e recitazione di un ritratto delle piccole ipocrisie quotidiane in un carosello di personaggi ridicoli e spassosi, patetici e nevrotici. Ma la serietà del rito funebre non è che una debole apparenza perché ben presto si scatenano equivoci, gag, situazioni paradossali e, naturalmente, sorprese e imprevisti pronti a smontare pezzo per pezzo quella maschera di perbenismo che la vita sociale ci spinge a creare per la nostra sopravvivenza. Merito ai ragazzi per averla rappresentata molto bene ma anche a Salvatore e Giovanni di C.A.S.T che non si risparmiano nelle loro azioni e attività didattiche e offrono sempre spettacoli di ottimo livello. La verità è che quando si fa Teatro con il cuore, la passione e l’amore per l’arte e non per fini prettamente economici e di vanità, il risultato finale è sempre gradito e premiato, il significato delle commedie compreso, fatto proprio e spunto per riflettere su se stessi.