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domenica, Maggio 11, 2025

Piattaforme petrolifere e Imu, la vicenda termolese

Idee e opinioniPiattaforme petrolifere e Imu, la vicenda termolese

87034526di CLAUDIO DE LUCA

La Corte di Cassazione (sentenza n. 3618 del 2016) ha stabilito che le piattaforme petrolifere “off shore” debbono essere assoggettate al pagamento dell’Imu previo accatastamento nella categoria D/7. La pronuncia riguarda il Comune di Pineto, in Abruzzo, ma interessa indirettamente anche il Palazzo termolese perché il campo petrolifero “Rospo Mare” è ubicato proprio al largo tra la regione finìtima ed il Molise, a sole dodici miglia dalla Città di San Basso. A tale proposito è in atto un’ennesima disputa in Commissione tributaria provinciale tra l’Esecutivo Sbrocca e la Società “Edison”, proprietaria del citato campo. Il legale dell’azienda estrattiva ha impugnato l’avviso di accertamento dell’Imu per il 2013 con cui il Comune chiese il pagamento di oltre 3,66 milioni di euro, tra importo, interessi e sanzioni, giustificati dal costo di costruzione delle due piattaforme (190 miliardi delle vecchie lire pari a poco meno di 100 milioni di euro secondo la Capitaneria di Porto di Termoli). Diversi i motivi di contestazione opposti dalla “Edison”. Tra questi la carenza del presupposto impositivo e la contitolarità delle piattaforme con altro soggetti. Per quanto riguarda la prima, la Cassazione ha dato ragione a Pineto. Perciò non si vede perché potrebbe di seguito dar torto a Termoli.

Difatti nel caso della cittadina abruzzese, la Suprema ha ribadito un concetto già esternato nel lontano 2005 secondo cui questi impianti di estrazione, per essere situati nel territorio statale, sono soggetti all’imposta “stante la riconducibilità al concetto di immobile ai fini civili e fiscali, alla loro suscettibilità di accatastamento ed a produrre un reddito proprio in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale-industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura”. Secondo la statuizione, nel caso dell’utilizzo in concessione degli impianti, il detentore del titolo di gestione delle piattaforme diventa soggetto d’imposta perché il prelievo “colpisce il valore dell’immobile, utilizzato per la produzione del reddito ma non il reddito, oggetto di altre imposte”. Però (seppure il tributo sia dovuto), in carenza di una rendita risultante in Catasto, il Comune non può procedere a determinare il “quantum” mediante una stima diretta perché la base imponibile delle piattaforme “off shore” è costituita dal valore di bilancio. La causa decisa dai Giudici cassazionisti, per il Comune di Pineto, valeva oltre 16 milioni di euro. L’Ente l’aveva intentata alla Società “Eni” ed il supremo Collegio ha detto la sua dopo una serie di pareri discordi pronunciati dal 2001 in poi, oggi interessanti anche per l’analoga vicenda termolese.

Pure nel caso del centro abruzzese, ad occuparsi per prima della questione fu la Commissione tributaria di I grado di Teramo che, però, accolse il ricorso dell’Azienda petrolifera, annullando l’avviso di accertamento notificato dall’Ente. Più tardi il II grado confermò il verdetto, successivamente ribaltato dalla Suprema nel 2005. Ma una volta che i fatti furono riproposti nelle mani della Ctr la conclusione, sia pure motivata diversamente, ritornò ad essere quella originaria; cosicché, nel 2009, la potestà impositiva del Comune sulle acque territoriali fu dichiarata inammissibile ed il ricorso ritornò nelle mani della Corte di Cassazione che ora ha deciso come sappiamo.

Nell’analoga vicenda termolese, quando fu stabilito che gli impianti di “Rospo mare” erano ubicati in acque territoriali (e non internazionali) a Palazzo Sant’Antonio furono assegnati 11 milioni di euro dalla “Edison” trascinata in Tribunale per il pagamento dell’ici per le annualità dal 1999 in poi. Quando alla vicenda del Comune di Termoli mancava ancora un grado di giudizio, l’Azienda pagò ma Palazzo Sant’Antonio, pur incamerando il danaro, non poté utilizzarlo in attesa della decisione della Cassazione. Difatti, in caso di sconfitta, la somma avrebbe dovuto essere restituita. L’allora primo cittadino Di Brino spiegò che era stata avviata una trattativa per l’importo e per le modalità di pagamento. A tale proposito la Società aveva proposto di trattenere 11 milioni a fronte di polizze fideiussorie stipulate a garanzia dell’Ente. In sostanza, se la Cassazione avesse dato torto, ci sarebbe comunque stata la garanzia del pagamento, ma solo al momento dell’ultimo grado di giudizio. Sulla base di questa disponibilità, la Società avrebbe voluto erogare 1.000.000 di euro a fondo perduto che il Comune avrebbe potuto utilizzare immediatamente. Ma, dopo un confronto con la Corte dei Conti, Di Brino e l’Esecutivo decisero di riscuotere subito l’intera somma, sia pure tenendola “ferma” in Tesoreria. Ed ora si attende l’èsito della Ctp per l’anno 2013 mentre la decisione per Pineto lascia ben sperare per il pregresso.

 

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